317 - 16.03.07


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“Così ho scoperto un
inedito Mendelssohn”

Roberto Prosseda
con Daniela Gangale


Capita che per anni delle partiture rimangano nascoste, anche se portano la firma prestigiosissima di Felix Mendelssohn Bartholdy. E capita che questi pezzi non siano cose di poco conto o brani di piccola consistenza, sono invece concerti e sonate di notevole durata, eclissati da interessi e motivi di carattere sociologico o religioso.
Capita poi che un pianista, giovane ma già affermato e riconosciuto a livello internazionale come Roberto Prosseda, prenda queste partiture e le riporti fuori dal dimenticatoio offrendole agli orecchi del pubblico. Un’operazione che sta assumendo fama e dimensioni di un vero e proprio fenomeno, cui da qualche anno la Decca si è interessata con due cd, Mendelssohn Discoveries (476 3038) e Mendelssohn Rarities (476 5277).

Abbiamo incontrato il maestro Prasseda in Toscana, appena tornato da una tourneè internazionale che l’ha visto protagonista, insieme alla Berliner Synphoniker Orchestra, dell’esecuzione in prima mondiale di un concerto inedito per pianoforte e orchestra del compositore tedesco.

Come è stato osservato dal “Wall Street Journal” da “l’Espresso”, lei oggi sta facendo per Mendelssohn ciò che Mendelssohn stesso fece per la Passione Secondo Matteo di Bach, ossia riportare alla luce e divulgare una musica rimasta sommersa e che rischiava di essere cancellata dal tempo. Come è arrivato a scoprire gli inediti? Fortuna o metodo?

Direi entrambi. Come spesso accade a chi dedica il suo tempo alla ricerca, cercando qualcosa se ne trova un’altra; per gli inediti mendelssohniani è successo più o meno così. Alla fine degli anni Novanta mi dedicavo alla ricerca e all’esecuzione della musica pianistica di Goffredo Petrassi e in particolare ero sulle tracce di Egloga, un pezzo apparentemente scomparso. E così cercando tra le carte della Library of Congress di Washington scoprii il manoscritto di una Sonata di Salieri; fu un caso fortuito che mi fece capire però quanto materiale inedito era ancora nascosto tra le pieghe delle più importanti biblioteche del mondo. Negli ultimi anni inoltre, grazie a Internet e ai cataloghi informatizzati è diventato sempre più agevole fare delle ricerche anche da casa propria e andare poi a recuperare i pezzi già individuati. Tra il 2002 e il 2003 ebbi occasione di leggere un articolo sulle fonti di Mendelssohn in cui si spiegava come molta della sua musica non fosse stata pubblicata. Il compositore stesso in una lettera a Schumann, che era suo carissimo amico e vicino di casa a Berlino, scrive senza equivoci che appena un quinto di quello che aveva composto era stato poi pubblicato.

Quali sono i motivi di questo fatto incredibile? Era difficile per Mendelssohn trovare editori disposti a pubblicare la sua musica?

Non direi; la questione sta piuttosto in altri termini, da una parte sociologici e familiari e dall’altra religiosi.
Mendelssohn proveniva da una ricca famiglia ebrea, il padre era un banchiere; aveva così ricevuto un’educazione eccellente e sin da piccolissimo aveva potuto coltivare il suo genio musicale con l’aiuto dei migliori compositori dell’epoca. Basti pensare che per il suo dodicesimo compleanno il padre gli regalò addirittura un’orchestra: i migliori professori dell’orchestra stabile di Berlino erano lautamente pagati per andare la domenica in casa Mendelssohn a provare le composizioni del giovane compositore. C’è da dire che il piccolo Felix si applicava notevolmente e così abbiamo numerosi quaderni di “esercizi” musicali tra cui non mancano brani assolutamente maturi e complessi dal punto di vista contrappuntistico e formale.
Quanto alla questione della pubblicazione dobbiamo cercare di contestualizzare il nostro discorso. Al giorno d’oggi è normale per un compositore dare diffusione delle proprie opere attraverso la pubblicazione, sia per un discorso economico sia anche per la tutela della proprietà intellettuale. Ai tempi di Mendelssohn, e stiamo parlando di oltre 150 anni fa, le cose non stavano proprio così. I compositori che più si interessavano di pubblicare le proprie opere erano soprattutto quelli che avevano bisogno di lavorare per vivere; la storia della musica è piena di geni che dovevano combattere con le difficoltà economiche, da Mozart, a Schubert allo stesso Schumann. Mendelssohn non aveva assolutamente di queste preoccupazioni; ecco perché era interessato sicuramente a far eseguire la sua musica ma non altrettanto a farla pubblicare.

