305 - 14.09.06


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Goal! Emozioni di
un romanzo popolare

Massimo Negri



Nelle calde sere d'estate del Luglio 1974 la Fiat Bianchina familiare era stipata all'inverosimile.
Di proprietà della ditta Olivetti di Casalmaggiore, l'aveva in uso il mio amico Luciano, fresco d'impiego e neo-patentato. Con lui alla guida salivamo io, Antonio, Giovanni, Pierluigi e Renato e si andava a Viadana a vedere le partite notturne di un torneo di calcio a sette giocatori percorrendo - per evitare il rischio di imbatterci nella polizia - l'argine maestro sterrato del Po. In breve, 10 km di sassi, risa e grida. Bravate da ragazzi.
Avevo all'epoca sedici anni, ero alle prime uscite serali con gli amici e, assieme alle partite, mi piacevano le soste, al rientro, a casa di Luciano a Fossacaprara a mangiare pane e salame e a bere un bicchiere di lambrusco. La cantina col pavimento in terra battuta garantiva il grado ottimale di umidità ed era sempre emozionante il rito della scelta di quello pronto per essere portato in tavola e affettato. Conservo ancora quei sapori e quei profumi in un angolo del cuore.

In quegli anni il calcio era la passione della mia vita. Assistere, per esempio, agli allenamenti dell'Inter alla "Pinetina" di Appiano Gentile, mentre ero ospite dagli zii a Milano, a pensarci adesso equivaleva a una sorta di rito di iniziazione. Vedere così da vicino la preparazione della squadra prediletta era, infatti, come entrare in un mondo magico con l’illusione di carpirne i segreti, le ragioni tecnico-tattiche e fisico-comportamentali per cui
i propri beniamini erano divenuti dei campioni da imitare. Ma la fede nerazzurra non faceva velo alla curiosità di seguire pure le partite delle altre squadre in un'educazione alle sfide favorita dalla lettura quotidiana della Gazzetta dello Sport e dagli appuntamenti festivi con 90° minuto e/o la Domenica Sportiva. A distanza di tempo, dopo il lento e relativo distacco da quelle consuetudini, scriverne è un po' come aprire una scatola delle esperienze passate che, nei limiti della loro normalità, ricordano però l'intensità con la quale sono state vissute.
Fissare sulla pagina i flashback affettivi che ancora regalano forse dimostra come talvolta la nostalgia non cede al rimpianto ma dona nuova energia.
A suo modo, un sorriso della vita cui sono grato.

Di quel periodo desidero pure qui ricordare, in particolare, una fotografia fatta da mio cugino Giuseppe a Romeno dove trascorrevo le vacanze estive coi nonni in montagna.
Siamo nel campetto dietro casa dove lui stopper, l'altro cugino Luciano terzino e io portiere facevamo dei tiri. La porta non è una porta ma fa il suo dovere. La traversa è un filo dove stendere la biancheria e i pali sono di ferro da una parte, di legno dall'altra.
La foto vede il portiere orizzontale a una certa altezza, in volo verso la palla.
Curiosità: indosso un paio di jeans, uno dei miei capi preferiti. Più che azzardare un americano che sento poco, mi piacciono per quello che sono: un capo semplice, essenziale che poi sa fare la sua figura se ben accompagnato. E pur non volendo arrivare all'ex-portiere che va a
specchiarsi in un paio di jeans per via di un volo in montagna a cercare di afferrare un pallone, vi aggiungo che i jeans li metto sempre volentieri anche adesso perché alle ragioni dette sopra si somma il fatto che sanno andare in lavatrice. Doppia convenienza: relativamente economici all'acquisto e poi all'uso. Tale valutazione - per restare al genere di letture dei tre cugini in montagna - ha forse un suo capostipite: zio Paperone. Salta fuori pure lui con le sue pepite d'oro. Mica stupido quel vecchio taccagno. Mi è sempre stato simpatico. Anche lui faceva dei tuffi, nei suoi dobloni. Col senno di poi, ci vedo l'attaccamento a una cosa tangibile, concreta.

Era lui che, in fondo, prendeva in giro e con qualche proposito quel farfallone di Paperino che pensava solo a deridere lo zio e a giocare con Qui, Quo e Qua. Troppo facile, caro Paperino.
Anche tu mi eri simpatico ma zio Paperone stava oltre. Non a caso finivi spesso nel suo sacco.
E la metafora del sacco mi porta dritto a un quadretto che, anni dopo, comprai in un mercatino sotto i portici a Bologna. Esso vede un dondolo in sostanziale equilibrio. Da una parte c'è seduto zio Paperone mentre dall' altra parte c' è un sacco dei suoi amati dobloni.
Qualcuno può vietarmi di vedere in quel sacco un cumulo di cultura, di idee?

