Tratto
da Reset
Il passato brucia ancora in Turchia. Di nuovo, nel
luglio di quest’anno, è scattata la legge
301 (legge che punisce col carcere “chi offende
il buon nome della Turchia”) nei confronti di
Elif Shafak, scrittrice turca, docente di storia medio-orientale
a Tucson in Arizona. Che cosa ha fatto Elif Shafak?
Ha scritto un romanzo, Il bastardo di Istanbul,
che da vari mesi è in testa alle classifiche
in Turchia (cinquantamila copie vendute da aprile a
luglio). Il romanzo racconta la storia parallela di
due famiglie: da una parte i nipoti dei sopravvissuti
del genocidio armeno del 1915; dall’altra l’operazione
di controverità, di oblio forzato imposto da
chi in Turchia nega quel massacro, considerando criminale,
e perciò punibile, anche il semplice dubbio.
Il tema della ricostruzione della memoria è
all’ordine del giorno in Turchia soprattutto in
relazione alla questione armena, un punto su cui la
Turchia si gioca oggi un possibile futuro nella Ue,
e per l’opposizione che una parte del paese, quella
più nazionalista, nutre nei confronti del progetto
di integrazione europea.
Si sbaglierebbe tuttavia a considerare questa opposizione
solo un tratto specifico o un dato congiunturale. Nazionalismo,
opposizione all’Europa o comunque diffidenza nei
confronti dell’Europa, questione armena, in particolare
ammissione che ci fu un genocidio armeno, sono tre ingredienti
legati tra loro e il cui risultato è il caleidoscopio
complesso – talora persino indecifrabile –
chiamato Turchia moderna.
Uno dei meriti del volume di Marcello Flores è
anche quello di spiegare in forma piana ed esauriente
questo scenario complesso.
Se si considera la dinamica specifica del genocidio
che si consuma tra la primavera e l’estate 1915,
si vedrà ch’essa richiama molte altre scene
che abbiamo visto ripetersi sullo sfondo degli stermini
del Novecento. Si sterminano materialmente non i nemici
primi, ma chi è in condizione di debolezza, e
si trae vantaggio dalla “malasorte” di chi
subisce lo sterminio. Lo sterminio avviene con una dinamica
che non mira immediatamente all’annientamento,
ma che ha come primo obiettivo lo sradicamento, poi
la deportazione – più spesso svolta in
condizioni al limite e in cui si perdono vite o si muore
con grande facilità – infine lo sterminio.
Ma lo sterminio si colloca anche in una scena politica
che si snoda per un lungo trentennio e che coincide
con il lento declino dell’Impero ottomano. Iniziato
negli anni Settanta dell’Ottocento con le rivendicazioni
nazionalistiche interne al territorio dell’Impero
(nei Balcani soprattutto) ma anche con le pressioni
sempre più forti dell’Impero russo, che
favorisce la crisi e il ridimensionamento dell’Impero
ottomano sostenendo i movimenti nazionalistici e indipendentistici
dell’area caucasica e del Mar Nero (gli armeni
sono tra questi), il senso della sconfitta, tuttavia,
diviene palpabile con la guerra italo-turca del 1911-1912
quando l’Italia strappa la Libia alla Turchia
e si colloca nell’Egeo di fronte alla costa turca.
L’Europa dunque significa nella memoria turca
e ottomana inizio della propria sconfitta, sollevazione
interna, perdita del proprio prestigio. Ma significa
anche un gioco più grande che conduce alla prima
guerra mondiale, nella quale la Turchia si schiererà
con gli imperi centrali in nome di un controllo lungo
l’asse che congiunge l’Est europeo alla
mezzaluna fertile medio-orientale, scelta che risulterà
fatale alla sopravvivenza stessa dell’Impero ottomano.
In quel contesto – tra la rivendicazione di un
ruolo che si percepisce in crisi e le pretese di autonomia,
nel quadro di un Vicino Oriente dove inizia a manifestarsi
l’onda lunga del movimento che dall’Arabia
Saudita porterà, nel giro di un anno, le truppe
del deserto al cuore di Gerusalemme – si colloca
lo sterminio degli armeni.
La Turchia uscirà ridimensionata dalla guerra,
l’impero di sfalderà, ma l’ascesa
di un movimento nazionalista che di fatto le imprimerà
il volto di modernizzazione nazionalistica e che consentirà
al paese di svilupparsi ha come prezzo la necessità
di imporre un’unità nazionale e politica
su cui si fonda la sua stessa identità nazionale.
In questo quadro non ci sarà spazio per ripensare
o per riflettere su un evento tragico che ha riguardato
più di un milione di armeni, che ha segnato con
forza una diaspora che per molti aspetti costituisce
un paradigma esemplare dei molti fenomeni di sterminio,
fuga e sopravvivenza del Novecento, e che alla fine
del ciclo degli Stati nazionali si ripresenta con il
suo carico di memoria e di risentimento alle soglie
del XXI secolo. Nel frattempo ci sono stati proprio
in conseguenza di quella storia non riconosciuta atti
di terrorismo, persecuzioni, attentati, nuove stragi
con cui risulta sempre più complicato fare i
conti e chiudere una storia che ormai dura da più
di novant’anni.
Marcello Flores,
Il genocidio degli armeni,
il Mulino, 2006,
p. 296, euro 22,00.
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