La mostra
Turchia: 7000 anni di storia ripercorre alcune
delle tappe che hanno segnato il lungo cammino dei popoli
dell’Anatolia dal lontano Neolitico, intorno alla
fine dell’VIII millennio a.C., fino ai nostri
giorni.
Spesso le scoperte e le conquiste culturali di cui le
terre anatoliche sono state il teatro hanno segnato
profondamente la cività europea e, a sua volta,
la civiltà occidentale ha plasmato in parte il
volto della Turchia moderna.
Il periodo neolitico (8000-5000 a.C.)
Tutto inizia con l’avvento dell’agricoltura.
Nella piana di Konya e più specificamente sul
sito di Çatal Höyük, verso la fine
dell’VIII millennio a.C., gli uomini, dopo aver
selezionato semi e piante, cambiano radicalmente stile
di vita. Da cacciatori e raccoglitori quali erano, diventano
allevatori e contadini. Addomesticano caprini, suini,
ovini e bovini, arano e seminano i campi e iniziano
a costruire villaggi. Per la prima volta nella storia,
la sopravvivenza della specie non dipende più
dai frutti aleatori della caccia e dalla raccolta ma
dal lavoro nei campi.
Il nuovo rapporto con l’ambiente influisce sulle
relazioni tra l’uomo, l’arte e il sacro.
In tutte le civiltà neolitiche sono largamente
diffuse rappresentazioni femminili di dee-madri con
caratteristiche comuni: si tratta per lo più
di statuette che evidenziano gli attributi della fecondità.
Nello scavo di Çatal Höyük, accanto
a tracce evidenti di un culto del toro, è stata
scoperta una statuetta femminile di dea-madre nell’atto
di partorire. L’associazione tra la dea-madre
e il toro non è casuale. Il toro, onnipresente
nell’arte pre e protostorica, simbolo di forza
e di coraggio, è anche l’animale che, addomesticato,
trascina l’aratro e aiuta il contadino a seminare
i campi. In realtà la dea-madre di Çatal
Höyük è identificabile con la madre-terra,
la grande divinità venerata da tutti i popoli
che hanno imparato a lavorare i campi e ad addomesticare
gli animali.
L’apparizione dell’agricoltura nelle antiche
terre dell’Anatolia determina un incremento demografico
e spinge l’uomo a ricercar nuovi spazi. La rivoluzione
neolitica investe le regioni a est e a ovest della piana
di Konya. Insieme alle tecniche agricole sperimentate
a Çatal Höyük si diffondono anche i
culti legati all’agricoltura, come quelli della
madre-terra e del dio-toro. Lo testimoniano le innumerevoli
rappresentazioni di queste divinità provenienti
sia dall’oriente siriano e mesopotamico che da
mondo egeo o dall’area tessalico-danubiana.
Ritroveremo l’attestazione della madre-terra lungo
tutto l’arco della storia antica; nelle civiltà
classiche la dea verrà indicata con il nome di
Demetra dai greci, di Cerere dai romani, di Cibele nel
mondo frigio e anatolico del I millennio a.C. La stessa
divinità è raffigurata nella statuetta
in calcare rinvenuta a Canhasan, risalente al primo
periodo calcolitico (IV millennio a.C.), presente nella
mostra.
Alla luce di questa nuova evidenza legata alla diffusione
dell’agricoltura a partire dall’odierna
Turchia alcuni studiosi, tra cui due ricercatori dell’università
di Auckland in Nuova Zelanda, Russel Gray e Quentin
Atkinson, sostengono che la grande migrazione indo-europea
non sarebbe partita dalle steppe euro-asiatiche dell’Ucraina
ma dall’Anatolia (cfr. la rivista “Nature”
del 27 novembre 2003).
La nascita dell’agricoltura e la possibilità
di costituire riserve di cibo per supplire a eventuali
periodi di magra spingono l’uomo a inventare un
sistema di controllo dei depositi dove sono stoccati
i prodotti. Si diffondono così in tutte le civiltà
neolitiche i primi strumenti amministrativi che consentono
ai responsabili di rendere conto dei movimenti di cui
i magazzini posti sotto il loro controllo sono il teatro.