Pure il gioco del pallone può essere espressione d'arte. Maradona ne è stato un paradigma, per cui sposo in questa sede l'ironia di quei tifosi partenopei che, all'indomani dello scudetto vinto dal Napoli, misero un cartello al cimitero con la scritta: "non sapete cosa vi siete persi!".
E resto in tema annotando la fortuna che ho avuto di conoscere un talento locale del calcio Anni 80. Il suo nome è Gianni Mantovani, la sua squadra la Casalese. Giovanili al Parma, si è distinto come mezz'ala di fioretto con vocazione al goal.
In campo pareva starsene un po' in disparte ma quando entrava nel vivo dell'azione i suoi erano autentici tocchi di luce. Una classe innata, coltivata con la costanza degli allenamenti e una proverbiale correttezza coi compagni e gli avversari. Quando giocava lo seguivo, episodicamente, a distanza, da spettatore. Ora siamo buoni amici e quando capita che la conversazione scivoli sul pallone, i suoi sono cenni rapidi che hanno il sapore di
citazioni quasi letterarie simili, per certi versi, a quelle che colgo quando leggo i pezzi di Gianni Mura su La Repubblica e/o di Roberto Beccantini su La Stampa.

Gli anni della giovinezza sono ormai lontani e oggi guardo a quel mondo con occhi più disincantati e con il timore che la sportività sia una virtù un po' in declino. Riconosciuto con Beppe Severgnini che "l'Italia è uno dei quattro Paesi al mondo dove il calcio è un grande romanzo popolare (gli altri sono Brasile, Argentina e Inghilterra)" penso che, di fatto, esso è diventato una grande industria che vale mezzo punto di Pil. Una risorsa del Paese che
rischia di mutare natura se non saranno erette barriere morali e civili e poste, a loro salvaguardia, regole stringenti. Pur nei fisiologici adattamenti al mutare dei tempi, penso che un' iniezione di sobrietà, a tutti i livelli, forse aiuterebbe a recuperare lo spirito agonistico dei momenti migliori contribuendo a riaggiustare il prezioso giocattolo. A dispetto di Calciopoli,
la vittoria dell'Italia ai Mondiali di Germania 2006 ha offerto un nuovo saggio delle sue qualità con menzione per Gigi Buffon in formato extra con le sue parate e la sua guida della difesa e per Rino Gattuso diga a centrocampo e leader di un gruppo unito anche dalla voglia di cancellare coi fatti una delle pagine più nere della storia sportiva.

Detto questo, continuo tuttavia a pensare che, al pari di ogni altra disciplina, il calcio possa ancora essere, soprattutto per chi lo pratica, una scuola di vita perché una partita, in campo e fuori, non è mai solo una partita ma una fonte per imparare a misurarsi con se stessi educandosi al fair play e al gusto delle fatiche in vista degli obiettivi individuali e di squadra.
Va da sé, inoltre, che la verifica sul rettangolo di gioco di come i risultati dipendano dal merito come pure dal caso, può aiutare ad apprendere come le variabili accidentali, a volte, ribaltino le logiche razionali degli schemi in maniera che gli andamenti effettivi delle cose possono paragonarsi a quei disegni a tavolino che, nella loro traduzione pratica, sono scarabocchiati o, diversamente, abbelliti dall'insorgere di imprevedibili dettagli di circostanza (un infortunio, un autogoal, una espulsione, una svista arbitrale e via dicendo).
Unita a questi discorsi c'è sempre però la sfera della passione ultima per il pallone che corre sull'erba, gonfia la rete e scalda i cuori. E' per tale ragione che ci tengo a concludere il racconto con una poesia che esprime, come la prosa non potrebbe, le emozioni che il gioco del calcio può suscitare.
La poesia è di Umberto Saba e ha per titolo "Goal":

Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non vedere l'amara luce.
Il compagno in ginocchio che l'induce,
con parole e con mano, a sollevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

La folla - unita ebrezza - par trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano, i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l'odio consuma e l'amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.

Presso la rete inviolata il portiere
- l'altro - è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda da lontano.
Della festa - egli dice - anch'io son parte.

 

 

 

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