Iza è
una donna molto (fin troppo) controllata. Il suo lavoro
di medico la soddisfa, ha un amante devoto e all’apparenza
non sembra mancare di nulla; ma la freddezza che emana
dal suo carattere iperrazionale e il modo distaccato
con cui si pone nei confronti della sofferenza altrui
svelano un’allarmante algidità/immaturità
affettiva. Ne farà le spese soprattutto sua madre
Etelka, costretta dalla figlia – dopo la morte
del marito – a lasciare la sua vecchia cittadina
di provincia per trasferirsi a Budapest da Iza, che
prenderà a gestire la povera vedova costringendola
in una prigione dorata ad una condotta succube e alienante,
senza tener conto alcuno delle esigenze dell’anziana
signora. Così Etelka, dopo aver tentato invano
di opporsi al nuovo stile di non-vita, languirà
in silenzio, deperendo sempre più fino alla sua
tragica uscita di scena (disgrazia, suicidio o un mix
di ambedue?), destinata a far precipitare pure Iza nel
baratro di una depressione/isolamento che difficilmente
la donna saprà superare.
Questa, a brevi linee, la trama del romanzo dell’ungherese
Magda Szabó La ballata di Iza: testo
tutto giocato sullo scavo psicologico e volto a esplorare
il senso di sradicamento che un lutto o una separazione
(affettiva o dall’ambiente di vita e lavoro) comporta.
Molteplici infatti sono i distacchi e le perdite che
i vari personaggi di questa narrazione si trovano a
patire. Sullo sfondo del racconto, in primo luogo, aleggia
infatti l’atmosfera – anch’essa davvero
luttuosa – della società ungherese fascista,
con le purghe tipiche di tale regime autoritario (poi
reiterate anche in quello comunista, dopo il ’45)
che quasi sempre causavano la morte civile – quando
non fosse il caso dell’eliminazione fisica vera
e propria – o l’ostracismo nei confronti
della vittima. E vittime sono comunque un po’
tutti i personaggi di questa storia corale: dal marito
di Etelka – un giudice per anni ingiustamente
perseguitato –, all’anziana vedova di cui
sopra ho detto, alla stessa Iza: incapace di emanciparsi
una volta per tutte dalla condizione di figlia d’un
proscritto e costretta ad incarnare l’algido ruolo
di donna e medico impeccabile. Fino agli altri due personaggi
maschili del romanzo: l’ex marito di Iza, scampato
con fatica al deserto affettivo in cui la moglie voleva
confinarlo; e da ultimo il nuovo compagno della dottoressa,
da cui lei sarà bruscamente abbandonata una volta
resosi egli conto della sua incapacità emotiva
di relazionarsi.
Romanzo sulla difficoltà nello stabilire rapporti
intensi e coinvolgenti, allora, o sull’incomunicabilità.
Romanzo sulla solitudine, quindi, e sugli ambivalenti
legami parentali/sentimentali che possono soffocare
questo o quel membro della famiglia/coppia per eccesso,
difetto o travisamento d’amore.
Romanzo sul lutto e sulla perdita, si accennava, e
in primo luogo sull’incapacità di elaborarli,
per dirla in termini psicoanalitici. Non riesce infatti
a farlo la vedova Etelka (ed è davvero convincente
l’incisività di certi particolari, di certe
sfumature descrittive o caratterologiche che definiscono,
con estrema precisione emozionale ed efficacia narrativa,
il cordoglio e il dramma di chi è stato privato
di un affetto significativo, di un legame importante).
E meno ancora Iza (che evita persino di andare al funerale
del padre adorato), la quale, per timore di soffrire
rende glaciale e impassibile il proprio cuore. Ci riescono,
sia pur tardivamente, fuggendo un rapporto sbagliato
prima di esserne travolti, i due compagni di Iza:
prima il marito, quindi l’amante. Uomini dissimili
tranne che nell’essersi fatti sedurre (dal latino
sed ducere, condurre in disparte: perciò
sviare) – a rischio di inaridirsi anch’essi
– dalla pur sempre fascinosa Iza, in quanto a
prima vista perfetta.
Una donna destinata fatalmente a rimanere sola. L’abbandonerà
persino la scrittrice a una sorte che non possiamo immaginare
diversa da una vacuità colmata solo dal rimpianto;
in una scena finale percorsa da eloquenti folate d’aria
gelida (“il vento del nord, il vento della puszta”),
mentre invano, come una bambina derelitta, Iza invoca:
“per la prima volta nella sua vita. – Mamma!
Papà!”. Ovvio nessuno possa risponderle
dal regno dei morti. Eppure – chi può escluderlo
– avvertire il dolore nell’anima potrebbe
essere l’inizio di una consapevolezza in grado
di liberarla un giorno dalla gelida corazza con cui
non è mai riuscita a proteggersi. Ma questa è
un’altra storia. La struggente Ballata di
Iza, per il momento, termina qui.
Magda Szabó,
La ballata di Iza,
trad. di Bruno Ventavoli,
Einaudi, pp. 304, € 18,00
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