318 - 30.03.07


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“E se mettessimo le regole ai blog?”

Alessandro Lanni


Ci vuole un codice deontologico per i blog? La questione è stata posta qualche settimana fa da Tim O’Reilly, uno dei grandi protagonisti della nuova stagione di internet, il cosiddetto web 2.0, espressione che ha inventato lui e che in sintesi vuol dire che i contenuti per la rete li producono i lettori da sé. L'idea di un controllo della blogosfera e dei suoi contenuti, sebbene in modi tutti da stabilire, ha scatenato una ridda di reazioni (dai ferocemente critici ai possibilisti, pure in Italia, qui una raccolta ) tanto che lo stesso O’Reilly ha sentito la necessità di spiegare meglio la sua idea. “Credo – spiega in un'intervista concessa a Wired (versione on line) – che il mio invito a un codice di condotta sia stato leggermente frainteso. Molti siti hanno già dei termini di servizio che assomigliano a quanto da me proposto. E io ho solo detto ‘proviamo a immaginare come sarebbe’, di modo che chi volesse avere un qualcosa del genere non dovesse pensarlo tutto da sé”. Secondo l'editore molti blogger sono troppo tolleranti con i comportamenti violenti manifestati nei loro diari telematici. Molto spesso una discussione prende fuoco, flame è il termine tecnico per questa degenerazione. Con la giustificazione che il padrone del blog non è responsabile di quello che scrivono i commentatori si accetta un po' di tutto: minacce, insulti ecc. O’Reilly auspica un sistema che permetta di scegliere quali post di commento leggere e quali pubblicare. Eppure, al tempo stesso si difende dalle cattive interpretazioni della sua proposta. “La gente la ha interpretata come una sorta di sistema di etichettatura o roba del genere. Non è quello che suggerivo io, niente affatto. Io suggerivo un set modulare, di modo che si potesse dire su un blog ‘Io non ammetto questo e questo tipo di comportamento’. Un sacco di gente lo fa già, quindi ecco che è proprio il caso di dire molto rumore per nulla”.

Sul NYTimes, il manifesto verde di Thomas Friedman
Cosa può fungere da nuovo motore che gli Usa dopo la tragedia dell'11/9, dopo le fratture provocate in casa e all'estero dalla presidenza Bush? La risposta la offre Thomas Friedman sul magazine domenicale del New York Times. La risposta è: il verde. E l'autore del best seller Il mondo è piatto vuole modificare il senso e la percezione che quel termine ha nell'opinione pubblica americana. “Credo - scrive Friedman nel suo lungo e articolato intervento - che vivere, lavorare, progettare l'America in un modo verde può essere la base per un nuovo movimento politico per il XXI secolo. Un'ideologia verde più larga e muscolare in grado non solo di superare l'agenda repubblicana e democratica ma piuttosto collegarle quando si tratta di affrontare le tre questioni chiave che ogni americano ha presente oggi: lavoro, temperatura e terrorismo”. Una nuova ideologia che sia in grado, sostiene Friedman, di mettere d'accordo tutti: liberali e conservatori, evangelici e atei, il grande business e gli ambientalisti. E afferma: “Non abbiamo bisogno solo del primo presidente nero ma del primo presidente verde”.

 

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