Libri parlati
e raccontati, leggeri come le parole scritte sulle pagine,
come le voci che vibrano nell’etere e arrivano
agli ascoltatori.
Alla radio i libri ci stanno a meraviglia, e il miglior
testimone di questo matrimonio è Marino Sinibaldi,
vice direttore di Radio3 Rai (il canale culturale del
servizio pubblico radiofonico), uno tra gli autori ideatori
e conduttori di Fahrenheit, la trasmissione
che mette insieme due linguaggi (la radio e la lettura)
che “si ibridano e si contaminano a vicenda”
dando origine da anni a un programma “realizzato
con i libri”. Perché sono fatti della stessa
materia, radio e libri, sono fatti di parole che ci
servono per evadere e ci immergono nella storia, che
ci fanno divertire e distrarre, ma allo stesso tempo
sono fenomenali strumenti di conoscenza, di noi stessi
e della realtà che ci circonda.
Farheneit è una sorta di portale
radiofonico sui libri. Che rapporto c'è tra radio
e lettura?
Sono due linguaggi molto leggeri, e credo sia questa
la ragione per cui la radio e la lettura riescano a
stabilire un rapporto molto diretto, ibridandosi e contaminandosi
a vicenda. La leggerezza la troviamo già nella
tecnologia che rende affini radio e libri: possono stare
ovunque, li portiamo in tasca, in una borsa, in qualunque
luogo, li possiamo usare in autobus o in una sala d’aspetto.
Entrambi sono molto plastici, elastici rispetto alla
vita che viviamo; hanno tempi simili, possono essere
fruiti negli intervalli, nelle pause, mentre è
difficile nelle attese e negli spostamenti usare altri
linguaggi.
Ovviamente c’è poi un altro grande elemento
che li unisce: entrambi sono fatti di parole. Che siano
stampate o dette, la mancanza di immagini rende libri
e radio immediatamente sovrapponibili. L’esito
di questa vicinanza è riscontrabile nel fatto
che i libri in tv non riescono a starci, e invece alla
radio ci stanno da sempre. La ragione non è che
la radio sia più colta della tv, la ragione sta
in una reciproca compatibilità di linguaggi che
per la televisione è impossibile.
E non parliamo soltanto di libri e di letteratura.
La rassegna stampa è un esempio lampante di come
radio e lettura sappiano andare d’accordo.
Tutte le forme che in qualche modo hanno a che fare
con la lettura, dai giornali ai libri, hanno in comune
il fatto di essere fatte di parole. Trovo che la rassegna
stampa che fanno in tv sia in qualche modo anti-televisiva:
leggono le prime pagine con l’immagine ferma sui
titoli. Sul piano del linguaggio specifico del mezzo
televisivo è una soluzione molto povera, anche
se funziona perché il telespettatore ha in anticipo
le notizie principali della giornata.
Alla radio, invece, un giornale è fatto di lettura,
i due linguaggi si sposano molto bene.
Sei autore e conduttore di una trasmissione,
Fahrenheit, tutta incentrata sui libri. E così
il pubblico a cui parlate è un pubblico particolare,
un pubblico di lettori.
Tra lettura e radio c’è un altro elemento
comune che va aggiunto: la condivisione, la comunità.
La lettura è un’attività in larga
parte individuale e solitaria, non perderà mai
questa natura anche se sono aumentati i luoghi collettivi
della lettura come festival e readings. L’esperienza
della lettura è qualcosa che si fa in silenzio
e da soli, forse non più esclusivamente nella
stanza tutta per sé, come diceva Virginia Wolf,
ma resta un’esperienza intima. La radio aggiunge
il piacere di condividere questa esperienza. Una condivisione
a due, tra ascoltatore e voce radiofonica quando va
in onda una lettura o un esperto che parla di un libro;
ma quando si discute di libri alla radio, si condivide
fra tanti una passione solitaria. Se c’è
una ragione del successo di Fahrenheit, è
quella di aver animato una specie di comunità
di lettori, con giochi, scambi di libri, le presentazioni
di scrittori e dei suoi libri.
Ma soprattutto, Fahrenheit non è una
trasmissione sui libri, ma una trasmissione con i libri,
cioè una trasmissione in cui vari linguaggi e
vari contenuti vengono sperimentati e arricchiti dal
fatto di passare attraverso i libri: Facciamo dibattiti
di approfondimento politico, sociale e culturale, in
ciascuno di questi la nostra sfida sta nel dimostrare
come i libri possano aiutare a comprendere la realtà.
