Qual è
oggi il ruolo di “mandarini” e maître
à penser? Zygmunt Bauman descriveva, giusto
vent'anni fa, la trasformazione che il postmoderno avrebbe
provocato tra gli intellettuali. Nel suo libro La
decadenza degli intellettuali (nella versione originale
Legislators and Interpreters) analizzava il
passaggio dal “legislatore” e consigliere
del principe in grado di suggerire un ordine sociale
sulla base della propria conoscenza al semplice “interprete”,
cinghia di trasmissione tra comparti della società
che ormai prendono le proprie decisioni senza troppo
ascoltare i savant grilli parlanti.
Molto è cambiato in questi anni, nel mondo e
pure nel pensiero del grande sociologo polacco. Il crollo
del Muro di Berlino, la vittoria del mercato, dell'Occidente,
della globalizzazione ma anche della frammentazione
nelle società avanzate hanno costretto Bauman
a spingere sull'acceleratore dell'analisi sociale. Ha
inventato e applicato il fortunatissimo concetto di
“liquidità” a molti ambiti della
vita contemporanea. La “società liquida”,
la “modernità liquida”, l'“amore
liquido” sono espressioni entrate stabilmente
nell'attuale commercio delle idee. Eppure, molte intuizioni
sul cambiamento in corso erano già presenti in
quel volume che in questi giorni Bollati Boringhieri
ha riportato in libreria. Per esempio la marginalizzazione
dell'intellettuale e della discussione tra idee all'interno
dei mezzi di comunicazione di massa.
Professor Bauman, qual è stato storicamente
il rapporto tra intellettuali e potere politico?
Gli intellettuali si sono rivolti ai “despoti
illuminati”, espressione con la quale intendo
re e presidenti, ma anche per tutte le categorie di
amministratori la cui principale occupazione fosse la
coercizione, la persuasione, o il lavaggio del cervello
degli altri, per convincerli a fare ciò che altrimenti
non avrebbero voluto e il servizio da loro offerto era
un sigillo di ordinata, prevedibile, sicura, agevole,
non conflittuale e soddisfacente “totalità
sociale”.
C'è stata quindi una subalternità
al potere dell'intellighentzia?
I despoti probabilmente hanno avuto bisogno degli intellettuali,
ma sicuramente gli intellettuali-legislatori hanno avuto
bisogno dei despoti per rendere la loro parola un ordine.
E così con il brusco arresto dell’era della
costituzione degli Stati-nazione e dell’epoca
del “grande è bello”, e con il progressivo
scarseggiare di despoti ambiziosi e degli aspiranti
a quel ruolo, la domanda di servizi intellettuali del
genere si è andata esaurendo ovunque, fatta eccezione
per i pochi paesi che ancora lottavano, in ritardo sui
tempi, per unirsi al “mondo occidentale”
nella sua “liquida modernità”.
Perché si sono estinti gli intellettuali-legislatori?
Gli amministratori desiderosi di ricostituire dei “totalitarismi
sociali” sono ormai rarissimi. Ai nostri giorni
chi si aspetta un sigillo intellettuale sull’idea
di “società giusta”? E di chi gli
intellettuali potrebbero affermare in piena coscienza
che sarebbe ben lieto di recepire le loro formule, se
solo sapessero cosa è davvero nel loro interesse?
Quando la domanda svanisce, prima o poi anche l’offerta
lo segue.
Ovvero, non esiste più un ordine sociale
ideale come punto di riferimento?
La nostra epoca liquida-moderna è soprattutto
un’epoca di deregolamentazione e privatizzazione,
processi sintetizzati con il termine di “individualizzazione”.
Se l’assunto fondamentale della mentalità
moderna originaria era che la felicità dell’individuo
dipendesse da una società “buona”,
la mentalità liquida-moderna si basa sull’assunto
che l’unico significato di una “società
buona” risieda nel diritto dei suoi singoli membri
di perseguire individualmente la propria felicità.
La felicità è ora vista come un qualcosa
a cui lavorare da soli, anche se ciò si riduce
a un solitario accumulo di merci da negozio. In altre
parole la mentalità del raccoglitore non ha molti
seguaci – e quindi neanche molti fautori. Tende
piuttosto a essere rimpiazzata dalla mentalità
del cacciatore – che raramente, se mai accade,
va oltre il pensiero della prossima uscita di caccia
per arrivare ad abbracciare l’imperscrutabile
lavorio compiuto dalla Natura per assicurare che quelle
cacce continuino per sempre. La felicità del
cacciatore aumenta proporzionalmente al numero di trofei
nella sua bisaccia; la gioia non è rovinata dal
pensiero che il successo di oggi potrebbe diminuire
il numero di prede e quindi mettere in pericolo le probabilità
di successi futuri. In breve: io mi prendo cura della
percentuale di beni che il mondo può offrirmi,
e lascio al mondo il problema di preoccuparsi del fatto
che i beni siano là per essere sfruttati.
Dunque gli individui nell'Occidente contemporaneo
sono più egoisti che nelle vecchie società
“solide”?
Il cacciatore direbbe di sé che non è
egoista: non c’è niente, dopotutto, che
si possa fare per influenzare lo stato delle cose nella
giungla del mondo “là fuori”, e comunque
quel che si faccia o si eviti di fare non cambierebbe
niente. Tuttavia tali scuse sono pateticamente false.
Si riferiscono allo stato attuale delle cose, non all’universo
delle possibilità. Danno per scontato, sbagliando,
che non ci sia un modo alternativo di vivere e che una
volta che il legame tra privato e pubblico è
stato spezzato e i mezzi di un’effettiva azione
collettiva smantellati quello del cacciatore sia l’unico
comportamento ragionevole.
In questo scenario sgretolato, qual è
il ruolo degli intellettuali?
Gli intellettuali devono ricostruire i collegamenti
rotti e ristabilire la verità della mutua dipendenza
tra privato e pubblico, avendo avuto cura di indagare
e formulare il modo di ristabilire quei legami nella
pratica umana esponendo le ragioni di una tale urgenza.
Questo è ancora, a tutti gli effetti, un ruolo
da “interpreti”. Credo che esista un compito
cruciale che attende solo che gli intellettuali se ne
facciano carico: quello di impegnarsi in un dialogo
continuo con l’esperienza umana e negoziare le
sue interpretazioni alternative.
Nell'affermazione dello scenario liquido, della
globalizzazione ecc. un ruolo importante lo hanno avuto
le nuove tecnologie, internet in primo luogo. Crede
che la Rete possa svolgere un ruolo nella trasformazione
del ruolo degli intellettuali?
La funzione degli intellettuali è cambiata,
e continua a cambiare – ma non sono sicuro che
il cambiamento possa o debba essere spiegato dall’avvento
dell’era di Internet. L’esplosione del flusso
di informazione elettronicamente mediato è servito,
potrebbe aver accelerato e facilitato il cambiamento
in atto nella posizione/funzione degli intellettuali,
ma non sarebbe stato in grado di innescarlo da solo
– se non fosse stato per altre svolte che hanno
“frullato” il modo di stare al mondo di
un grande e sempre crescente numero di uomini e donne.
Il ruolo di legislatori degli intellettuali ben si addiceva
all’atteggiamento da “giardinieri”
del mondo che ha caratterizzato la fase della modernità
con la costruzione dei concetti di nazione e di stato.
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