E i motivi religiosi?

Riguardano soprattutto la dispersione dei manoscritti dopo la morte del compositore e la conseguente impossibilità di pubblicare, almeno postume, molte opere. Il corpus dei manoscritti di Mendelssohn, infatti, è andato disperso dopo la sua morte anche per il fatto che il compositore era ebreo: prima Wagner col noto articolo Giudaismo in musica e poi le leggi razziali e le distruzioni della seconda guerra mondiale diedero una pesante mano alla diaspora dei manoscritti, più avanti pubblicati in maniera organica solo in parte. Nonostante la grandezza indiscussa del compositore, gli editori non si sono ancora seriamente posti il problema di fare una ricerca musicologica completa per scovare il materiale nascosto negli archivi. Il giacimento è talmente ingente che basta scavare un poco per imbattersi in pezzi di straordinario valore musicale.

Non possiamo però ipotizzare che la musica non pubblicata probabilmente non piacesse a Mendelssohn fino in fondo? Non potrebbe trattarsi di spunti che Mendelssohn non aveva completato perché non vi si riconosceva?

Qualche scrupolo di questo genere lo si può avere per i pezzi non finiti ma per quelli completi non direi. Ad esempio non molti sanno che la stessa Sinfonia Italiana, brano famosissimo di Mendelssohn e senza dubbio completo e caratterizzante la sua opera, è stata pubblicata dopo la morte. D’altronde Mendelssohn non è solo in questo destino: anche Schubert, ad esempio, pubblicò in vita una sola sonata per pianoforte.

Quale era il rapporto di Mendelssohn con l’Italia?

Senza dubbio un rapporto d’amore. Mendelssohn, come tutte le persone colte della sua epoca era totalmente affascinato da quello che era stato definito da Goethe “il paese dove fioriscono i limoni” e compì viaggi in varie parti d’Italia, realizzando anche dei pregevoli acquarelli attualmente conservati nella sua casa-museo di Berlino. Visitò la costiera amalfitana, soggiornò a Firenze e a Roma e spesso in occasione di visite a famiglie aristocratiche aveva l’abitudine di lasciare un pezzo autografo come ringraziamento per l’ospitalità. La maggior parte di questi cadeaux sono inediti.

Questi inediti possono aiutare musicologi ed interpreti ad avere un nuovo punto di vista sull’opera di Mendelssohn? In altri termini, gli inediti ci fanno conoscere un nuovo Mendelssohn o ci aiutano a capire meglio quello che conosciamo già?

Indubbiamente gli inediti ci aiutano a comprendere meglio la formazione del nostro compositore e testimoniano la solidità della sua preparazione contrappuntistica e la varietà di esperienze musicali che confluiscono nella sua scrittura. Un elemento evidente in molti inediti è inoltre l’eclettismo stilistico che mano a mano scompare nelle opere successive. Questo può essere determinato da due ordini di motivi: da una parte infatti Mendelssohn individuava un linguaggio sempre più personale e dunque sentiva meno l’esigenza di sperimentare e accostare linguaggi e stili differenti; dall’altra il confronto sempre più serrato con il pubblico e il fatto di diventare via via più conosciuto e importante come compositore gli imponeva in qualche modo di soddisfare le aspettative, di scrivere ciò che ci si aspettava da lui e dunque lo indirizzava verso un minore sperimentalismo. Dunque un Mendelssohn più sbarazzino e sperimentatore: questa è l’inedita immagine che questi pezzi ci regalano.

 

 

 


 

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