Questo
articolo è l’intervento dell’autore
alla presentazione della mostra “Che cosa c’era
dietro le ‘prime’ Colonne d’Ercole?”
allestita all'Accademia dei Lincei di Roma fino al 12
novembre 2006.
Ce lo siamo detti fin dall'inizio: non è certo
una mostra fatta per i Sardi questa nostra "Atlantikà:
Sardegna, Isola Mito". Loro – noi... –
tanto già lo sanno. Lo si sa da sempre che l'isola
un tempo è stata grande, grandissima: e che era
una Manhattan del II millennio avanti Cristo, con le
sue decine di migliaia di torri–grattacielo che
facevano fantasticare l'intero Mediterraneo, per quant'erano
belle, e possenti, e audaci.
E i Sardi, ormai, sanno anche che persino i Greci del
I millennio, se la sognavano così questa loro
terra antica: per loro – fratelli d'Oriente –
era l'Isola dei Beati & dei Portenti, spersa, ormai
lontana lontana, nel Mare del Tramonto, nell'Oceano
di Omero, il Mediterraneo d'Occidente, al di là
di quelle "prime" Colonne d'Ercole che –
davvero come una Cortina di Ferro – segnarono
al Canale di Sicilia la Frontiera tra mondo ellenico
e impero marittimo fenicio–punico.
E sì, quel che non tutti ancora sanno, infatti,
è proprio questo: che di Colonne d'Ercole nell'antichità
ce ne sono state altre, e ben prima di quelle che conosciamo
noi, piantate salde, ma "recenti", dove ormai
ce le immaginiamo tutti, tra Calpe e Abila, a piantonare
da "soli" 22 secoli lo Stretto di Gibilterra.
Le vere Colonne d'Ercole – le prime, quelle originali
di cui ci parla per primo il poeta Pindaro, all'inizio
del V secolo a.C. – erano lì, al Canale
di Sicilia, dove Omero mette tutti i suoi mostri; dove
i Greci non osavano; dove tutti i testimoni più
antichi ci parlano di bassi fondali assassini e senza
vento; dove l'Etna – quando fa il matto –
erutta fuoco e sparge terrore; dove ancora oggi centinaia
di disperati si giocano la vita nel sogno di arrivare
da noi, nel "Paradiso dei Ricchi".
Lì cominciava l'Impero Marino di Herakles/Melqart:
il Padrone dell'Intero Occidente e delle sue rotte d'argento.
Slittarono poi a Gibilterra, quelle prime Colonne, alla
fine del III secolo a.C. – poco dopo la caduta
di Cartagine – per continuare a fare quel che
avevano sempre fatto: il Limite del Mondo Conosciuto.
Solo che il Mondo del III secolo, ormai – con
Alessandro Magno all'arrembaggio dell'Oriente fino al
Gange, e con Roma padrona anche del mare fino in Spagna
– si era fatto più assai grande.
Le "nuove" Colonne finirono così,
laggiù, a Gibilterra, a segnalare quella che
divenne la Nuova Fine del Mondo. Ma sono solo Colonne
di Eratostene, però, quelle! Non Colonne d'Ercole.
Fu infatti quel Gran Bibliotecario di Alessandria –
il "Padre della Moderna Geografia" –
a piazzarle là, riciclandole per aggiornare al
meglio le nuove mappe che disegnò.
Fu così che la Geografia criptò la Storia.
E inghiottì la Sardegna.
Chiunque, infatti, dovesse scrivere di viaggi e cartografia
si recava per informarsi ad Alessandria dove veniva
a conoscenza solamente di quelle "nuove" Colonne
di Gibilterra. Usando quelle Colonne recenti (anche
per interpretare ogni antico racconto che si svolgesse
al di là delle Colonne) regolarmente si finiva
nell'Oceano Atlantico di oggi, annegando tra cento vaghezze
e mille fantasticherie e, per di più, senza mai
trovarla l'Isola Mito, l'Isola–Continente delle
Mille Nostalgie che tutto l'Oriente
rimpiangeva come una Terra Madre, Sorella per tutti.
Prometeo legato a una roccia del Caucaso a segnare l'Alba
dei Greci. Suo fratello Atlante, era bloccato in mezzo
al mare, ci giura Omero, a piantonare il Tramonto.
Misuratele, su una delle mappe che ci sono in mostra
o che avete a casa, le postazioni dei due fratelli.
E vedetene la distanza da Delfi, centro del mondo greco:
senza Atlante e la sua Isola – la Sardegna –
tutta questa cosmogonia che permetteva ai Greci di tenere
a mente il loro mondo, svapora via.
Fu proprio con le nuove mappe alessandrine che scomparve
quella Verità degli Antichi: persino chi –
serissimo come Erodoto, Platone, Aristotele, Dicearco...
– aveva parlato di possenti realtà occidentali,
ma al di là delle Colonne d'Ercole, venne preso
per un fantasioso sognatore o, peggio, per gran confusionario.
Nessuno ricordava più che quell'Aldilà
di cui loro testimoniavano era il nostro Mediterraneo
Occidentale. Questa è stata l'ipotesi di ricerca
del mio Le Colonne d'Ercole, un'inchiesta,
in cui in 672 pagine – con 1792 punti interrogativi
– si è tentato di dipanare il brogliaccio
storico–geografico dovuto allo slittamento della
Frontiera.
Ora che una quarantina di Sapienti veri – accademici
dei Lincei, antichisti, geologi, cartografi, persino
un Nobel: Dario Fo & C. – hanno benedetto
"ex cathedra" la mia ricerca, trasformando
quell'ipotesi iniziale in tesi, si è costretti
a prendere atto che molte realtà definite mitiche
come Tartesso, Iperborea, l'Isola di Atlante, l'Isola
dei Beati non erano enigmi o fantasticherie!
