Una strategia
per cominciare subito a migliorare l'aria di Londra;
il Crossrail (la nuova ferrovia che dovrebbe tagliare
da est a ovest la capitale inglese); un multiculturalismo
che riesca a integrare sul serio immigrati vecchi e
nuovi; una politica per le periferie. Questo e altro
nell'intervista fiume a Ken Livingstone, sindaco di
Londra, che compare sul numero di aprile di Prospect.
Sono cambiati i tempi in cui “Ken il rosso”
spaventava Tony Blair con la sua prima elezione da indipendente
nel 2000. Era considerato un pericoloso estremista dall'establishment
labourista, adesso dialoga con tutti anche con il cuore
della City. “Non c'è più un significativo
conflitto ideologico” spiega al magazine dei progressisti
inglesi. “La comunità degli affari, per
esempio, è quasi totalmente depoliticizzata”.
E allora Livingstone può stringere più
facilmente alleanze trasversali attorno a singoli progetti
anche insieme a chi fino a qualche anno fa era suo avversario.
Come quello che ha molto a cuore della ferrovia urbana
che da 17 anni non riesce a trovar soldi. Eppure, l'obiettivo
di decongestionare la metropoli è urgente: Londra
viaggia velocemente verso gli 8 milioni di abitanti.
Addirittura, suggerisce il sindaco, sarebbe il caso
di spostare fuori dal centro i ministeri. Ma rimarrà
un sogno, “perché a tutti piace abitare
a Londra, andare al ristorante e avere case costose”.
Con una parabola simile a quella di tanta parte della
sinistra europea, il sindaco avrebbe abbandonato le
spinte verso l'uguaglianza sociale per abbracciare un'impostazione
più culturale che economica, come sottolinea
il direttore di Prospect David Goodhart. C'è
chi lo ha condannato per essersi schierato per una “globalizzazione
positiva” che si oppone alle forze della reazione,
da qualsiasi parte vengano. E lui si difende: “Non
è il mondo che avrei creato ma è quello
nel quale mi tocca vivere” e dunque farci i conti.
Altro tema toccato nella lunga chiacchierata è
il multiculturalismo, che nella capitale inglese ha
il nome di Londonistan, cioè non integrazione
ma coabitazione forzata di tante enclave religiose e
cultural diverse. Livingstone risponde ai critici del
modello multiculturale. Innanzitutto, c'è il
lavoro che manca. “Sia nel Labour che nei Tories
si sottolinea che la comunità musulmana cresce
separata dal resto della città. Ma sarebbe bene
se per prima cosa si dicesse che gli imprenditori dovrebbero
offrire lavoro ai musulmani”. Una definizione
di multiculturalismo? “Il diritto a essere differenti”
sostiene Livingstone. Senza peraltro crearsi problemi
che non esistono come l'adozione della Sharia in Inghilterra
che nessuno chiede. Né pensare a un controllo
nel flusso migratorio verso Londra (“Il dinamismo
londinese è alimentato dalla sua apertura”).
Non bisogna ragionare per stereotipi, anche nell'universo
islamico esistono personaggi con cui è opportuno
dialogare come al-Qaradawi, mufti che si avvicina alle
posizioni di Tariq Ramadan, che, dice Livingstone, sta
all'islam come Giovanni XXIII è stato al cattolicesimo.
L'Iran secondo l'America liberal
Malgrado sia uscito già da qualche tempo, rimane
quanto mai attuale il dossier che Dissent,
storica rivista liberal americana, dedica alla minaccia
iraniana. L'ex ministro degli Esteri tedesco Joschka
Fischer, in un discorso tenuto lo scorso agosto al Centro
iraniano per la ricerca strategica di Tehran, invitava
Iran ed Europa alla reciproca fiducia, trasparenza,
collaborazione e rispetto reciproco lasciando da parte
suggestioni egemoniche. Su Dissent la trascrizione
dell'intervento di Fischer.
Sul pericolo posto al mondo dall'Iran attuale rispondono
ai direttori Michael Walzer e Mitchell Cohen alcuni
commentatori tra i più autorevoli Shlomo Avineri,
Michael W. Doyle, Yitzhak Nakash, Suzanne Nossel, Anne-Marie
Slaughter.
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