Leggere Gomorra
di Roberto Saviano vuol dire trovarsi di fronte ad una
necessità implacabile: quella del narratore-autore
di dire, di testimoniare una realtà in cui è
immerso e soverchiato da sempre, iscritta sulla sua
pelle, in seno alla sua coscienza.
Vuol dire anche immergersi d’un fiato in un quadro
ampio, un intreccio ramificato di dinamiche e complessità,
le cui radici affondano e si consolidano in un territorio
geograficamente determinato, il napoletano, e in una
violenza tribale, quella del potere camorristico.
In quel perimetro il narratore-Saviano è nato
e cresciuto, del dominio violento della malavita organizzata
ha vissuto le leggi, che ora indaga e esibisce dalla
radice all’ultima delle ramificazioni.
Inchiesta sull’economia criminale, reportage
dalla terra della camorra, romanzo di formazione, indagine
sociologica, denuncia, saggio sul potere e la violenza.
Gomorra è un libro formalmente composito,
un intreccio di generi diversi unificati dalla necessità
di testimoniare, di urlare la parola per salvarsi, di
usare la scrittura come zattera di salvataggio da un
mare criminale di cui non si vede la fine.
C’è una volontà di testimonianza,
nel libro, intesa come unica possibilità data
per mutare il meccanismo del potere camorristico. Una
parola che viene usata così come lo era da Don
Peppino Diana, il sacerdote che pagò con la vita
il suo impegno contro il “Sistema” e l’esperienza
del quale Saviano riporta nel libro insieme ad una sua
arringa inedita nella quale il religioso chiama Gomorra,
appunto, la città controllata dalla Camorra.
Saviano si inserisce in quel filone di letteratura
civile un tempo così florido nel nostro paese
e lo declina al presente. Non più “l’io
so ma non ho le prove” di un Pasolini, che rimane
per il giovane scrittore un riferimento indispensabile,
ma un moderno “io so e ho le prove”. Le
prove di come “hanno origine le economie e dove
prendono l’odore” e la verità della
parola, avverte il narratore, “non fa prigionieri
perché tutto divora e di tutto fa prova”.
Ecco allora che in questo no-fiction novel,
se ci è permesso forzare un po’ la definizione
del new journalism americano, costituiscono prova non
solo le carte giudiziarie, le intercettazioni telefoniche
o le sentenze dei tribunali, ma anche lo sguardo del
narratore che si infiltra nelle aziende della malavita,
che gira con la vespa i luoghi dominati dalla camorra,
che si precipita sui cadaveri ancora caldi dei morti
ammazzati. Perché anche l’odore del sangue
è una prova della violenza del Sistema, un indizio
che rimanda all’essenza stessa della concezione
della vita camorristica e della sua accettazione di
un destino di morte.
Nel libro di Saviano si incontra tutta una selva di
personaggi che rendono uno spaccato sociologico e antropologico
della camorra e un quadro delle sue attività
economiche legali e non. Ed è a quest’ultimo
livello che il fenomeno malavitoso incrocia la traiettoria
della vita di ognuno. Nessuno può dire che la
camorra non lo riguarda perché è confinata
in una spazio circoscritto del napoletano, lontano dagli
occhi. Lì al Sud l’organizzazione fa i
quattrini inondando il territorio di droga, ma è
all’estero e al Nord che reinveste gli utili in
attività legali. Lì il territorio serve
a sotterrare rifiuti e schifezze tossiche di ogni sorta,
ma è dal Nord e dalle sue aziende che questi
arrivano.
Ecco, Gomorra, sbatte in faccia tutto questo
e molto più e fa provare un senso di disagio
ad ognuno. Segno che Saviano è riuscito a trovare
una forma conveniente al soggetto.
Roberto Saviano,
Gomorra,
Mondadori
Pagine, 331 Euro 15,50
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