325 - 20.07.07


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Nessuno li vuole più nella
nostra epoca liquida

Zygmunt Bauman
con Alessandro Lanni


Qual è oggi il ruolo di “mandarini” e maître à penser? Zygmunt Bauman descriveva, giusto vent'anni fa, la trasformazione che il postmoderno avrebbe provocato tra gli intellettuali. Nel suo libro La decadenza degli intellettuali (nella versione originale Legislators and Interpreters) analizzava il passaggio dal “legislatore” e consigliere del principe in grado di suggerire un ordine sociale sulla base della propria conoscenza al semplice “interprete”, cinghia di trasmissione tra comparti della società che ormai prendono le proprie decisioni senza troppo ascoltare i savant grilli parlanti.

Molto è cambiato in questi anni, nel mondo e pure nel pensiero del grande sociologo polacco. Il crollo del Muro di Berlino, la vittoria del mercato, dell'Occidente, della globalizzazione ma anche della frammentazione nelle società avanzate hanno costretto Bauman a spingere sull'acceleratore dell'analisi sociale. Ha inventato e applicato il fortunatissimo concetto di “liquidità” a molti ambiti della vita contemporanea. La “società liquida”, la “modernità liquida”, l'“amore liquido” sono espressioni entrate stabilmente nell'attuale commercio delle idee. Eppure, molte intuizioni sul cambiamento in corso erano già presenti in quel volume che in questi giorni Bollati Boringhieri ha riportato in libreria. Per esempio la marginalizzazione dell'intellettuale e della discussione tra idee all'interno dei mezzi di comunicazione di massa.

Professor Bauman, qual è stato storicamente il rapporto tra intellettuali e potere politico?

Gli intellettuali si sono rivolti ai “despoti illuminati”, espressione con la quale intendo re e presidenti, ma anche per tutte le categorie di amministratori la cui principale occupazione fosse la coercizione, la persuasione, o il lavaggio del cervello degli altri, per convincerli a fare ciò che altrimenti non avrebbero voluto e il servizio da loro offerto era un sigillo di ordinata, prevedibile, sicura, agevole, non conflittuale e soddisfacente “totalità sociale”.

C'è stata quindi una subalternità al potere dell'intellighentzia?

I despoti probabilmente hanno avuto bisogno degli intellettuali, ma sicuramente gli intellettuali-legislatori hanno avuto bisogno dei despoti per rendere la loro parola un ordine. E così con il brusco arresto dell’era della costituzione degli Stati-nazione e dell’epoca del “grande è bello”, e con il progressivo scarseggiare di despoti ambiziosi e degli aspiranti a quel ruolo, la domanda di servizi intellettuali del genere si è andata esaurendo ovunque, fatta eccezione per i pochi paesi che ancora lottavano, in ritardo sui tempi, per unirsi al “mondo occidentale” nella sua “liquida modernità”.

Perché si sono estinti gli intellettuali-legislatori?

Gli amministratori desiderosi di ricostituire dei “totalitarismi sociali” sono ormai rarissimi. Ai nostri giorni chi si aspetta un sigillo intellettuale sull’idea di “società giusta”? E di chi gli intellettuali potrebbero affermare in piena coscienza che sarebbe ben lieto di recepire le loro formule, se solo sapessero cosa è davvero nel loro interesse? Quando la domanda svanisce, prima o poi anche l’offerta lo segue.

Ovvero, non esiste più un ordine sociale ideale come punto di riferimento?

La nostra epoca liquida-moderna è soprattutto un’epoca di deregolamentazione e privatizzazione, processi sintetizzati con il termine di “individualizzazione”. Se l’assunto fondamentale della mentalità moderna originaria era che la felicità dell’individuo dipendesse da una società “buona”, la mentalità liquida-moderna si basa sull’assunto che l’unico significato di una “società buona” risieda nel diritto dei suoi singoli membri di perseguire individualmente la propria felicità. La felicità è ora vista come un qualcosa a cui lavorare da soli, anche se ciò si riduce a un solitario accumulo di merci da negozio. In altre parole la mentalità del raccoglitore non ha molti seguaci – e quindi neanche molti fautori. Tende piuttosto a essere rimpiazzata dalla mentalità del cacciatore – che raramente, se mai accade, va oltre il pensiero della prossima uscita di caccia per arrivare ad abbracciare l’imperscrutabile lavorio compiuto dalla Natura per assicurare che quelle cacce continuino per sempre. La felicità del cacciatore aumenta proporzionalmente al numero di trofei nella sua bisaccia; la gioia non è rovinata dal pensiero che il successo di oggi potrebbe diminuire il numero di prede e quindi mettere in pericolo le probabilità di successi futuri. In breve: io mi prendo cura della percentuale di beni che il mondo può offrirmi, e lascio al mondo il problema di preoccuparsi del fatto che i beni siano là per essere sfruttati.

Dunque gli individui nell'Occidente contemporaneo sono più egoisti che nelle vecchie società “solide”?

Il cacciatore direbbe di sé che non è egoista: non c’è niente, dopotutto, che si possa fare per influenzare lo stato delle cose nella giungla del mondo “là fuori”, e comunque quel che si faccia o si eviti di fare non cambierebbe niente. Tuttavia tali scuse sono pateticamente false. Si riferiscono allo stato attuale delle cose, non all’universo delle possibilità. Danno per scontato, sbagliando, che non ci sia un modo alternativo di vivere e che una volta che il legame tra privato e pubblico è stato spezzato e i mezzi di un’effettiva azione collettiva smantellati quello del cacciatore sia l’unico comportamento ragionevole.

In questo scenario sgretolato, qual è il ruolo degli intellettuali?

Gli intellettuali devono ricostruire i collegamenti rotti e ristabilire la verità della mutua dipendenza tra privato e pubblico, avendo avuto cura di indagare e formulare il modo di ristabilire quei legami nella pratica umana esponendo le ragioni di una tale urgenza. Questo è ancora, a tutti gli effetti, un ruolo da “interpreti”. Credo che esista un compito cruciale che attende solo che gli intellettuali se ne facciano carico: quello di impegnarsi in un dialogo continuo con l’esperienza umana e negoziare le sue interpretazioni alternative.

Nell'affermazione dello scenario liquido, della globalizzazione ecc. un ruolo importante lo hanno avuto le nuove tecnologie, internet in primo luogo. Crede che la Rete possa svolgere un ruolo nella trasformazione del ruolo degli intellettuali?

La funzione degli intellettuali è cambiata, e continua a cambiare – ma non sono sicuro che il cambiamento possa o debba essere spiegato dall’avvento dell’era di Internet. L’esplosione del flusso di informazione elettronicamente mediato è servito, potrebbe aver accelerato e facilitato il cambiamento in atto nella posizione/funzione degli intellettuali, ma non sarebbe stato in grado di innescarlo da solo – se non fosse stato per altre svolte che hanno “frullato” il modo di stare al mondo di un grande e sempre crescente numero di uomini e donne. Il ruolo di legislatori degli intellettuali ben si addiceva all’atteggiamento da “giardinieri” del mondo che ha caratterizzato la fase della modernità con la costruzione dei concetti di nazione e di stato.

 



 

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