318 - 30.03.07


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Il futuro di Londra
secondo Ken il rosso

Alessandro Lanni


Una strategia per cominciare subito a migliorare l'aria di Londra; il Crossrail (la nuova ferrovia che dovrebbe tagliare da est a ovest la capitale inglese); un multiculturalismo che riesca a integrare sul serio immigrati vecchi e nuovi; una politica per le periferie. Questo e altro nell'intervista fiume a Ken Livingstone, sindaco di Londra, che compare sul numero di aprile di Prospect. Sono cambiati i tempi in cui “Ken il rosso” spaventava Tony Blair con la sua prima elezione da indipendente nel 2000. Era considerato un pericoloso estremista dall'establishment labourista, adesso dialoga con tutti anche con il cuore della City. “Non c'è più un significativo conflitto ideologico” spiega al magazine dei progressisti inglesi. “La comunità degli affari, per esempio, è quasi totalmente depoliticizzata”. E allora Livingstone può stringere più facilmente alleanze trasversali attorno a singoli progetti anche insieme a chi fino a qualche anno fa era suo avversario. Come quello che ha molto a cuore della ferrovia urbana che da 17 anni non riesce a trovar soldi. Eppure, l'obiettivo di decongestionare la metropoli è urgente: Londra viaggia velocemente verso gli 8 milioni di abitanti. Addirittura, suggerisce il sindaco, sarebbe il caso di spostare fuori dal centro i ministeri. Ma rimarrà un sogno, “perché a tutti piace abitare a Londra, andare al ristorante e avere case costose”.

Con una parabola simile a quella di tanta parte della sinistra europea, il sindaco avrebbe abbandonato le spinte verso l'uguaglianza sociale per abbracciare un'impostazione più culturale che economica, come sottolinea il direttore di Prospect David Goodhart. C'è chi lo ha condannato per essersi schierato per una “globalizzazione positiva” che si oppone alle forze della reazione, da qualsiasi parte vengano. E lui si difende: “Non è il mondo che avrei creato ma è quello nel quale mi tocca vivere” e dunque farci i conti.

Altro tema toccato nella lunga chiacchierata è il multiculturalismo, che nella capitale inglese ha il nome di Londonistan, cioè non integrazione ma coabitazione forzata di tante enclave religiose e cultural diverse. Livingstone risponde ai critici del modello multiculturale. Innanzitutto, c'è il lavoro che manca. “Sia nel Labour che nei Tories si sottolinea che la comunità musulmana cresce separata dal resto della città. Ma sarebbe bene se per prima cosa si dicesse che gli imprenditori dovrebbero offrire lavoro ai musulmani”. Una definizione di multiculturalismo? “Il diritto a essere differenti” sostiene Livingstone. Senza peraltro crearsi problemi che non esistono come l'adozione della Sharia in Inghilterra che nessuno chiede. Né pensare a un controllo nel flusso migratorio verso Londra (“Il dinamismo londinese è alimentato dalla sua apertura”). Non bisogna ragionare per stereotipi, anche nell'universo islamico esistono personaggi con cui è opportuno dialogare come al-Qaradawi, mufti che si avvicina alle posizioni di Tariq Ramadan, che, dice Livingstone, sta all'islam come Giovanni XXIII è stato al cattolicesimo.

L'Iran secondo l'America liberal

Malgrado sia uscito già da qualche tempo, rimane quanto mai attuale il dossier che Dissent, storica rivista liberal americana, dedica alla minaccia iraniana. L'ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, in un discorso tenuto lo scorso agosto al Centro iraniano per la ricerca strategica di Tehran, invitava Iran ed Europa alla reciproca fiducia, trasparenza, collaborazione e rispetto reciproco lasciando da parte suggestioni egemoniche. Su Dissent la trascrizione dell'intervento di Fischer.
Sul pericolo posto al mondo dall'Iran attuale rispondono ai direttori Michael Walzer e Mitchell Cohen alcuni commentatori tra i più autorevoli Shlomo Avineri, Michael W. Doyle, Yitzhak Nakash, Suzanne Nossel, Anne-Marie Slaughter.


 

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