Abbina due
protagonisti femminili, l’uno dei quali famosissimo
e l’altro assai meno noto, l’ultimo romanzo
di Per Olov Enquist tradotto in italiano. La donna celebre
è nientemeno che Marie Curie: due volte Premio
Nobel per le sue ricerche nell’ambito della radioattività
(tra l’altro fu lei a scoprire il polonio, sostanza
di cui tanto hanno parlato di recente i media); la meno
conosciuta è Blanche Wittman: paziente prediletta
da un altro insigne personaggio, quel Jean-Martin Charcot,
maestro di Freud, che nella seconda metà dell’ottocento
alla Salpêtrière – manicomio/ospizio
di Parigi – inizia a trattare in modo nuovo le
malattie nervose, in primis l’isteria,
tramite l’ipnosi e tentando per la prima volta
un viaggio esplorativo in quel continente psichico sommerso
e abissale che il suo giovane assistente austriaco chiamerà
poi inconscio.
La giovane Blanche, una volta guarita grazie
alle cure amorevoli del pioniere della neurologia, morto
Charcot diverrà assistente di Madame Curie, coadiuvandola
nei suoi studi sul radio e finendo per esporsi troppo
alle radiazioni; col risultato nefasto di venire amputata
più volte degli arti e di ridursi a un misero
tronco umano. Ma sarà giusto durante questo travaglio
che Blanche scriverà con la sola mano che le
resta il Libro delle Domande, in cui la donna
ripercorre il proprio sodalizio con Marie e soprattutto
si interroga sul significato dell’amore, in relazione
non solo al sentimento che la legava a Charcot, ma pure
al rapporto trasgressivo che la scienziata di origine
polacca, ormai vedova del marito Pierre, aveva instaurato
con un collega ammogliato guastandosi la reputazione.
Questo il plot narrativo ideato da Enquist, in cui
l’autore svedese riesce a descrivere in modo straordinariamente
avvincente, mediante pagine di grande intensità
espressiva, l’avventura delle prime scoperte legate
alla radioattività ed il clima culturale della
Francia a cavallo tra otto e novecento, ma non solo;
attraverso questa storia in bilico fra la cronaca di
carattere storico e l’invenzione biografica, egli
mostra al lettore una Marie Curie che non assomiglia
per nulla all’asettica e un po’ algida figura
di ricercatrice che una certa iconografia retorica ci
ha tramandato, bensì a una donna in carne ed
ossa, con tutte le contraddizioni e passioni di cui
un personaggio vivace ed autentico come la Curie era
presumibilmente intessuta. In parallelo, pure il secondo
personaggio autorevole (Charcot) viene messo a nudo,
rivelandocene ben oltre gli indubbi pregi di studioso
e innovatore in campo neuro-psichiatrico tutta l’umanità/fragilità,
che Enquist esplora in capitoli di notevole acume psicologico
e perizia narrativa.
Ben delineati altresì i due scenari principali
del romanzo: la fortezza della Salpêtrière:
immenso reclusorio dove si assiepavano pezzenti e prostitute,
malati veri e reietti, pazzi ed emarginati, tra cui
circa seimila donne “sconvolte dall’amore”.
E lo spartano (e gelido) laboratorio dei Curie: una
“vecchia baracca di legno” dove viene per
la prima volta ricavato dalla pechblenda il radio, elemento
dall’inquietante, mortifera “luminescenza”.
In tali luoghi liminari, ai confini degli ambiti della
vita (o della morale) consuetudinaria, si fanno scoperte
inedite e sbocciano amori formidabili, come quello destinato
a unire l’attempato e savio Jean-Martin alla giovane
e folle Blanche o quello adulterino fra i due
morigerati/serissimi fisici Marie Curie e Paul Langevin.
Ecco, forse sta in questi aspetti paradossali e/o ambivalenti
la cifra sottesa al romanzo: tutto giocato sulla soglia,
sul fragile confine che separa saggezza e sregolatezza,
sanità mentale e pazzia, amore e rancore, energia
positiva e negativa di elementi come il radio, la passione
o quel “misto di caos e di ordine” che Charcot
ritiene di scorgere nelle manifestazioni isteriche.
Non a caso uno snodo cruciale del racconto –
allorché la relazione fra i due colleghi viene
scoperta e denunciata dalla stampa bacchettona ed esterofoba
– si situa alla vigilia della Grande Guerra, poco
prima dunque che il primo conflitto mondiale faccia
esplodere le contraddizioni con cui non voleva/poteva
misurarsi la Belle époque, quando l’ottimismo
europeo inizio secolo nei confronti d’un inarrestabile
progresso riceve una micidiale mazzata. Poi –
è solo questione di tempo – verranno il
disincanto, la psicoanalisi, le ricerche che condurranno
alla bomba atomica. Ma questa è un’altra
storia. La nostra si ferma il quattro luglio del 1934
– giorno della morte di Marie, che non vedrà
Hiroscima –, molti anni dopo la fine della sua
relazione dagli esiti disastrosi con Paul e la scomparsa
di Blanche la quale, alla fine del suo libro, comprende/confessa
che: “Non si può spiegare l’amore”.
Ma giustamente, le fa constatare subito dopo Enquist,
“chi saremmo, se non ci provassimo?”.
Per Olov Enquist,
Il libro di Blanche e di Marie,
trad. di Katia De Marco,
Iperborea, pp. 251, € 15,00.
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