Si tratta di oggetti chiamati per convenzione “sigilli”o
“pintaderas”, di cui è presentato
un esemplare nella mostra (n. inventario 798-13-65).
Reperti simili sono attestati in Anatolia, nel Vicino
Oriente, nelle regioni settentrionali dell’Egeo
e nei Balcani durante tutto il periodo neolitico. Questi
oggetti sono soprattutto in terracotta ma anche in pietra.
I motivi incisi molto profondamente sono, il più
delle volte, a forma di meandri o di spirali. In altri
casi si tratta di motivi geometrici semplici, come zigzag,
circoli concentrici e raggi. Questi motivi sono sempre
diversi da quelli che fanno parte del sistema decorativo
corrente. Alcuni li hanno considerati, certamente a
torto, segni embrionali di una scrittura in formazione.
L’età del bronzo (3000-1200 a.C.)
L’Anatolia entra nell’età del bronzo
verso la fine del IV millennio a.C. Legando il rame
e lo stagno i suoi abitanti producono armi, utensili,
recipienti, gioielli e statuine.
Tra la fine del IV e l’inizio del III millennio
a.C. il centro delle civiltà anatoliche si sposta
nella zona settentrionale del Paese. Verso il 2300 a.C.
questa regione conosce uno sviluppo straordinario caratterizzato
dall’elaborazione di forme di vita e di economia
più evolute, legate a un’attività
industriale basata sullo sfruttamento e sulla lavorazione
dei metalli. All’estremo ovest dell’altopiano
anatolico, la seconda città di Troia (quella
in cui fu rinvenuto il cosiddetto tesoro di Priamo)
ha restituito oggetti di natura, di ricchezza e di fattura
paragonabili a quelli scoperti nei siti e nelle necropoli
di Alacahöyük, Eskiyapar, Kalinkaya, Mahmatlar,
Kayapinar e Horoztepe.
Gli oggetti deposti nelle tombe dimostrano l’alto
livello raggiunto dalle popolazioni anatoliche nella
lavorazione dei metalli. Le scoperte di Alacahöyük,
Horoztepe, Kültepe consentono di affermare che
l’industria metallurgica, al pari dell’agricoltura,
rappresentava un capitolo essenziale dell’attività
economica dei popoli dell’altopiano anatolico
nel periodo del bronzo antico.
Straordinari manufatti in oro, argento, elettro, rame
e bronzo e alcuni rarissimi reperti in ferro dimostrano
che le popolazioni locali avevano imparato a sfruttare
i giacimeni metalliferi della zona pontica. I minerali
che scarseggiavano nelle immediate vicinanze degli insediamenti
anatolici dovevano essere importati da Paesi lontani.
Le similitudini tra manufatti rinvenuti in località
diverse, anche distanti tra loro, lasciano supporre
che artisti e artigiani itineranti prestavano la loro
opera a vari sovrani o capi locali.
Tra i reperti presenti nella mostra, oltre la splendida
statuetta di dea in oro e argento di Alacahöyük,
probabile raffigurazione della madre-terra di neolitica
memoria, possiamo ammirare un sistro e una insegna in
bronzo provenienti rispettivamente da Horoztepe e Alacahöyük.
Le insegne in bronzo, spesso di forma circolare, sono
state interpretate in modi molto diversi. Alcuni studiosi
hanno ritenuto che queste figure sormontate da rappresentazioni
di animali dovessero essere collocate su baldacchini
o su stendardi; altri hanno pensato che si trattasse
di dischi solari o di raffigurazioni stilizzate della
volta celeste.
L’età delle colonie assire (1950-1750
a.C.)
All’inizio del secondo millennio a.C. l’Anatolia
esce dalla preistoria per entrare nella storia. La scrittura,
lo strumento senza uguale che consente all’uomo
di trasmettere nel tempo e nello spazio un messaggio
univoco, fa la sua apparizione sull’altopiano.
Gruppi di commercianti assiri hanno aperto succursali
(kârum) e agenzie (wabârtum) nel centro
e nel sud-est della penisola anatolica.
