308 - 26.10.06


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Questione armena, il passato brucia ancora

David Bidussa



Tratto da Reset

Il passato brucia ancora in Turchia. Di nuovo, nel luglio di quest’anno, è scattata la legge 301 (legge che punisce col carcere “chi offende il buon nome della Turchia”) nei confronti di Elif Shafak, scrittrice turca, docente di storia medio-orientale a Tucson in Arizona. Che cosa ha fatto Elif Shafak? Ha scritto un romanzo, Il bastardo di Istanbul, che da vari mesi è in testa alle classifiche in Turchia (cinquantamila copie vendute da aprile a luglio). Il romanzo racconta la storia parallela di due famiglie: da una parte i nipoti dei sopravvissuti del genocidio armeno del 1915; dall’altra l’operazione di controverità, di oblio forzato imposto da chi in Turchia nega quel massacro, considerando criminale, e perciò punibile, anche il semplice dubbio.

Il tema della ricostruzione della memoria è all’ordine del giorno in Turchia soprattutto in relazione alla questione armena, un punto su cui la Turchia si gioca oggi un possibile futuro nella Ue, e per l’opposizione che una parte del paese, quella più nazionalista, nutre nei confronti del progetto di integrazione europea.

Si sbaglierebbe tuttavia a considerare questa opposizione solo un tratto specifico o un dato congiunturale. Nazionalismo, opposizione all’Europa o comunque diffidenza nei confronti dell’Europa, questione armena, in particolare ammissione che ci fu un genocidio armeno, sono tre ingredienti legati tra loro e il cui risultato è il caleidoscopio complesso – talora persino indecifrabile – chiamato Turchia moderna.

Uno dei meriti del volume di Marcello Flores è anche quello di spiegare in forma piana ed esauriente questo scenario complesso.
Se si considera la dinamica specifica del genocidio che si consuma tra la primavera e l’estate 1915, si vedrà ch’essa richiama molte altre scene che abbiamo visto ripetersi sullo sfondo degli stermini del Novecento. Si sterminano materialmente non i nemici primi, ma chi è in condizione di debolezza, e si trae vantaggio dalla “malasorte” di chi subisce lo sterminio. Lo sterminio avviene con una dinamica che non mira immediatamente all’annientamento, ma che ha come primo obiettivo lo sradicamento, poi la deportazione – più spesso svolta in condizioni al limite e in cui si perdono vite o si muore con grande facilità – infine lo sterminio.

Ma lo sterminio si colloca anche in una scena politica che si snoda per un lungo trentennio e che coincide con il lento declino dell’Impero ottomano. Iniziato negli anni Settanta dell’Ottocento con le rivendicazioni nazionalistiche interne al territorio dell’Impero (nei Balcani soprattutto) ma anche con le pressioni sempre più forti dell’Impero russo, che favorisce la crisi e il ridimensionamento dell’Impero ottomano sostenendo i movimenti nazionalistici e indipendentistici dell’area caucasica e del Mar Nero (gli armeni sono tra questi), il senso della sconfitta, tuttavia, diviene palpabile con la guerra italo-turca del 1911-1912 quando l’Italia strappa la Libia alla Turchia e si colloca nell’Egeo di fronte alla costa turca.

L’Europa dunque significa nella memoria turca e ottomana inizio della propria sconfitta, sollevazione interna, perdita del proprio prestigio. Ma significa anche un gioco più grande che conduce alla prima guerra mondiale, nella quale la Turchia si schiererà con gli imperi centrali in nome di un controllo lungo l’asse che congiunge l’Est europeo alla mezzaluna fertile medio-orientale, scelta che risulterà fatale alla sopravvivenza stessa dell’Impero ottomano.

In quel contesto – tra la rivendicazione di un ruolo che si percepisce in crisi e le pretese di autonomia, nel quadro di un Vicino Oriente dove inizia a manifestarsi l’onda lunga del movimento che dall’Arabia Saudita porterà, nel giro di un anno, le truppe del deserto al cuore di Gerusalemme – si colloca lo sterminio degli armeni.

La Turchia uscirà ridimensionata dalla guerra, l’impero di sfalderà, ma l’ascesa di un movimento nazionalista che di fatto le imprimerà il volto di modernizzazione nazionalistica e che consentirà al paese di svilupparsi ha come prezzo la necessità di imporre un’unità nazionale e politica su cui si fonda la sua stessa identità nazionale.

In questo quadro non ci sarà spazio per ripensare o per riflettere su un evento tragico che ha riguardato più di un milione di armeni, che ha segnato con forza una diaspora che per molti aspetti costituisce un paradigma esemplare dei molti fenomeni di sterminio, fuga e sopravvivenza del Novecento, e che alla fine del ciclo degli Stati nazionali si ripresenta con il suo carico di memoria e di risentimento alle soglie del XXI secolo. Nel frattempo ci sono stati proprio in conseguenza di quella storia non riconosciuta atti di terrorismo, persecuzioni, attentati, nuove stragi con cui risulta sempre più complicato fare i conti e chiudere una storia che ormai dura da più di novant’anni.

Marcello Flores,
Il genocidio degli armeni,
il Mulino, 2006,
p. 296, euro 22,00.


 

 

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