Partha
Chatterjee
Oltre la cittadinanza
Meltemi editor, 2006
pagine 192, euro 17,00
Con il concetto di “società politica”,
Partha Chatterjee introduce un elemento di riflessione
importante per almeno un paio di motivi. In primo luogo
contribuisce ad andare oltre all’idea astratta
e amministrativa di cittadinanza. In secondo luogo apre
davanti ai nostri occhi la possibilità di ridare
linfa a una democrazia in via d’essiccamento.
La scoperta della “società politica”
avviene quando si guarda a ciò che sfugge alla
governamentalità e si costituisce come spazio
prettamente politico in cui i gruppi non egemonizzati
negoziano continuamente le forme di una cittadinanza
reale, di una cittadinanza ben più sostanziale
di quella astratta dell’amministrazione. Questi
margini non marginali, aprono una quantità di
differenza al centro della democrazia formale, un ambito
in cui si manifesta una continua verifica della democrazia
nel rapporto conflittuale tra formalità governamentale
e realtà materiale. Se la società civile
è lo spazio del diritto e della legalità,
la società politica è quello del conflitto
che risponde a una razionalità diversa da quella
formale delle leggi. È la politica dei governati.
Un esempio. Chatterjee racconta di una baraccopoli
creatasi nei decenni lungo la ferrovia nella zona Sud
di Calcutta. All’inizio degli anni Quaranta furono
i contadini poveri del Bengala ad affluire dalle campagne
per sfuggire alla carestia. Arrivavano in città
e si insediavano sui terreni pubblici. Per difendersi
dai molteplici tentativi di sfratto intrapresi dalle
amministrazioni per l’allargamento della ferrovia,
gli abitanti della baraccopoli si sono costituiti in
associazione e, difendendo la loro comunità e
il loro diritto di avere un tetto e una vita decente,
hanno ottenuto elettricità e riconoscimento.
L’associazione della baraccopoli, dice Chatterjee,
non è un’organizzazione della società
civile perché “nasce da una violazione
collettiva della proprietà e delle regolamentazioni
civili. Lo Stato non può riconoscerle la legittimità
delle associazioni che perseguono obiettivi più
regolari”. Gli occupanti stessi riconoscono illegale
la loro occupazione, ma rivendicano diritti basilari
attraverso lo strumento dell’associazione e si
dicono pronti a sgomberare qualora lo Stato abbia approntato
un’alternativa abitativa. Come si vede la rivendicazione
apre uno spazio propriamente politico, l’unico
in grado di mediare al di fuori delle rigide procedure
del diritto. Certo, riconosce Chatterjee, ogni volta
si raggiungono equilibri precari che dipendono dalla
capacità del gruppo ad organizzarsi, equilibri
che vanno ricreati tutte le volte. Ma la frammentarietà
e l’eterogeneità sono una caratteristiche
fondanti della società politica.
Il lavoro dello scrittore indiano si inserisce nel
progetto dei Subaltern Studies che ha rinnovato
la storiografia indiana indagando il dominio senza egemonia
dello Stato coloniale e mettendo in luce lo spazio autonomo
della politica dei subalterni. Con gli anni Chatterjee,
insieme con altri, è arrivato ad occuparsi anche
della democrazia indiana post coloniale in cui lo Stato-nazione
“aveva certo incorporato i ceti subalterni nello
spazio immaginario della nazione, ma li aveva tenuti
a distanza dallo spazio politico reale del potere di
Stato”. La ricerca di Chatterjee si appunta allora
proprio sulla società politica che organizza
materialmente la vita quotidiana e le forme di cittadinanza
di chi resta al di fuori dello Stato e delle sue leggi.
Qui, in questo margine in cui i subalterni ripensano
e immaginano ogni giorno la politica democratica, avviene
anche di scoprire l’eterogeneità della
democrazia che mette in discussione il modo stesso in
cui lo stato moderno si è costituito. Come diceva
Walter Bejamin, il tempo storico della modernità
è omogeneo e vuoto. Lo Stato moderno stesso che
si fonda sull’universalismo etico dell’Illuminismo
ha necessariamente bisogno di questo tempo e spazio
per esercitare l’attività politica in ogni
luogo del territorio. Ma, avverte Chatterjee, “le
persone possono immaginarsi nel contesto di un tempo
vuoto e omogeneo, ma non ci vivono dentro”. Il
tempo è eterogeneo, caratterizzato da densità
differenti che emergono quando la politica dei governanti
si trova a mediare con la realtà della politica
dei governati.
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