“Ho
sentito la materia mettersi nel soggetto come un personaggio
dominante, come in certi drammi dove l’oppressione
di una fatalità gravita su tutti i personaggi
e sulle cose, tanto che tutto prende un colore solo,
che io chiamo il colore della vita sospesa in ansia”
In occasione del sessantesimo anniversario dalla scomparsa
di Arturo Martini, la Galleria Nazionale Arte Moderna
di Roma ospita la prima antologica dell’artista,
con circa 100 opere provenienti da importanti collezioni
pubbliche e private, alcune fino ad oggi mai esposte
e qui presentate in particolari sequenze che testimoniano
la suggestiva sintesi plastica del linguaggio scultoreo
di Martini.
Attingendo talvolta da fonti puramente classiche, rinascimentali,
talvolta capovolgendo ogni forma di canone prestabilito,
al passo d’una rivoluzione artistica tipica del
Novecento Italiano, le sue opere oscillano tra una forma
drammatica e una, ben più fortificata, lirico-poetica.
Arturo Martini, nato a Treviso nel 1889, ritenuto oggi
il massimo scultore del XX secolo, è l’artista
che più di ogni altro è riuscito a rinnovare,
con grande talento, l’impoverita tradizione della
scultura italiana del Novecento.
In lui immediatezza, gestualità, rischio, allegria,
sensualità, forza e monumentalità si articolano
e si fondono in un’unica dote; quell’ unica
dote che egli ha profuso subitaneamente in quest’arte
difficile e troppo spesso svilita dalle commissioni
ufficiali.
In scritto dello stesso artista possiamo riconoscere
il suo rifiuto di ogni regola e schema prestabiliti
che accompagnavano però le rivisitazione del
classico linguaggio di fare scultura, dai Greci al Canova
al Bernini: “Arrivare a fare le pieghe come Fidia,
e salire poi alla libertà più lirica e
musicale del Bernini, ecco il mio sogno. Fidia è
il Bernini dei Greci”. In queste poche righe la
testimonianza di una linea artistica che guida l’ampia
opera di Martini.
Un’opera variegata in cui l’artista non
predilige alcun tema in particolare, l’importante
resta il raccontare, attraverso l’ausilio di svariate
materie che vanno dalla terracotta al bronzo, al legno,
alla pietra, al marmo, plasticamente modellate da un’eguale
gestualità musicale.
Dalle sue opere traspare un continuo tendere all’inafferrabile,
seppur in contesto quotidiano. Il Bevitore
che cerca l’acqua, i Pastori e le Donne
che cercano le stelle, la Vittoria che si slancia
verso il cielo.
Oltre a queste opere, particolare importanza riveste
La Pisana. Quattordici anni dopo aver letto
le Confessioni di un italiano, Martini dedica
a Ippolito Nievo un monumento, poi distrutto, e alla
protagonista del romanzo il suo primo grande nudo femminile,
La Pisana appunto, eseguito nel 1928 nello
studio di Villa Strhol-fern. È questo un capolavoro
in cui Martini affronta il tema a lui congeniale del
corpo disteso (“la figura adagiata ha origini
eterne”) equilibrando al tempo stesso, tradizione
classica e moderna costruzione che echeggia caratteristiche
del cubismo.
Dunque l’antologica che a lui oggi la Galleria
d’Arte Moderna di Roma dedica, proseguimento della
stessa ospitata nelle due sedi milanesi del Museo della
Permanente e della Fondazione Stelline, vuol essere
un doppio omaggio finalizzato a documentare il rapporto
che l’artista ebbe con queste due città,
e come entrambe furono decisive e per la sua crescita
artistica e per il suo inserimento nel clima culturale
del tempo.
Arturo Martini
25 febbraio – 13 maggio 2007
Galleria Nazionale d’Arte Moderna
Viale delle Belle Arti, 131 - Roma
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