Non credo che di libri si parli poco, credo che se ne
parli nel modo sbagliato, ad esempio confinandoli nelle
pagine della cultura. Il libro è uno strumento
importante per capire la nostra realtà, chissà
quanti libri potrebbero spiegarci ciò che sta
accadendo in Libano meglio di quanto non riescano a
fare editoriali più o meno pregiudizialmente
schierati. Pochi utilizzano i libri in questo modo,
mi pare che in tv solo Gad Lerner faccia qualcosa di
simile, ma dovremmo sforzarci di capire che il libro
non è solo uno strumento di evasione ma sa essere
un mezzo di informazione.
Fahrenheit e la sua
comunità. Vista da un ascoltatore sembra un club
di persone che mettono in comune la loro passione per
la lettura, si scambiano libri e opinioni. Perché
avete deciso di dare alla trasmissione questa impronta
di condivisione?
Nel 1995 abbiamo iniziato con Lampi, poi abbiamo continuato
con Fahrenheit; erano i tempi in cui nascevano i festival
di letteratura e con queste due trasmissioni abbiamo
intercettato questo processo di evoluzione della lettura
verso spazi aperti che in Italia non c’erano mai
stati. Le trasmissioni sono nate con l’idea di
fare programmi dal tono amichevole, friendly, con un’alternanza
di linguaggi seri e leggeri se non proprio giocosi.
La stessa cosa è successa poi con i festival.
Ci accorgevamo che i lettori cambiavano non tanto in
numero, ma nella loro natura, nel rapporto che stabilivano
con la lettura, nel desiderio di condividerlo e di dargli
un volto sia ludico che critico. Tutte cose che stavano
nell’idea originaria della trasmissione e che
poi via via si sono sviluppate. Come ad esempio la “Caccia
al libro”, lo scambio di libri introvabili tra
lettori. Ci eravamo accorti che le persone si rivolgevano
a noi per trovare un libro che cercavano da tempo; noi
non abbiamo fatto altro che fare da tramite, mandiamo
in onda il messaggio di chi cerca un libro e la risposta
di chi lo offre.
Questo senso di comunità trova terreno
fertile anche sul sito
web della trasmissione. Radio libri internet: un
triangolo con molte affinità.
Nell’affinità e nell’ibridazione
dei media contano molto le forme di uso di un medium
e di accesso a una tecnologia. Si può stare su
internet con la radio accesa, perché questa richiede
un ascolto continuo con picchi di attenzione. In altre
parole, posso fare altro e nei momenti morti (mentre
carico una pagina, scarico un file) la mia attenzione
si rivolge alla radio. C’è una compatibilità
tecnologica. La radio riesce a stare nel web perché
le due tecnologie hanno questa affinità percettiva
che è il fondamento del loro rapporto. Da questo
punto di vista si può costruire tutto e con la
radio e internet si può fare soprattutto comunità.
I siti radiofonici sono comunitari, seguendo una vecchia
intuizione di Arnheim secondo cui la radio favorisce
tutto quello che genera comunità e rompe l’isolamento.
Siamo partiti dai libri e siamo finiti su internet,
passando dalla radio. Abbiamo parlato della lettura
come un’esperienza solitaria e intima e ci siamo
spostati fino alle comunità del web. Torniamo
all’inizio per chiudere: qual è il tuo
elogio della lettura?
Oggi si può essere colti e aggiornati senza
aprire un libro, i nostri tempi hanno liberato la lettura
da un elemento autoritario e pedagogico rendendola un
piacere puro. Naturalmente un piacere puro è
un piacere intellettuale ed emotivo insieme, è
il piacere di conoscere meglio se stessi e il mondo
e il piacere di evadere da se stessi e dal mondo. Non
c’è nulla che, come un libro, consenta
queste due cose insieme. È evasione e conoscenza,
è intimità e solitudine, ma anche comunità
che ci mette in contatto con chissà quante generazioni.
Questa ricchezza di collettività e individualità,
di grandi parole e di silenzio, di stare dentro la storia
pur essendo isolati e soli, c’è solo in
un libro.
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