Capita che
per anni delle partiture rimangano nascoste, anche se
portano la firma prestigiosissima di Felix Mendelssohn
Bartholdy. E capita che questi pezzi non siano cose
di poco conto o brani di piccola consistenza, sono invece
concerti e sonate di notevole durata, eclissati da interessi
e motivi di carattere sociologico o religioso.
Capita poi che un pianista, giovane ma già affermato
e riconosciuto a livello internazionale come Roberto
Prosseda, prenda queste partiture e le riporti fuori
dal dimenticatoio offrendole agli orecchi del pubblico.
Un’operazione che sta assumendo fama e dimensioni
di un vero e proprio fenomeno, cui da qualche anno la
Decca si è interessata con due cd, Mendelssohn
Discoveries (476 3038) e Mendelssohn Rarities
(476 5277).
Abbiamo incontrato il maestro Prasseda in Toscana,
appena tornato da una tourneè internazionale
che l’ha visto protagonista, insieme alla Berliner
Synphoniker Orchestra, dell’esecuzione in prima
mondiale di un concerto inedito per pianoforte e orchestra
del compositore tedesco.
Come è stato osservato dal “Wall
Street Journal” da “l’Espresso”,
lei oggi sta facendo per Mendelssohn ciò che
Mendelssohn stesso fece per la Passione Secondo
Matteo di Bach, ossia riportare alla luce e divulgare
una musica rimasta sommersa e che rischiava di essere
cancellata dal tempo. Come è arrivato a scoprire
gli inediti? Fortuna o metodo?
Direi entrambi. Come spesso accade a chi dedica il
suo tempo alla ricerca, cercando qualcosa se ne trova
un’altra; per gli inediti mendelssohniani è
successo più o meno così. Alla fine degli
anni Novanta mi dedicavo alla ricerca e all’esecuzione
della musica pianistica di Goffredo Petrassi e in particolare
ero sulle tracce di Egloga, un pezzo apparentemente
scomparso. E così cercando tra le carte della
Library of Congress di Washington scoprii il manoscritto
di una Sonata di Salieri; fu un caso fortuito che mi
fece capire però quanto materiale inedito era
ancora nascosto tra le pieghe delle più importanti
biblioteche del mondo. Negli ultimi anni inoltre, grazie
a Internet e ai cataloghi informatizzati è diventato
sempre più agevole fare delle ricerche anche
da casa propria e andare poi a recuperare i pezzi già
individuati. Tra il 2002 e il 2003 ebbi occasione di
leggere un articolo sulle fonti di Mendelssohn in cui
si spiegava come molta della sua musica non fosse stata
pubblicata. Il compositore stesso in una lettera a Schumann,
che era suo carissimo amico e vicino di casa a Berlino,
scrive senza equivoci che appena un quinto di quello
che aveva composto era stato poi pubblicato.
Quali sono i motivi di questo fatto incredibile?
Era difficile per Mendelssohn trovare editori disposti
a pubblicare la sua musica?
Non direi; la questione sta piuttosto in altri termini,
da una parte sociologici e familiari e dall’altra
religiosi.
Mendelssohn proveniva da una ricca famiglia ebrea, il
padre era un banchiere; aveva così ricevuto un’educazione
eccellente e sin da piccolissimo aveva potuto coltivare
il suo genio musicale con l’aiuto dei migliori
compositori dell’epoca. Basti pensare che per
il suo dodicesimo compleanno il padre gli regalò
addirittura un’orchestra: i migliori professori
dell’orchestra stabile di Berlino erano lautamente
pagati per andare la domenica in casa Mendelssohn a
provare le composizioni del giovane compositore. C’è
da dire che il piccolo Felix si applicava notevolmente
e così abbiamo numerosi quaderni di “esercizi”
musicali tra cui non mancano brani assolutamente maturi
e complessi dal punto di vista contrappuntistico e formale.