Ai confini orientali dell’altopiano, nella piana
fertile che si estende a nord del monte Argeo, sorge
la vasta collina di Kültepe, il sito dell’antica
città di Kanesh. Capitale di un’entità
politica, Kanesh o Nesa, possedeva un palazzo, case
aristocratiche, templi e quartieri di abitazioni circondati
da mura difensive. I mercanti assiri scelsero questa
agglomerazione per stabilirvi la sede centrale delle
loro colonie. Kanesh, vero e proprio crocevia tra est
ed ovest, diventerà così l’interlocutrice
amministrativa tra la metropoli di Assur sul Tigri e
le numerose succursali che gli assiri apriranno in tutta
l’Anatolia centrale fino al delta del fiume Kizil
Irmak (l’antico Halys).
Nelle rovine dell’antica Kanesh sono stati scoperti
oltre 17.000 testi in scrittura cuneiforme e in lingua
assira che risalgono a un periodo compreso tra il 1940-1902
a.C. (regno di Irisum I d’Assiria), periodo iniziale
dell’installazione delle colonie assire, e il
momento in cui Anita, principe di Kussara, conquisterà
Kanesh per installarvi il proprio regno (XVIII secolo
a.C.).
I commercianti assiri hanno insegnato l’arte della
scrittura a un nuovo popolo che si affaccia all’orizzonte
all’inizio del II illennio a.C.: gli ittiti.
Gli ittiti (1750-1200 a.C.)
La storia della riscoperta del mondo ittita è
relativamente recente. Nel 1906 Hugo Winckler porta
alla luce, dalle rovine del sito di Bogasköj, 150
km. a est di Ankara, l’archivio dei re ittiti.
I documenti erano scritti su tavolette di argilla e
in una scrittura cuneiforme babilonese che gli ittiti
avevano imparato dai commercianti assiri presenti in
Anatolia. Durante la prima guerra mondiale, nel 1917,
lo studioso ceco Friedrich Hrözny riuscì
a decifrare questi testi che risultarono, con sorpresa,
essere redatti in una lingua indo-europea.
L’origine degli ittiti è oscura. Alcuni
ritengono che siano arrivati dal nord o dal nord-est
attraverso il Caucaso. Estenderanno progressivamente
la loro influenza sull’Anatolia fino a esercitare
una totale egemonia sull’intero territorio. La
loro tradizione più antica evidenzia il ruolo
primordiale recitato da due loro città: Nesa
a sud (la Kanesh dei commercianti assiri) e Zalpa a
nord, nella regione del delta dell’Halys sul Mar
Nero.
Le prime aree colonizzate dagli ittiti in Anatolia
sono chiaramente delimitate. La zona occupata all’inizio
comprendeva la parte settentrionale dell’altopiano
centrale, le steppe della Cappadocia e le montagne del
Ponto. Al centro di questa vasta regione sorgeva la
città di Hattusa che divenne, intorno al 1600
a.C., la capitale dell’impero ittita.
Al primo regno ittita (1650-1500 a.C.) fece seguito
il grande impero (1430-1200 a.C.) che conquistò
la Siria strappandola agli egizi e il cui sovrano Muwatalli
si scontrò con il faraone Ramsete II che fu sconfitto
nella celebre battaglia di Kadesh (ca. 1275 a.C.).
Il grande impero ittita soccombe intorno alla fine
del XIII secolo a.C. quando il Mediterraneo orientale
è segnato da movimenti di popolazioni (le invasioni
dei “Popoli del mare”) che cambiano radicalmente,
sconvolgendola, la fisionomia di tutta la regione. I
Popoli del mare seminano morte e distruzione in un’area
assai vasta che comprende la Grecia micenea, la costa
anatolica, il litorale siro-palestinese, Cipro e l’Egitto.
La denominazione di “Popoli del mare” deriva
dalla famosa iscrizione che orna il tempio di Ramsete
III a Medinet Habu, nell’alto Egitto, vicino a
Luxor. Per gli antichi egizi si trattava di gente che
veniva dal nord, di popolazioni miste, originarie dall’arcipelago
egeo o che, comunque, transitavano per l’arcipelago.
