Nelle calde
sere d'estate del Luglio 1974 la Fiat Bianchina familiare
era stipata all'inverosimile.
Di proprietà della ditta Olivetti di Casalmaggiore,
l'aveva in uso il mio amico Luciano, fresco d'impiego
e neo-patentato. Con lui alla guida salivamo io, Antonio,
Giovanni, Pierluigi e Renato e si andava a Viadana a
vedere le partite notturne di un torneo di calcio a
sette giocatori percorrendo - per evitare il rischio
di imbatterci nella polizia - l'argine maestro sterrato
del Po. In breve, 10 km di sassi, risa e grida. Bravate
da ragazzi.
Avevo all'epoca sedici anni, ero alle prime uscite serali
con gli amici e, assieme alle partite, mi piacevano
le soste, al rientro, a casa di Luciano a Fossacaprara
a mangiare pane e salame e a bere un bicchiere di lambrusco.
La cantina col pavimento in terra battuta garantiva
il grado ottimale di umidità ed era sempre emozionante
il rito della scelta di quello pronto per essere portato
in tavola e affettato. Conservo ancora quei sapori e
quei profumi in un angolo del cuore.
In quegli anni il calcio era la passione della mia
vita. Assistere, per esempio, agli allenamenti dell'Inter
alla "Pinetina" di Appiano Gentile, mentre
ero ospite dagli zii a Milano, a pensarci adesso equivaleva
a una sorta di rito di iniziazione. Vedere così
da vicino la preparazione della squadra prediletta era,
infatti, come entrare in un mondo magico con l’illusione
di carpirne i segreti, le ragioni tecnico-tattiche e
fisico-comportamentali per cui
i propri beniamini erano divenuti dei campioni da imitare.
Ma la fede nerazzurra non faceva velo alla curiosità
di seguire pure le partite delle altre squadre in un'educazione
alle sfide favorita dalla lettura quotidiana della Gazzetta
dello Sport e dagli appuntamenti festivi con 90°
minuto e/o la Domenica Sportiva. A distanza
di tempo, dopo il lento e relativo distacco da quelle
consuetudini, scriverne è un po' come aprire
una scatola delle esperienze passate che, nei limiti
della loro normalità, ricordano però l'intensità
con la quale sono state vissute.
Fissare sulla pagina i flashback affettivi che ancora
regalano forse dimostra come talvolta la nostalgia non
cede al rimpianto ma dona nuova energia.
A suo modo, un sorriso della vita cui sono grato.
Di quel periodo desidero pure qui ricordare, in particolare,
una fotografia fatta da mio cugino Giuseppe a Romeno
dove trascorrevo le vacanze estive coi nonni in montagna.
Siamo nel campetto dietro casa dove lui stopper, l'altro
cugino Luciano terzino e io portiere facevamo dei tiri.
La porta non è una porta ma fa il suo dovere.
La traversa è un filo dove stendere la biancheria
e i pali sono di ferro da una parte, di legno dall'altra.
La foto vede il portiere orizzontale a una certa altezza,
in volo verso la palla.
Curiosità: indosso un paio di jeans, uno dei
miei capi preferiti. Più che azzardare un americano
che sento poco, mi piacciono per quello che sono: un
capo semplice, essenziale che poi sa fare la sua figura
se ben accompagnato. E pur non volendo arrivare all'ex-portiere
che va a
specchiarsi in un paio di jeans per via di un volo in
montagna a cercare di afferrare un pallone, vi aggiungo
che i jeans li metto sempre volentieri anche adesso
perché alle ragioni dette sopra si somma il fatto
che sanno andare in lavatrice. Doppia convenienza: relativamente
economici all'acquisto e poi all'uso. Tale valutazione
- per restare al genere di letture dei tre cugini in
montagna - ha forse un suo capostipite: zio Paperone.
Salta fuori pure lui con le sue pepite d'oro. Mica stupido
quel vecchio taccagno. Mi è sempre stato simpatico.
Anche lui faceva dei tuffi, nei suoi dobloni. Col senno
di poi, ci vedo l'attaccamento a una cosa tangibile,
concreta.
Era lui che, in fondo, prendeva in giro e con qualche
proposito quel farfallone di Paperino che pensava solo
a deridere lo zio e a giocare con Qui, Quo e Qua. Troppo
facile, caro Paperino.
Anche tu mi eri simpatico ma zio Paperone stava oltre.
Non a caso finivi spesso nel suo sacco.
E la metafora del sacco mi porta dritto a un quadretto
che, anni dopo, comprai in un mercatino sotto i portici
a Bologna. Esso vede un dondolo in sostanziale equilibrio.
