Davvero sconcertante
il paradosso in cui è possibile riassumere lo
stato della poesia nel Belpaese. Se infatti le statistiche
dicono il vero, in Italia quasi due milioni di persone
ogni anno scrivono versi (più o meno bene, più
o meno per diletto, poco importa); ma il dato sorprendente,
a contraltare di questa cifra a dir poco enorme, è
che appena duemila persone nello stesso periodo comprano
un libro di poesie. Lo scarto fra i due dati è
così grande da supporre essi non siano del tutto
attendibili. Ma anche dimezzando i poeti e triplicando
o quadruplicando gli acquirenti dei testi altrui, la
congiuntura rimarrebbe la stessa: una situazione contraddittoria
a dir poco. Che fossimo un popolo di santi, poeti e
navigatori, era noto da tempo. Di scarsa vocazione alla
lettura, pure. Ma a questi livelli di infime vendite
editoriali nell’ambito poetico la cosa assume
un rilievo allarmante; e giusto in rapporto con una
tanto massiccia propensione all’espressività
letteraria in versi. Come spiegare il fatto?
Prova a farlo Alberto Bertoni – saggista, critico
letterario, nonché docente di Letteratura italiana
contemporanea all’Università di Bologna
– in un notevole saggio su: “Come si legge
e come si scrive” la poesia. Anche perché
– a suo avviso, condivisibile senz’altro
pure da chi scrive – difficile è produrre
versi di qualche pregio se prima non ci si è
allenati attraverso la lettura di poeti riconosciuti
tali. Ma ciò, dicevamo, si fa troppo poco, specie
in Italia, per due ordini di ragioni. L’uno è
legato all’odierna non fiorente situazione editoriale,
per cui non tutte le grandi Case Editrici (anzi poche)
osano pubblicare poesie di contemporanei e “quasi
mai di esordienti”; e se lo fanno le tirature
sono assai limitate per timore di perderci, col bel
risultato che sugli scaffali delle librerie scarseggiano
i poeti, soffocati da una pletora di narratori. L’altro
motivo è in stretta connessione col più
generale problema di fruizione/circolazione dell’“arte
contemporanea”, che dal secolo scorso a tutt’oggi
è rimasta “un fatto di élite”.
Si aggiunga a queste considerazioni il fatto che da
qualche decennio non esiste più (a livello scolastico
e culturale in senso lato) una serie di autori e/o testi
ritenuti di indispensabile/obbligatoria lettura (sono
venuti a mancare i classici, insomma), o che
la lettura stessa sempre più viene vissuta quale
momento di evasione ed ecco spiegato il solo apparentemente
paradossale iato fra produttori e fruitori di testi
poetici.
Ma attenzione, ammonisce Bertoni, a non scordarci che
la circolazione della poesia, oggi, segue canali non
solo legati al libro e al suo mercato. Si compra
e si legge poesia grazie alle innumerevoli/encomiabili
riviste che stampano opere in versi anche di autori
poco o per nulla noti; grazie ad edizioni minori –
magari, ahinoi, stampate a spese del poeta – fatte
circolare in barba alla grande distribuzione; infine
grazie alle biblioteche, dove la poesia viene letta,
eccome.
Resta comunque il problema di capire il perché
del numero enorme di chi si cimenta a scrivere non già
in prosa ma attraverso una strana scansione
ritmica, simile ad una partitura musicale, “che
impone a chi scrive di interrompere la riga tipografica
prima della sua fine naturale”. Forzatura artificiosa,
dunque? No, certo. Semmai attenzione precipua alla parola
per dire – nel modo più pregnante
e intenso, emozioni, sensazioni, pensieri intorno al
vivere (e al morire). Di più, la poesia –
vero e proprio crogiolo alchemico della lingua ad altissimo
grado metaforico – è, secondo Bertoni,
“azione verbale chiamata a dar misura all’informe
e a introdurre uno sguardo, un punto di vista, da cui
nascono una visione e una figura del mondo”. Altrimenti,
potremmo dire noi, il verso rimane solo un vano tentativo
narcisistico d’intrecciar collane di belle parole
o scade nella mera illustratività, nella retorica
liricheggiante o peggio ancora nel sentimentalismo o
nel lamento autoconsolatorio.
Rimane da trattare un’ultima questione, di non
poco conto. Si può imparare ad esprimersi tramite
la poesia e, semmai, come apprendere tale arte ineffabile?
Bertoni sa bene che alcun corso di scrittura creativa
– da solo – servirà a far nascere
un novello Leopardi; tuttavia a suo avviso chi voglia
cimentarsi col delicato strumento della versificazione
ha da apprenderne quantomeno la tecnica: “deve
imparare alcune regole. E magari anche il funzionamento
di alcuni accorgimenti formali”, quali ad esempio
la scansione ritmica, o l’uso delle cosiddette
figure retoriche. Come sarà essenziale –
si diceva – la lettura di autori classici e contemporanei,
magari imparando a “smontare i meccanismi profondi
delle metafore dei grandi poeti”. Quanto all’espressività,
ovvio non vi sia manuale, baedeker o guida esperta in
grado di insegnarci a fabbricare un verso non già
bello, ma significativo e autentico. Così non
rimane forse che citare il lascito di una delle maggiori
voci poetiche del novecento, Rilke, che questo suggerimento
dà all’aspirante poeta: Lasciare che
ogni impressione e ogni germe di un sentimento si compia
tutto dentro, nell’ombra, nell’indicibile
e inconscio e inattingibile alla propria ragione, e
con profonda umiltà e pazienza.
Alberto Bertoni,
La poesia - Come si legge e come si scrive,
Soc. ed. il Mulino, pp. 223, € 12,00
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