Tra i Popoli del mare si distinguono due gruppi: il
primo è coinvolto nella guerra che il faraone
Mirneptah conduce contro una coalizione libica nel quinto
anno del proprio reno (intorno al 1228 o al 1218 a.C.);
il secondo tenta di penetrare in Egitto da est durante
il regno di Ramsete III (forse nel quinto e, comunque,
prima dell’ottavo anno del regno di questo faraone,
vale a dire intorno al 1190 a.C.).
La scomparsa del sistema politico-economico adottato
dalle popolazioni ittite e da quelle egee, basato sulla
presenza di un’autorità centrale capace
di dominare un vasto territorio, sembra la diretta conseguenza
delle scorrerie commesse dai Popoli del mare.
A qualche centinaio di metri a nord-est della capitale
Hattusa, il luogo sacro di Yazilikaya (la roccia iscritta
in turco), con i suoi rilievi rupestri è una
fonte inesauribile di conoscenze dell’universo
religioso ittita. Sono rappresentate le grandi divinità
del pantheon ittita, in particolare la coppia divina
per eccellenza composta dal dio del temporale Teshub
e dalla dea “sole della terra” Hebat. È
probabile che la dea “sole della terra”
sia identificabile con la vecchia madre-terra delle
civiltà neolitiche, di cui gli ittiti avevano
serbato il ricordo, come lascia intendere la splendida
statuetta di madre-terra databile al medio bronzo (intorno
al 1800 a.C.) rinvenuta a Beycesultan ed esposta in
questa mostra.
La città di Troia (3000 a.C.-II secolo
d.C.)
Gli archeologi che hanno portato alla luce i resti
di Troia e che proseguono le ricerche sia sulla collina
di Hissarlik sia nella pianura che circonda l’insediamento
scoperto da Frank Calvert e Heinrich Schliemann a partire
dal 1869 hanno dimostrato che i sito di Troia affonda
le proprie radici nel lontano passato dell’Anatolia
e dell’Egeo.
Dieci grandi fasi della storia del sito sono state
individuate: una Troia I che va dal 3000 al 2500 a.C.,
una Troia II dal 2500 al 2200, una Troia III dal 2200
al 2050, una Troia IV dal 2050 al 1900, una Troia V
dal 1900 al 1800, una Troia VI (con varie fasi designate
dalle lettere a, b, c, d, e, f, g, h) dal 1800 al 1300,
una Troia VIIa dal 1300 al 1260, una Troia VIIb1 dal
1260 al 1190, una Troia VIIb 2 dal 1190 al 1100 e un’ultima
Troia dal 700 fino al periodo ellenistico-romano.
A giudicare dalla qualità dei suoi resti architettonici,
dalla ricchezza e dalle meraviglie prodotte dal suo
artigianato, la più importante tra le varie fasi
è stata probabilmente Troia II. È infatti
alla Troia II che risalgono gli oggetti raggruppati
da Schliemann sotto il nome di “Tesoro di Priamo”.
La famosa Troia della guerra cantata da Omero è
invece un’altra.
Nel capitolo introduttivo su “Troia e poemi omerici”,
tratto dal volume di sintesi degli scavi che condusse
a Troia, Carl Blegen non dubita dell’esistenza
di una guerra intorno a Troia alla fine del II millennio
a.C. e avalla la tesi di coloro che danno credito ai
poemi omerici. Infatti la conclusione di Blegen è
perentoria: “Non si può più dubitare,
allo stato attuale delle nostre conoscenze, che c’è
stata effettivamente una guerra di Troia durante la
quale una coalizione di Achei o Micenei, sotto la direzione
di un re di cui riconoscevano la sovranità, ha
combattuto contro il popolo troiano e i suoi alleati”.