Da una parte c'è seduto zio Paperone mentre dall'
altra parte c' è un sacco dei suoi amati dobloni.
Qualcuno può vietarmi di vedere in quel sacco
un cumulo di cultura, di idee?
Pure il gioco del pallone può essere espressione
d'arte. Maradona ne è stato un paradigma, per
cui sposo in questa sede l'ironia di quei tifosi partenopei
che, all'indomani dello scudetto vinto dal Napoli, misero
un cartello al cimitero con la scritta: "non sapete
cosa vi siete persi!".
E resto in tema annotando la fortuna che ho avuto di
conoscere un talento locale del calcio Anni 80. Il suo
nome è Gianni Mantovani, la sua squadra la Casalese.
Giovanili al Parma, si è distinto come mezz'ala
di fioretto con vocazione al goal.
In campo pareva starsene un po' in disparte ma quando
entrava nel vivo dell'azione i suoi erano autentici
tocchi di luce. Una classe innata, coltivata con la
costanza degli allenamenti e una proverbiale correttezza
coi compagni e gli avversari. Quando giocava lo seguivo,
episodicamente, a distanza, da spettatore. Ora siamo
buoni amici e quando capita che la conversazione scivoli
sul pallone, i suoi sono cenni rapidi che hanno il sapore
di
citazioni quasi letterarie simili, per certi versi,
a quelle che colgo quando leggo i pezzi di Gianni Mura
su La Repubblica e/o di Roberto Beccantini
su La Stampa.
Gli anni della giovinezza sono ormai lontani e oggi
guardo a quel mondo con occhi più disincantati
e con il timore che la sportività sia una virtù
un po' in declino. Riconosciuto con Beppe Severgnini
che "l'Italia è uno dei quattro Paesi al
mondo dove il calcio è un grande romanzo popolare
(gli altri sono Brasile, Argentina e Inghilterra)"
penso che, di fatto, esso è diventato una grande
industria che vale mezzo punto di Pil. Una risorsa del
Paese che
rischia di mutare natura se non saranno erette barriere
morali e civili e poste, a loro salvaguardia, regole
stringenti. Pur nei fisiologici adattamenti al mutare
dei tempi, penso che un' iniezione di sobrietà,
a tutti i livelli, forse aiuterebbe a recuperare lo
spirito agonistico dei momenti migliori contribuendo
a riaggiustare il prezioso giocattolo. A dispetto di
Calciopoli,
la vittoria dell'Italia ai Mondiali di Germania 2006
ha offerto un nuovo saggio delle sue qualità
con menzione per Gigi Buffon in formato extra con le
sue parate e la sua guida della difesa e per Rino Gattuso
diga a centrocampo e leader di un gruppo unito anche
dalla voglia di cancellare coi fatti una delle pagine
più nere della storia sportiva.
Detto questo, continuo tuttavia a pensare che, al pari
di ogni altra disciplina, il calcio possa ancora essere,
soprattutto per chi lo pratica, una scuola di vita perché
una partita, in campo e fuori, non è mai solo
una partita ma una fonte per imparare a misurarsi con
se stessi educandosi al fair play e al gusto delle fatiche
in vista degli obiettivi individuali e di squadra.
Va da sé, inoltre, che la verifica sul rettangolo
di gioco di come i risultati dipendano dal merito come
pure dal caso, può aiutare ad apprendere come
le variabili accidentali, a volte, ribaltino le logiche
razionali degli schemi in maniera che gli andamenti
effettivi delle cose possono paragonarsi a quei disegni
a tavolino che, nella loro traduzione pratica, sono
scarabocchiati o, diversamente, abbelliti dall'insorgere
di imprevedibili dettagli di circostanza (un infortunio,
un autogoal, una espulsione, una svista arbitrale e
via dicendo).
Unita a questi discorsi c'è sempre però
la sfera della passione ultima per il pallone che corre
sull'erba, gonfia la rete e scalda i cuori. E' per tale
ragione che ci tengo a concludere il racconto con una
poesia che esprime, come la prosa non potrebbe, le emozioni
che il gioco del calcio può suscitare.
La poesia è di Umberto Saba e ha per titolo "Goal":
Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non vedere l'amara luce.
Il compagno in ginocchio che l'induce,
con parole e con mano, a sollevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.
La folla - unita ebrezza - par trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano, i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l'odio consuma e l'amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.
Presso la rete inviolata il portiere
- l'altro - è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda da lontano.
Della festa - egli dice - anch'io son parte.
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