Quanto alla questione della pubblicazione dobbiamo cercare
di contestualizzare il nostro discorso. Al giorno d’oggi
è normale per un compositore dare diffusione
delle proprie opere attraverso la pubblicazione, sia
per un discorso economico sia anche per la tutela della
proprietà intellettuale. Ai tempi di Mendelssohn,
e stiamo parlando di oltre 150 anni fa, le cose non
stavano proprio così. I compositori che più
si interessavano di pubblicare le proprie opere erano
soprattutto quelli che avevano bisogno di lavorare per
vivere; la storia della musica è piena di geni
che dovevano combattere con le difficoltà economiche,
da Mozart, a Schubert allo stesso Schumann. Mendelssohn
non aveva assolutamente di queste preoccupazioni; ecco
perché era interessato sicuramente a far eseguire
la sua musica ma non altrettanto a farla pubblicare.
E i motivi religiosi?
Riguardano soprattutto la dispersione dei manoscritti
dopo la morte del compositore e la conseguente impossibilità
di pubblicare, almeno postume, molte opere. Il corpus
dei manoscritti di Mendelssohn, infatti, è andato
disperso dopo la sua morte anche per il fatto che il
compositore era ebreo: prima Wagner col noto articolo
Giudaismo in musica e poi le leggi razziali
e le distruzioni della seconda guerra mondiale diedero
una pesante mano alla diaspora dei manoscritti, più
avanti pubblicati in maniera organica solo in parte.
Nonostante la grandezza indiscussa del compositore,
gli editori non si sono ancora seriamente posti il problema
di fare una ricerca musicologica completa per scovare
il materiale nascosto negli archivi. Il giacimento è
talmente ingente che basta scavare un poco per imbattersi
in pezzi di straordinario valore musicale.
Non possiamo però ipotizzare che la
musica non pubblicata probabilmente non piacesse a Mendelssohn
fino in fondo? Non potrebbe trattarsi di spunti che
Mendelssohn non aveva completato perché non vi
si riconosceva?
Qualche scrupolo di questo genere lo si può
avere per i pezzi non finiti ma per quelli completi
non direi. Ad esempio non molti sanno che la stessa
Sinfonia Italiana, brano famosissimo di Mendelssohn
e senza dubbio completo e caratterizzante la sua opera,
è stata pubblicata dopo la morte. D’altronde
Mendelssohn non è solo in questo destino: anche
Schubert, ad esempio, pubblicò in vita una sola
sonata per pianoforte.
Quale era il rapporto di Mendelssohn con l’Italia?
Senza dubbio un rapporto d’amore. Mendelssohn,
come tutte le persone colte della sua epoca era totalmente
affascinato da quello che era stato definito da Goethe
“il paese dove fioriscono i limoni” e compì
viaggi in varie parti d’Italia, realizzando anche
dei pregevoli acquarelli attualmente conservati nella
sua casa-museo di Berlino. Visitò la costiera
amalfitana, soggiornò a Firenze e a Roma e spesso
in occasione di visite a famiglie aristocratiche aveva
l’abitudine di lasciare un pezzo autografo come
ringraziamento per l’ospitalità. La maggior
parte di questi cadeaux sono inediti.
Questi inediti possono aiutare musicologi ed
interpreti ad avere un nuovo punto di vista sull’opera
di Mendelssohn? In altri termini, gli inediti ci fanno
conoscere un nuovo Mendelssohn o ci aiutano a capire
meglio quello che conosciamo già?
Indubbiamente gli inediti ci aiutano a comprendere
meglio la formazione del nostro compositore e testimoniano
la solidità della sua preparazione contrappuntistica
e la varietà di esperienze musicali che confluiscono
nella sua scrittura. Un elemento evidente in molti inediti
è inoltre l’eclettismo stilistico che mano
a mano scompare nelle opere successive. Questo può
essere determinato da due ordini di motivi: da una parte
infatti Mendelssohn individuava un linguaggio sempre
più personale e dunque sentiva meno l’esigenza
di sperimentare e accostare linguaggi e stili differenti;
dall’altra il confronto sempre più serrato
con il pubblico e il fatto di diventare via via più
conosciuto e importante come compositore gli imponeva
in qualche modo di soddisfare le aspettative, di scrivere
ciò che ci si aspettava da lui e dunque lo indirizzava
verso un minore sperimentalismo. Dunque un Mendelssohn
più sbarazzino e sperimentatore: questa è
l’inedita immagine che questi pezzi ci regalano.
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