La Troia VIIa attesta ceramica micenea del periodo
noto come Tardo Elladico IIIB (XIII secolo a.C.), come
mostra l’anfora a staffa micenea presentata in
questa mostra. Si tratta del periodo di maggiore splendore
dei palazzi micenei continentali; mentre Troia VIh è
stata colpita da un terremoto, il ritrovamento sotto
le rovine della Troia VIIa, distrutta da un incendio,
di cadaveri che sembrano essere rimasti senza sepoltura
e di punte di frecce lascia intendere che la città
ha subito un assedi ed è stata incendiata da
mano nemica. Inoltre Blegen ritiene che le numerose
anfore sepolte nel suolo delle case di Troia VIIa potrebbero
indicare che gli abitanti facessero delle provviste
in vista di un lungo assedio. Perciò secondo
lo studioso americano, la Troia VIIa dovrebbe essere
la Troia cantata da Omero nell’Iliade.
Chi erano i troiani, che lingua parlavano?
Nel quinto secolo a.C. i greci dividono gli uomini in
due categorie: gli elleni e i barbari. La parola “barbaro”
significa semplicemente “colui che non parla il
greco e la cui lingua somiglia a balbuzie”.
Questa opposizione tra elleni – o greci –
e barbari è evidente nell’inchiesta intrapresa
da Erodoto, il quale, domandandosi da dove proveniva
il conflitto tra greci e persiani, pone all’origine
dello scontro considerato come l’inizio della
lotta tra Oriente e Occidente il ratto di Elena a opera
di Parie e quindi la conseguente guerra di Troia.
Per il “Padre della Storia” i troiani sono
quindi dei barbari. Come tali sono anche considerati
dai Tragici (Eschilo, Sofocle ed Euripide) del V secolo
a.C. Troia è per loro una città barbara
anche se l’ultimo di questi tre poeti, Euripide,
si pone alcune domande sul significato dell’opposizione
tra elleni e barbari.
Per Omero, invece, achei e troiani non sono mai differenziati
in modo netto, come ad esempio i cristiani e i saraceni
nella Chanson de Roland. I due popoli pregano gli stessi
dèi. Non vi sono mai problemi di comunicazione
tra loro, anche se il poeta insiste sul fatto che tra
gli alleati dei troiani vi sono persone che parlano
lingue diverse.
I nomi di molti eroi troiani come Ettore o Alexandros
(Paride) sono nomi greci micenei. M. Korfmann, dopo
un’attenta analisi delle rovine della Troia dell’VIII
secolo a.C., ha sottolineato l’impressionante
esattezza delle descrizioni dell’acropoli fatte
dal poeta; esistono quindi buone probabilità
per ritenere che i dirigenti di Troia fossero greci
poiché il racconto omerico attribuisce a greci
e ai troiani la stessa lingua, le stesse credenze, gli
stessi usi e costumi e lo stesso tipo di armamento.
Sarei quindi propenso a ritenere che un’aristocrazia
micenea con a capo un re acheo regnasse sulla Troia
VIIa. L’abbondante ceramica micenea rinvenuta
sulla collina di Hissarlik negli strati del XIII secolo
a.C. conforta una tale ipotesi. Se Priamo fosse stato
davvero un re acheo dovremmo concludere affermando che
la guerra di Troia, cantata da Omero, è stata
una guerra civile che ha visto opporsi achei del continente,
delle isole e di Creta ad achei che si erano impadroniti
a un certo punto, forse dopo il terremoto che pose fine
alla Troia VIh, della città di Troia.
I regni neo-ittiti (1200-700 a.C.)
Recenti scoperte hanno dimostrato che la catastrofe
abbattutasi sull’Anatolia, la Siria e l’Egeo
all’inizio del XII secolo a.C. non aveva fatto
scomparire definitivamente la tradizione imperiale ittita.
Dopo il crollo dell’impero, una serie di piccoli
Stati erano sorti tra il sud-est dell’Asia Minore,
l’ansa dell’Eufrate e la Siria del nord.
La loro popolazione era composta da ittiti, urriti e
semiti ma la lingua ufficiale, utilizzata ovunque per
celebrare i sovrani e trascritta nella scrittura geroglifica
ittita su monumenti e pareti rupestri, era il luvio,
una lingua indo-europea di struttura identica all’ittita
ma distinta da essa per alcune variazioni di dettaglio.
