George W. 
                          Bush è morto, anzi morirà in autunno. 
                          A organizzare l’attentato al Presidente degli 
                          Stati Uniti d’America è stato Gabriel Range, 
                          regista inglese. Un omicidio preventivo, avverrà 
                          il 19 ottobre 2007 a Chicago, e questa volta non per 
                          mano di un biscottino salato meglio chiamato pretzel, 
                          ma per due colpi di arma da fuoco. Una morte più 
                          degna per un capo di Stato. In Italia l’eclissi 
                          del presidente è visibile dal 16 marzo, quando 
                          Death of a President uscirà nelle nostre 
                          sale. La morte organizzata, che si è conquistata 
                          il premio internazionale della critica Fipresci, è 
                          stata già vista al Festival del Cinema di Toronto, 
                          dove un nutrito numero di cittadini americani ha assistito 
                          per la prima volta all’omicidio del proprio premier. 
                          Negli Stati Uniti pare che l’omicidio abbia riscosso 
                          notevole successo soprattutto a New York e a Los Angeles, 
                          malgrado una distribuzione non favorevole, e che gli 
                          spettatori siano rimasti attoniti e in religioso silenzio 
                          per la plausibilità dell’opera. 
                        Gabriel Range ha organizzato un vero e proprio evento 
                          cinematografico puntando a un prodotto che comprendesse 
                          al suo interno tutte le regole di un’inchiesta 
                          televisiva, ma anche la forza narrativa di un thriller. 
                          E questo è il suo punto forte. Non ha fatto una 
                          docufiction, ma, ci tiene a sottolineare, ha reso la 
                          verità rarefatta come un artificio e l’artificio 
                          talmente ben congegnato da apparire denso come la verità. 
                         
                        Si comincia in volata su New York, il vuoto del Ground 
                          Zero, con le immagini aeree di un’America seriale 
                          e organizzata. Dalle macchine in corsa all’urbanizzazione 
                          civile, arriviamo a Chicago insieme all’Air Force 
                          One che atterra portando con sé il fiume di simpatia 
                          presidenziale G.W. Bush. Non è la controfigura, 
                          è esattamente il signor George a scendere dal 
                          velivolo e a interpretare magistralmente se stesso Presidente, 
                          più attore di Ronald Reagan, che pure incontreremo 
                          più avanti nel film, non molto riconoscibile, 
                          a dire il vero, nella sua cassa da morto. Un’ultima 
                          grande interpretazione di Ronald, stuntman presidenziale 
                          per i funerali del collega George W. Un inconsapevole 
                          cammeo post mortem. Attore inconsapevole più 
                          di tutti, perché a nessuno comunque è 
                          stato concesso recitare in questo film, neanche agli 
                          attori che interpretano i personaggi in interviste emozionanti, 
                          che definire realistiche è un offesa. Il film 
                          procede come un’eccellente inchiesta televisiva 
                          datata 2008 in cui gli intervistati, tutti legati in 
                          qualche modo alla vicenda del 19 ottobre 2007, raccontano 
                          la morte del presidente.  
                        “Siamo tutti convinti che la macchina da presa 
                          non possa mentire. Questo film, però, dimostra 
                          in maniera estrema quello che può avvenire”, 
                          racconta Gabriel Range. E in effetti sono bastati quei 
                          soli dieci minuti di immagini di repertorio, i venticinque 
                          giorni di riprese, il ricorso a qualche effetto visivo 
                          e un ottimo montaggio – questo durato quattro 
                          mesi – per rendere il tutto più che reale. 
                          Una realtà che si rafforza con la scelta degli 
                          attori, pressoché sconosciuti.  
                        Nel film c’è un presidente amato prima 
                          di tutto per rispetto verso la carica istituzionale. 
                          Un presidente coccolato da una probabile ghostwriter, 
                          appassionata autrice del suo celebre gigioneggiare, 
                          e dal suo entourage. C’è l’amministrazione 
                          delle promesse e quella della guerra preventiva. C’è 
                          la sicurezza che si distrae ingenuamente e quella che 
                          acuisce i controlli agli aeroporti e negli hotel. Ci 
                          sono le visite presidenziali, il salvagente di parole 
                          sull’economia in ristagno, gli affondi sugli stati 
                          canaglia. Si conclude che il presidente e il suo staff 
                          hanno decisamente fornito negli ultimi anni materiale 
                          prezioso al regista. 
                        Dal film alla cronaca, Hillary Clinton, forse temendo 
                          un contraccolpo dall’omicidio preventivo dell’avversario, 
                          ha esorcizzato la pellicola criticandola a priori e 
                          gridando allo scandalo di lesa maestà. Le immagini 
                          però non le danno ragione. La morte del presidente 
                          presto diventa la cornice per rappresentare ancora una 
                          volta gli Stati Uniti di questi ultimi sei anni. Il 
                          sospetto, l’inadeguatezza di un’intera macchina 
                          amministrativa, il veloce mutare della soglia di libertà 
                          e la fame di colpevoli, di un colpevole, si fanno largo 
                          tra la finzione delle interviste. Gli scenari istituzionali 
                          si delineano ancora più scuri del ferale omicidio. 
                          Si prospettano altre evoluzioni dei Patriot Act, le 
                          leggi che hanno limitato la libertà personale 
                          dei cittadini americani, entrano in scena gli scheletri 
                          dei reduci della Guerra del Golfo e gli zombie dei giovani 
                          tornati da Baghdad o da Kabul. Si incontrano famiglie 
                          islamiche schiacciate dai controlli a tappeto e una 
                          contestazione civile che non trova spazi di visibilità. 
                          La lucidità del regista ha previsto ragionevolmente 
                          l’evolversi dei conflitti e ha prodotto un film 
                          che dà il brivido del presente reale più 
                          che l’orrore per un ipotetico omicidio futuro, 
                          tanto sono delineate con cognizione le vicende sugli 
                          armamenti nucleari. Si sente invece la stanchezza di 
                          questi anni passati a sperare nella pace e la continua 
                          agonia di questa parola, che sembra non avere più 
                          un solo significato. In questo film, tra tante ingiustizie 
                          raccontate, se Bush è morto, è stato per 
                          finta, perché, a guardar bene, i repubblicani 
                          hanno gridato ancora una volta evviva il presidente 
                          e l’arma migliore è rimasta sempre quella 
                          preventiva. 
                         
                          Death of a President 
                          Regia: Gabriel Range 
                          Interpreti: Brian Boand, Becky Ann Baker, Jay Whittaker, 
                          Hend Ayoub, M. Neko Parham, Tony Dale. 
                         
                         
                           
                         
                           
                         
                         
                           
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