Un’indagine
dello spazio metropolitano, tra modernismo e tradizione,
con gli puntati sul Vecchio Continente. Questa è
stata Transeuropeexpress, la manifestazione che, organizzata
dalla casa delle Letterature di Roma e la Fondazione
Antonio Ratti di Como, ha intitolato la sua terza edizione
“Città Europa”.
Per tre giorni (dal 22 al 24 febbraio), nella nuova
Biblioteca Europea presso l’Auditorium del Goethe
Institut dalla capitale, poeti e sociologici, architetti
e urbanisti si sono confrontati cercando di dare risposte
a chi domandava loro di una definizione dello “spazio
urbano europeo”, o a chi chiedeva di individuare,
se esiste, “un’identità comune che
lega e descrive le metropoli contemporanee del Vecchio
Continente”.
Ciascuno ha risposto secondo il proprio punto di vista,
secondo la propria sensibilità professionale,
come l’architetto irlandese Shane O’Toole
che ha descritto la zona di Temple Bar a Dublino come
un vero e proprio palcoscenico a cielo aperto, un quartiere
frequentato soprattutto da giovani, che ospita pub,
negozi e grandi schermi dislocati in punti strategici
della zona che permettono ai passanti di godersi concerti,
spettacoli teatrali e film. Un modo nuovo di vivere
lo spazio urbano, che si fa cultura e divertimento.
Il progetto urbanistico della regione dell’Øresund
di Copenhagen, descritto dall’ex sindaco della
città Jens Kramer Mikkelsen, ha messo i cittadini
nelle condizioni di godere di palazzine, infrastrutture,
zone destinate allo sport e aree destinate allo shopping.
Una regione ampia, in parte ancora in costruzione, che
tiene conto in primis dei bisogni del cittadino.
Sempre a proposito della capitale danese, Mikkelsen
ha sottolineato il successo riscosso con l’edificazione
del ponte dell’Øresund che unisce la Danimarca
alla Svezia. Un progetto importante, che ha facilitato
gli spostamenti (soprattutto legati alla sfera lavorativa)
di migliaia di abitanti delle diverse sponde e ha creato
al contempo un interscambio culturale continuo tra i
due popoli.
Sociologi e politologi di vari paesi hanno affrontato
il tema della città attraverso l’analisi
dello spazio urbano in quanto contenitore di etnie e
stili di vita, uno per tutti l’intervento del
sociologo francese Gérard Mauger, che ha ricordato
la rivolta delle banlieues del 2005 e gli scontri,
culturali, sociali e politici, tra operai parigini e
immigrati magrebini. Un valido esempio, quello di Mauger,
per introdurre un problema comune a molte nazioni europee,
quello di un centro città sempre più sfavillante,
contrapposto ad una periferia sempre più desolata.
Poeti e drammaturghi hanno interpretato lo spazio urbano
attraverso l’arte della parola, palesando i mille
volti della metropoli moderna in chiave simbolica e
allegorica. “La prosa, la poesia, sono attività
creative che ben si inseriscono nel contesto contemporaneo,
e altrettanto bene si inserisce l’arte visiva,
sia essa architettonica, scultorea o pittorica”,
spiega Maria Ida Gaeta, direttrice della Casa delle
Letterature. “Prendendo spunto dagli interventi
dell’artista greco Zafos Xagoraris’ e dello
studioso inglese Robert Lumley, possiamo dire che l’arte
contemporanea ha molto da offrire alla città
contemporanea, perché interpreta i vuoti degli
spazi urbani metropolitani, nel senso che ‘riveste’
alcune zone della città attraverso strutture,
sculture e architetture all’avanguardia. In questo
modo il cittadino può usufruire tanto della storia
dell’arte antica, di cui l’Europa è
ricca, quanto dell’arte contemporanea, che si
palesa nello spazio urbano sottoforma di infrastruttura
e ornamento”.