(Il rapporto storico tra ittita e luvio è paragonabile
a quello tra due lingue romanze come il francese e l’italiano).
Verso la fine dell’XI secolo l’inserimento
progressivo di tribù aramee, di lingua semitica,
modificherà profondamente l’equilibrio
di questi Stati a scapito delle popolazioni luvie, ma
sarà soprattutto la politica aggressiva dei re
assiri a far scomparire gli uni dopo gli altri i principati
neo-ittiti che diventeranno semplici province assire.
I frigi
I frigi e i misi, due popoli di ceppo indoeuropeo, invasero
l’Anatolia a partire dalla Tracia e si stanziarono
a Gordio che divenne la capitale del regno di Frigia
intorno all’800 a.C.
La figura del mitico re Mida, vissuto verso il 715 a.C.,
è rimasta celebre: secondo la tradizione egli
tramutava in oro tutto ciò che toccava.
Le colonie greche d’Anatolia fino ad Alessandro
Dopo la guerra di Troia le popolazioni indigene della
costa egea si mescolarono con i coloni greci che avevano
stabilito numersi attracchi lungo le coste dell’Anatolia
e fondato alcune grandi città che hanno recitato
un ruolo fondamentale nella storia dell’ellenismo.
Basti ricordare Focea, Teos, Efeso, Mileto, Priene o
Alicarnasso. La cultura greca penetrò in Caria
e il mausoleo di Alicarnasso, l’odierna Bodrum,
tomba del re Mausolo, fu celebrato dai greci come una
delle sette meraviglie del mondo.
Nel regno di Licia fiorì la grande città
di Sardi, a est di Smirne (Izmir), che dominò
gran parte della Ionia. La città divenne famosa
per l’invenzione del conio delle monete e il ricordo
di uno dei suoi sovrani, Creso, è impresso nella
storia.
Creso fu sconfitto da Dario, re di Persia, nel 547 a.C.
Gli storici greci raccontano che Creso esitava a entrare
in conflitto con Dario. Si recò al santuario
di Apollo a Delfi per interrogare la Pizia sulla decisione
da prendere. Dopo aver pregato il dio la sacerdotessa,
in preda al delirio sacro, diede a Creso la risposta
tanto attesa: “Se attacchi Dario, distruggerai
un grande impero”. Creso non ebbe più dubbi
e affrontò i persiani. La sua sconfitta fece
sì che un grande impero fu distrutto: il suo!
Nel frattempo a est, sulle sponde delle acque salate
del lago di Van, gli urartei fondarono il regno di Van
(860-612 a.C.). Questo popolo ha lasciato pregevoli
rovine e impressionanti manufatti metallici.
I conquistatori persiani furono battuti da Alessandro
Magno che, partito dalla natia Macedonia, attraversò
l’Ellesponto (l’attuale stretto dei Dardanelli)
nel 334 a.C. e, nel giro di pochi anni, conquistò
l’intero Medio Oriente estendendo il suo dominio
su un vasto territorio che andava dalla Grecia all’India.
Dopo la morte di Alessandro a Babilonia, nel 323 a.C.,
scoppiarono le guerre civili tra i suoi generali (i
cosiddetti diadochi) per impadronirsi dell’eredità
del macedone.
Lisimaco rivendicò l’Anatolia occidentale
e centrale prima di essere ucciso da un altro generale
di Alessandro, Seleuco, nella battaglia di Curupedio
nel 281 a.C. Seleuco fondò il regno dei seleucidi
con capitale Antiochia.
L’Anatolia romana
I romani conquistarono l’Anatolia quasi senza
colpo ferire. Dopo aver sconfitto il re seleucide Antioco
III a Magnesia nel 190 a.C., si sarebbero accontentati
di lasciare l’Anatolia nella mani dei re di Pergamo
loro alleati. Ma l’ultimo sovrano di Pergamo,
Attalo III, morì senza lasciare eredi e nel 133
a.C. consegnò per testamento il proprio regno
a Roma che nel 129 a.C. istituì la provincia
d’Asia con capitale Efeso.