Erano molto, molto più semplicemente dei malintesi:
un solo luogo assai reale, cercato con mappe troppo
recenti in mano.
Le storie del Far West greco così, per duemila
anni e passa, sono rimaste senza una geografia dove
ambientarle; e la realtà geografica della Sardegna
era rimasta quasi assente dalla Storia, nonostante i
suoi eccezionali reperti. E solo adesso che si è
fatto ordine nel mare e si è restituita la parola
agli Antichi, è stato anche possibile –
proprio attraverso questa mostra – verificare
se quel che ci hanno raccontato della Grande Isola d'Occidente
grandi autori – come Omero e Platone – è
vero, o se i due sparavano sciocchezze.
Di fatto entrambi i Supertestimoni ci dicono la stessa
cosa: che c'era un'Isola dall'Eterna Primavera; straricca
di ogni metallo; con una pianura fantastica, protetta
grazie ai suoi monti dai venti del Nord; e che lì
i vecchi campavano felici fino a quando non si stancavano
della vita, con età da record; e che le sue genti
avevano acque calde dove fare i bagni; e che il suo
popolo sapeva navigare a meraviglia; e che invasero
– nel XII secolo a.C., federati con le genti del
Nord Africa – l'Egitto di Ramses III. Fu proprio
mentre erano all'arrembaggio delle piramidi che un terribile
Schiaffo di Poseidone – un'onda anomala rimasta,
come una cicatrice, nella memoria dei popoli –
mise fine alla loro splendida civiltà seppellendo
le sue città sotto il fango.
Il Paradiso – d'improvviso – si fece Inferno.
Inferno di fango e mal'aria. La collocazione di quell'Isola
mitica di cui testimoniano Omero e Platone? A Occidente,
al di là delle Colonne. Da quell'isola si raggiungevano
altre isole e la terra che tutto circonda. Era Sir Arthur
Conan Doyle che diceva che tre indizi fanno una prova.
E quando poi, però, gli indizi diventano decine
e decine? In mostra – varcate le Colonne di
Sicilia – sbarcherete in un'Isola fantastica che
regge con fierezza la parte attribuitale dalle fonti
classiche, con quelle sue architetture già antiche
per gli Antichi ma ancora talmente intatte che sembrano
tirate su solo l'altroieri.
La vedrete con alcuni dei suoi portenti vecchi di almeno
3500 anni, vestita a festa, fotografata al meglio, con
amore, da cinque grandi fotografi sardi nella sua Età
dell'Oro che sopravvive, in ogni sagra, come un reperto
di antiche magnificenze.
Ma – grazie al parapendio di Cubeddu –
la potrete anche osservare, per la prima volta dall'alto,
anche nella sua Età del Fango, E da lassù
stringe il cuore: ferita a morte – lì,
nel Sinis e nel Campidano, dove il mare arrivò
a colpire – con i suoi Giganti Abbattuti, torri
di 25, 30 metri, (imprigionate o, come Barumini, del
tutto sepolte dalle marne) che solo Giovanni Lilliu,
Enrico Atzeni e i loro migliori discepoli hanno disseppellito
e studiato con
l'attenzione e il rigore che meritano.
L'Età dell'Oro. L'Età del Fango. La Diaspora:
la fuga dalle coste sarde dentro le Barbagie o, anche,
verso le alture del continente, proprio lì davanti,
appena di là dal mare. Arroccati, protetti sui
cocuzzoli, ben lontani da quelle onde pazze e assassine
che – ormai loro sanno – possono pure colpire
a morte.
Collassa nel XII secolo a.C. la metallurgia del bronzo
in Sardegna.
Decolla, improvvisa, nell'XI secolo avanti Cristo quella
del ferro sugli Appennini. Pagano Caronte, i nuovi fabbri
di Orte, Orvieto, Perugia, Arezzo, Volterra. Lo fanno
pur di essere traghettati per una nuova vita nell'Isola
dei Padri.
Plutarco ci racconta che però, ormai, si fanno
chiamare Etruschi.
No! Non è una mostra fatta per i Sardi.
È piuttosto una mostra per tutti coloro che
della Sardegna non sanno nulla e che conoscono solo
i "non luoghi", le spiaggette pettinate e
i villaggetti spuntati tutti uguali, ovunque ci siano
i soldi da prendere e bagni da fare.
Ai Sardi (che della loro Isola Mito sanno proprio tutto)
toccherà però lo sfizio di cercare quel
che non va: manca questo, manca quello, c'è un
pelo nell'uovo...
È un inizio, questa mostra, non una fine: un'Opera
Aperta a cui tutti
possono collaborare con segnalazioni e materiale di
buon livello. Questo lo sappiano, i Sardi. Man mano
– viaggiando – si aggiungeranno intere sezioni
e resoconti di nuove ricerche. Non certo per raccontarla
tutta la Sardegna, ma almeno per stimolare (anche altrove)
nuove frontiere alla curiosità e all'approfondimento
di quei segreti che questa nostra Pompei del Mare ancora
ci nasconde.
Del resto, poi, la Sardegna tutt'intera, intatta –
con i suoi primati, i
suoi portenti, le sue feste, le sue meraviglie –
c'è già, e pure in bella
mostra. È quella vera, reale: strabiliante per
chi se la sa cercare. L'importante è che nessuno
– proprio nessuno – ce la rovini usandola
contro natura, nascondendocela sotto milioni e milioni
di metri cubi di cemento, vista mare.
È l'Isola Mito: sacrilego profanarla.
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