Gli interventi degli architetti e degli urbanisti,
così come degli artisti provenienti dalle città
dell’Est europeo hanno sottolineato l’arretratezza
delle loro nazioni rispetto alle grandi capitali occidentali,
sia dal punto di vista architettonico che culturale.
Come ha riassunto la drammaturga slovena Draga Potocnjak:
“È difficile sentirsi cittadino di Lubiana
quando, in certe aree della regione, diventa un problema
persino pronunciare il proprio nome”.
“Sono stati tre giorni fruttuosi – ha continuato
Maria Ida Gaeta – abbiamo individuato linee comuni
e sottolineato differenze sostanziali tra le realtà
metropolitane europee. Certo, non si possono paragonare
tra loro città come Parigi, Sofia e La Valletta,
però si può capire, attraverso una discussione
incrociata, quale significato abbia assunto il termine
città europea”.
“A ben guardare – continua la Dott.ssa Gaeta
– ci si accorge delle assonanze tra le diverse
realtà nazionali: la gran parte delle città
europee, ad esempio, ha un antico nucleo storico attorno
al quale, nei secoli, si è sviluppata la metropoli
moderna che, espandendosi, ha creato il problema centro-periferia
che tutti noi conosciamo e viviamo”.
È, in sostanza, un filo rosso che attraversa
le nostre nazioni da est a ovest e che distingue lo
sviluppo urbanistico del Vecchio Continente dalle megalopoli
australiane o statunitensi. Non è però
l’unico denominatore comune, come ricorda Mario
Fortunato, direttore della Fondazione Ratti: “Questo
evento è servito non tanto all’identificazione
di una possibile città europea, che
ovviamente non può e non potrà mai esistere,
ma alla codificazione di molte realtà urbane,
diverse per storia e tradizioni, economia e cultura.
Volevamo che gli ospiti si confrontassero tra loro e
parlassero delle realtà urbane in termini culturali,
non politici o finanziari, come di solito accade in
questo tipo di conventions”.
Ma come si inserisce l’architettura contemporanea
nello spazio urbano? “A volte si creano attriti
– spiega Maria Ida Gaeta – come ha affermato
l’urbanista maltese Antoine Zammit parlando a
proposito del progetto dell’Ara Pacis dell’architetto
Richard Meyer, pur valutando ottimamente il progetto
in sé, Zammit non ne ha apprezzato l’opera
conclusiva, giudicandola estranea tanto all’Ara
Pacis quanto al contesto urbano circostante”.
Un tema importante, analizzato soprattutto dagli architetti,
è stato quello della comparazione tra le città
europee e le megalopoli asiatiche.
“Dobbiamo stare attenti a non cadere nell’auto-referenzialità
– spiega la Gaeta – il rischio dell’Europa
è quello di chiudersi su se stessa rinunciando
al confronto con le realtà urbane americane e
asiatiche, dalle quali si possono trarre insegnamenti
e spunti per una nuova maniera di interpretare lo spazio
urbano, senza intaccare lo stile, diverso da nazione
a nazione, che rappresenta le tante anime del nostro
Continente.
“Una convergenza è stata comunque rilevata
– conclude Fortunato - tutti i presenti si sono
trovati concordi sul fatto che le città italiane,
eccezion fatta per Torino, sono tra le più arretrate
d’Europa, per lo meno dell’Europa Occidentale.
Le nostre città sono prigioniere di un ideale
di città-museo, i progetti architettonici sono
riservati quasi esclusivamente al settore archeologico,
le città guardano al passato e mai al futuro.
In effetti, poco o nulla si è fatto per creare
nuove aree urbane o per migliorare quelle che già
esistono”. In parole povere, mentre tutta l’Europa
tenta di migliorare la vita dei propri cittadini attraverso
la costruzione di spazi urbani sempre nuovi, comprese
le nazioni economicamente e culturalmente disagiate,
l’Italia rischia di restare ancorata ad una non
ben identificata nostalgia dei tempi che furono.
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