Tra le varie vicissitudini di questo periodo occorre
ricordare l’emergere della Commagenia, un piccolo
regno del sud-est della Turchia strappato all’influenza
dei seleucidi. Il territorio era governato dai mitridati
e intorno al 50 a.C. il figlio di Mitridate, Antioco,
si fece costruire un singolare monumento funerario in
cima a un monte, il Nemrut Dagi.
L’abdicazione dell’imperatore Diocleziano
(284-305 d.C.) diede inizio a una lotta per la successione
che si concluse con la vittoria finale di Costantino.
Dopo la vittoria su Massenzio a Ponte Milvio nel 312
d.C., Costantino abbracciò la religione cristiana
e decretò che il Cristianesimo sarebbe diventato
la religione di Stato (editto di Milano del 313 d.C.).
Bisanzio
Costantino decise di costruire una grande città
sul sito del centro ellenico di Bisanzio e nel 330 d.C.
la elesse capitale con il nome di Nuova Roma. La città
fu successivamente rinominata Costantinopoli.
Mentre a Occidente Roma, in preda alle invasioni barbariche,
entrava in un periodo di profonda decadenza, la capitale
dell’impero romano d’oriente o impero bizantino
prosperava e diventava sempre più influente,
raggiungendo il culmine della propria potenza sotto
il regno dell’imperatore Giustiniano (527-565
d.C.). Questi riconquistò l’Italia, i Balcani,
l’Anatolia, l’Egitto e l’Africa settentrionale
e abbellì Costantinopoli facendo costruire, tra
l’altro, la chiesa della Divina Sapienza o Santa
Sofia.
Costantinopoli cadrà in mano degli ottomani nel
1453.
L’impero selgiuchide
I selgiuchidi che provenivano dall’Asia centrale
costituirono un grande impero che si divise in tre parti:
Iran, Siria e Asia Minore. Sono i primi turchi che si
affacciano nella storia dell’Anatolia e del Medio
e Vicino Oriente. Il vero e proprio fondatore della
dinastia, Toghrul-Beg (1038-1063), sottomise tutta la
Persia attuale, s’impossessò di Baghdad
nel 1055, impose la religione sunnita e si affermò
come sultano. Suo nipote e successore, Alp Arslan, s’impadronì
dell’Armenia (1064), conquistò Aleppo (1070)
e sconfisse a Manzikert, presso il lago Van, l’esercito
bizantino dell’imperatore Diogene (1071), aprendo
in questo modo l’Anatolia al dominio turco. Il
figlio e successore Mâlik-Shah (1072-1092) conquistò
la maggior parte dell’Asia Minore e fondò
un impero che si estendeva dalle rive del Mar Egeo al
Turchistan. Il vizir di Mâlik-Shah, Nidam al-Mulk,
lottò contro gli sciiti creando le famose “madersas”,
ovvero le scuole nelle quali si insegnava l’ortodossia
del sunnismo.
In seno all’impero selgiuchide si sviluppò
una cultura caratterizzata da un’architettura
e da un gusto estetico di singolare rafinatezza. Il
grande poeta Omar Khayyam, morto nel 1123, apparteneva
a questa brillante cultura.
L’impero ottomano e la nascita della Turchia
moderna (1299-1920)
Nel 1243 i mongoli calarono sull’Anatolia sconfiggendo
i selgiuchidi nella battaglia di Köse Dag e provocando
la frammentazionedi ciò che rimaneva dell’impero
in un mosaico di emirati turcomanni.
I turchi occuparono la Bitinia sotto la guida di un
signorotto di nome Ertugrul, cui succedette il figlio
Osman che fondò, intorno al 1288, un principato
dal quale si sarebbe poi sviluppato il grande impero
ottomano.
Gli ottomani conquistarono Bursa, la loro prima capitale
arroccata sulle pendici settentrionali dell’Uludag.
Continuarono a spingersi verso occidente prendendo Adrianopoli
nel 1363 e stabilendovi la nuova capitale (Edirne).
Ripresero poi la loro espansione verso i Balcani. Nel
1389 sconfissero i serbi nella battaglia del Kosovo.
