317 - 16.03.07


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Che volto ha la
città europea ?

Tatiana Battini


Un’indagine dello spazio metropolitano, tra modernismo e tradizione, con gli puntati sul Vecchio Continente. Questa è stata Transeuropeexpress, la manifestazione che, organizzata dalla casa delle Letterature di Roma e la Fondazione Antonio Ratti di Como, ha intitolato la sua terza edizione “Città Europa”.

Per tre giorni (dal 22 al 24 febbraio), nella nuova Biblioteca Europea presso l’Auditorium del Goethe Institut dalla capitale, poeti e sociologici, architetti e urbanisti si sono confrontati cercando di dare risposte a chi domandava loro di una definizione dello “spazio urbano europeo”, o a chi chiedeva di individuare, se esiste, “un’identità comune che lega e descrive le metropoli contemporanee del Vecchio Continente”.

Ciascuno ha risposto secondo il proprio punto di vista, secondo la propria sensibilità professionale, come l’architetto irlandese Shane O’Toole che ha descritto la zona di Temple Bar a Dublino come un vero e proprio palcoscenico a cielo aperto, un quartiere frequentato soprattutto da giovani, che ospita pub, negozi e grandi schermi dislocati in punti strategici della zona che permettono ai passanti di godersi concerti, spettacoli teatrali e film. Un modo nuovo di vivere lo spazio urbano, che si fa cultura e divertimento.

Il progetto urbanistico della regione dell’Øresund di Copenhagen, descritto dall’ex sindaco della città Jens Kramer Mikkelsen, ha messo i cittadini nelle condizioni di godere di palazzine, infrastrutture, zone destinate allo sport e aree destinate allo shopping. Una regione ampia, in parte ancora in costruzione, che tiene conto in primis dei bisogni del cittadino. Sempre a proposito della capitale danese, Mikkelsen ha sottolineato il successo riscosso con l’edificazione del ponte dell’Øresund che unisce la Danimarca alla Svezia. Un progetto importante, che ha facilitato gli spostamenti (soprattutto legati alla sfera lavorativa) di migliaia di abitanti delle diverse sponde e ha creato al contempo un interscambio culturale continuo tra i due popoli.

Sociologi e politologi di vari paesi hanno affrontato il tema della città attraverso l’analisi dello spazio urbano in quanto contenitore di etnie e stili di vita, uno per tutti l’intervento del sociologo francese Gérard Mauger, che ha ricordato la rivolta delle banlieues del 2005 e gli scontri, culturali, sociali e politici, tra operai parigini e immigrati magrebini. Un valido esempio, quello di Mauger, per introdurre un problema comune a molte nazioni europee, quello di un centro città sempre più sfavillante, contrapposto ad una periferia sempre più desolata.

Poeti e drammaturghi hanno interpretato lo spazio urbano attraverso l’arte della parola, palesando i mille volti della metropoli moderna in chiave simbolica e allegorica. “La prosa, la poesia, sono attività creative che ben si inseriscono nel contesto contemporaneo, e altrettanto bene si inserisce l’arte visiva, sia essa architettonica, scultorea o pittorica”, spiega Maria Ida Gaeta, direttrice della Casa delle Letterature. “Prendendo spunto dagli interventi dell’artista greco Zafos Xagoraris’ e dello studioso inglese Robert Lumley, possiamo dire che l’arte contemporanea ha molto da offrire alla città contemporanea, perché interpreta i vuoti degli spazi urbani metropolitani, nel senso che ‘riveste’ alcune zone della città attraverso strutture, sculture e architetture all’avanguardia. In questo modo il cittadino può usufruire tanto della storia dell’arte antica, di cui l’Europa è ricca, quanto dell’arte contemporanea, che si palesa nello spazio urbano sottoforma di infrastruttura e ornamento”.

Gli interventi degli architetti e degli urbanisti, così come degli artisti provenienti dalle città dell’Est europeo hanno sottolineato l’arretratezza delle loro nazioni rispetto alle grandi capitali occidentali, sia dal punto di vista architettonico che culturale. Come ha riassunto la drammaturga slovena Draga Potocnjak: “È difficile sentirsi cittadino di Lubiana quando, in certe aree della regione, diventa un problema persino pronunciare il proprio nome”.

“Sono stati tre giorni fruttuosi – ha continuato Maria Ida Gaeta – abbiamo individuato linee comuni e sottolineato differenze sostanziali tra le realtà metropolitane europee. Certo, non si possono paragonare tra loro città come Parigi, Sofia e La Valletta, però si può capire, attraverso una discussione incrociata, quale significato abbia assunto il termine città europea”.
“A ben guardare – continua la Dott.ssa Gaeta – ci si accorge delle assonanze tra le diverse realtà nazionali: la gran parte delle città europee, ad esempio, ha un antico nucleo storico attorno al quale, nei secoli, si è sviluppata la metropoli moderna che, espandendosi, ha creato il problema centro-periferia che tutti noi conosciamo e viviamo”.

È, in sostanza, un filo rosso che attraversa le nostre nazioni da est a ovest e che distingue lo sviluppo urbanistico del Vecchio Continente dalle megalopoli australiane o statunitensi. Non è però l’unico denominatore comune, come ricorda Mario Fortunato, direttore della Fondazione Ratti: “Questo evento è servito non tanto all’identificazione di una possibile città europea, che ovviamente non può e non potrà mai esistere, ma alla codificazione di molte realtà urbane, diverse per storia e tradizioni, economia e cultura. Volevamo che gli ospiti si confrontassero tra loro e parlassero delle realtà urbane in termini culturali, non politici o finanziari, come di solito accade in questo tipo di conventions”.

Ma come si inserisce l’architettura contemporanea nello spazio urbano? “A volte si creano attriti – spiega Maria Ida Gaeta – come ha affermato l’urbanista maltese Antoine Zammit parlando a proposito del progetto dell’Ara Pacis dell’architetto Richard Meyer, pur valutando ottimamente il progetto in sé, Zammit non ne ha apprezzato l’opera conclusiva, giudicandola estranea tanto all’Ara Pacis quanto al contesto urbano circostante”.

Un tema importante, analizzato soprattutto dagli architetti, è stato quello della comparazione tra le città europee e le megalopoli asiatiche.
“Dobbiamo stare attenti a non cadere nell’auto-referenzialità – spiega la Gaeta – il rischio dell’Europa è quello di chiudersi su se stessa rinunciando al confronto con le realtà urbane americane e asiatiche, dalle quali si possono trarre insegnamenti e spunti per una nuova maniera di interpretare lo spazio urbano, senza intaccare lo stile, diverso da nazione a nazione, che rappresenta le tante anime del nostro Continente.

“Una convergenza è stata comunque rilevata – conclude Fortunato - tutti i presenti si sono trovati concordi sul fatto che le città italiane, eccezion fatta per Torino, sono tra le più arretrate d’Europa, per lo meno dell’Europa Occidentale. Le nostre città sono prigioniere di un ideale di città-museo, i progetti architettonici sono riservati quasi esclusivamente al settore archeologico, le città guardano al passato e mai al futuro. In effetti, poco o nulla si è fatto per creare nuove aree urbane o per migliorare quelle che già esistono”. In parole povere, mentre tutta l’Europa tenta di migliorare la vita dei propri cittadini attraverso la costruzione di spazi urbani sempre nuovi, comprese le nazioni economicamente e culturalmente disagiate, l’Italia rischia di restare ancorata ad una non ben identificata nostalgia dei tempi che furono.


 


 

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