Mezzo cinetico
per eccellenza, il cinema è essenzialmente narrativo.
Per questo è molto più comune che i registi
prima di prendere la cinepresa abbiano preso in mano
la penna per scrivere racconti, romanzi, al limite poesie.
Più raro invece che vengano dalle arti plastiche,
statiche e verticali. È il caso, il secondo,
di David Lynch, il più marginale dei registi
hollywoodiani, il più amato dei registi hollywoodiani
in Europa. Non a caso. Quadri, foto, animazioni, disegni,
musica, Lynch è un’artista totale che ha
introdotto nel tempio del cinema quanto di più
estraneo a quel contesto: l’arte d’avanguardia
europea, quella che ha svelato il potenziale distruttivo
interno all’uomo, la fragilità d’un
equilibrio frutto d’incessante conflitto.
Per la prima volta David Lynch spalanca le porte del
suo mondo creativo, mondo che precede e accompagna quello
più noto del cinema. Air on fire, esposizione
allestita dallo stesso regista alla Fondation Cartier
di Parigi, è l’accesso diretto ad un universo
senza cronologia e sviluppo in cui espressionismo e
surrealismo sono declinati in molteplicità di
mezzi, incessantemente coniugati e coagulati intorno
a temi, mostri, ossessioni del filmaker americano.
La casa è il luogo dell’intimità
del sé, l’immagine rassicurante dell’io.
La casa allora non poteva che essere il luogo privilegiato
in cui le intrusioni lynchiane destabilizzano la coscienza,
il luogo in cui l’incosciente emerge a mettere
in causa l’io e le sue costruzioni. Case in fiamme,
case minacciose, case minacciate. O semplicemente case,
che nella loro singola ed evidente presenza richiamano
l’inquietudine dell’esserci e i mostri che
infinitamente si rimuovono. Come nelle foto con pupazzi
di neve. Dieci scatti con dieci case come tante ce ne
sono nella provincia americana, dieci case con dieci
pupazzi di neve come tanti se ne fanno negli inverni
nevosi della provincia americana. E l’inquietudine
che da dietro minaccia la sicurezza che avvolge l’intimità
della provincia americana.
Il sonno della ragione genera mostri, i sogni generano
mostri, la topica lynchiana è un microcosmo di
mostri. Le immagini sono lì sul punto di manifestare
la loro mostruosità. Mostrarle è già
evocarne il recondito inquietante segreto. Lynch le
tocca, le spinge, le mostra da dietro, o da sotto. L’immagine
è la costruzione della coscienza, lo specchio
in cui l’io si riconosce. L’immagine di
Lynch è lo spiraglio di là della coscienza,
è l’incosciente, lo specchio distorto in
cui l’es si manifesta. Come nella serie dei nudi
distorti in cui le foto erotiche del secolo scorso,
immagine controllata dell’eros, lavorate dall’artista
diventano l’inaccettabile emersione di una pulsione
erotica distruttiva e mostruosa.
Espressionismo e surrealismo sbarcarono insieme negli
Stati Uniti prima e durante la Seconda guerra a mettere
in crisi l’ottimistica concezione americana dell’esistenza,
la sua naturale inclinazione a considerare buona la
natura, umana e non. Lynch è intriso di questa
cultura d’Oltreoceano e ne fa suoi i riferimenti.
Nei disegni, ad esempio, i tratti filiformi che definiscono
campi interiori ed esplorazioni psichiche ricordano
Vassily Kandinsky con la differenza che il mondo dell’inconscio
s’inscrive pienamente nel quotidiano. Tovaglioli
di bar e ristoranti, bustine di minerva, fogli intestati
di hotel di mezzo mondo, pezzi qualsiasi di carta, la
mano di Lynch traccia i suoi fantasmi ad ogni momento.
Anche la composizione dello spazio e le figurazioni
delle grandi tele rimandano all’Europa, a Francis
Bacon, come anche ad Edward Hopper, uno dei più
europei degli artisti americani del secolo scorso, la
metafisica realistica del quale è perfettamente
in linea con il realismo inquietante del regista.
Nell’arte totale di Lynch i rimandi non sono
però citazioni, segni della storia. Lo spazio
allestito dall’americano è quello del subconscio,
dato alla diacronia, in cui la datazione delle creazioni
non si dà. Non c’è differenza tra
le creazioni dell’inizio della carriera, di prima
che iniziasse il cinema, e quelle più recenti.
L’inconscio non ha tempo, o almeno ne ha uno diverso
da quello meccanico della coscienza.
Come nei film di Lynch, dove i codici narrativi vengono
continuamente dislocati da emersioni e enigmi che ne
piegano l’orizzontalità in movimenti labirintici
che conducono in luoghi altri, in ogni opera del Lynch
creatore si annida l’occasione di un viaggio in
mondi altri. Molto spesso incubi.
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