Dalla fine del XIV secolo controllarono un impero che
si estendeva fino al Danubio e alle coste del Mar Nero,
nella regione occupata oggi dalla Romania.
Malgrado la sconfitta subita nel 1402 ad Ankara dalle
truppe di Tamerlano, gli ottomani proseguirono la loro
opera di conquista.
Nel 1453 l’esercito di Mehmet il Conquistatore
s’impadronì di Costantinopoli. L’impero
ottomano raggiunse l’apogeo del suo splendore
sotto il regno del sultano Solimano il Magnifico (1520-1566).
Tra le sue iniziative ricordo i lavori di abbellimento
di Costantinopoli, la ricostruzione di Gerusalemme e
una campagna di espansione che nel 1529 lo condusse
fino alle porte di Vienna.
Alla sua morte, nel 1566, Solimano lasciò un
impero che copriva una superficie di ben 15 milioni
di kmq e che inglobava interamente o in parte i territori
che oggi corrispondono a Ungheria, Balcani, Ucraina
meridionale, Iran, Iraq, Siria, Libano, Israele, Penisola
arabica, Egitto e tutta la costa dell’Africa settentrionale
fino al Marocco.
Alla fine del XVII secolo la lunga fase dell’espansione
ottomana poteva considerarsi conclusa.
Nel corso del XIX secolo le forti correnti di nazionalismo
etnico provenienti dall’Europa si diffusero e
attecchirono rapidamente in seno al mosaico di popoli
posti sotto l’autorità del sultano. Così,
dopo una dura lotta, la Grecia si rese indipendente
nel 1832. Poco più tardi insorsero reclamando
l’indipendenza anche serbi, bulgari, rumeni, albanesi,
armeni e arabi.
L’impero ottomano si stava disgregando inesorabilmente
quando scoppiò la prima guerra mondiale.
Il governo della Sublime Porta commise un errore fatale
schierandosi a fianco della Germania e delle potenze
centrali. La sconfitta degli imperi centrali decretò
la fine dell’impero ottomano. Costantinopoli e
diverse parti dell’Anatolia furono occupate dalle
potenze europee vincitrici del conflitto e il sultano
divenne una pedina nelle mani dei vincitori.
La Grecia, incoraggiata dalla Gran Bretagna, prese ufficialmente
possesso della città di Smirne il 15 maggio 1919.
Il generale ottomano Mustafa Kemal, che aveva guidato
vittoriosamente le truppe turche durante la difesa di
Gallipoli, decise che era giunto il momento di formare
un nuovo governo in grado di sostituire il sultano.
Il paese minacciato dall’invasione greca si schierò
con Mustafa Kemal.
La guerra d’indipendenza turca durò dal
1920 al 1922. La vittoria sulla Grecia fece di Mustafa
Kemal un eroe nazionale consegnando nelle sue mani il
destino della Turchia. Il sultanato e l’impero
ottomano furono aboliti e al loro posto nacque la Repubblica
Turca che comprendeva l’Anatolia e la Traia orientale.Il
trattato di Losanna del 24 giugno 1923 siglava questa
pagina di storia.
Mustafa Kemal assunse il compito di trasformare radicalmente
la società turca. Dopo la proclamazione della
repubblica nel 1923, varò una Costituzione (1924),
abolì la poligamia e proibì l’uso
del fez, considerato un segno dell’arretratezza
ottomana (1925). Il suo governo adottò nuovi
codici di legge di stampo occidentale, impose il matrimonio
civile al posto di quello religioso (1926), abolì
l’Islam come religione di Stato e sostituì
l’alfabeto arabo con un alfabeto latino modificato
(1928).
Questo testo è tratto dal catalogo della
mostra
Turchia. 7000 anni di storia
promossa dalla Presidenza della Repubblica Italiana
e dalla Presidenza della Repubblica di Turchia
Roma, Palazzo del Quirinale, Sala delle Bandiere
11 gennaio – 31 marzo 2007; info: www.mondomostre.it
Louis Godart è Consigliere per la Conservazione
del Patrimonio Artistico della Presidenza della Repubblica.
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