304 - 24.08.06


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Immersi in una straordinaria follia

Giulio Ferroni
con Luca Sebastiani



Con l’estate arriva anche una vita diversa da quella di tutti i giorni, più lenta, più sospesa. Una vita con più tempo e spazio per se stessi che in molti associano alla lettura. Ma che cos’è questo bisogno antieconomico di leggere? A quale necessità intima risponde?
Ne abbiamo parlato col professor Giulio Ferroni, docente di Letteratura italiana all’Università La Sapienza di Roma e autore, oltre che della celebre Storia della letteratura italiana, anche di numerosi saggi.

“Insomma, tanto s’impigliò nella cara sua lettura che gli passavano le notti dalle ultime alla prime luci e i giorni dall’albeggiare alla sera, a leggere. Cosicché per il poco dormire e per il molto leggere gli si prosciugò il cervello, in modo che venne a perdere il giudizio”. Questo era Don Chisciotte, ma quanta follia c’è in ogni lettore che “passa” il tempo a leggere romanzi?

Don Chisciotte è l’archetipo di questa follia che in fin dei conti c’è sempre, in ogni lettore. Chisciotte porta solo all’estremo l’identificazione, che per lui è totale. In fondo la lettura è possibile sospenderla, interromperla bloccando l’identificazione ed è più facile farlo in letteratura che in altre forme di intrattenimento o rapporto culturale. C’è la possibilità della follia di Don Chisciotte ma anche la possibilità di sospenderla interrompendo la lettura.

C’è nei lettori la necessità di scambiare il falso col vero?

Certo quella di stare dentro universi completamente fittizi è una necessità che dipende dal lettore, perché ci sono anche libri la cui lettura ti prende di petto e ti mette in rapporto con una realtà più reale di quella che si vive. Dipende. La gamma di possibilità è infinita, si va dall’eccesso di follia all’eccesso di razionalità nel rapporto con la pagina scritta. Ci sono dei libri che ti costringono a pensare e altri che ti trasportano nell’evasione.

Italo Calvino diceva che la letteratura è conoscenza. Leggere serve a conoscere la realtà o a fuggirla?

Tutte e due le cose. La letteratura gioca sul paradosso per cui si conosce la ricchezza della realtà nel momento stesso in cui si fugge da essa, nel momento stesso in cui si fugge dall’immediatezza in cui si sta vivendo. Naturalmente c’è la letteratura di pura negazione del presente e il suo contrario, ma in ultima analisi le due sono strettamente intrecciate. Questo è il bello dell’esperienza che si fa con la grande letteratura, con le grandi opere che ci fanno fuggire dal tempo meccanico e ci fanno conoscere la complessità del reale.

Bergson diceva che l’incanto della fabulazione dipende dalla necessità dell’uomo di esorcizzare la morte.

Aveva ragione. Tutto il sistema della letteratura nasce come tentativo di fermare la vita, di fermarla in un movimento temporale. A parte le arti moderne, fino all’Ottocento le arti plastiche, figurative, etc., hanno dato persistenza alla vita sfidando la morte ma senza il movimento, l’effetto del tempo. La letteratura era la sola a restituire anche la temporalità.

Di solito si dice che si legge per ingannare il tempo, nel senso di ammazzare la noia, ma leggere non è anche, sempre, un ingannare il Tempo nel senso di eluderlo?

Un tempo fittizio che sfida un tempo reale. Naturalmente da quando esiste il cinema e i mezzi moderni le cose sono cambiate. Prima era solo la letteratura a creare tempo fittizio oggi siamo alla situazione estrema che il più fittizio di tutti viene chiamato tempo reale.

Per molto tempo leggere non è stata vista come un’attività sana, tutt’al più roba da servette o piccolo borghesi di provincia come Madame Bovary. Perché questa paura della lettura e del romanzesco?

Sin dalla loro nascita c’è stata una riflessione continua sul pericolo della lettura dei romanzi da parte di gente sprovveduta. Da Rousseau a Manzoni a tanti altri. Pensavano che la diffusione dei romanzi diffondesse anche la mania di un rapporto con un mondo che non c’è. Madame Bovary è l’esito estremo. Vivere una vita fittizia modellata su ciò che sta scritto nei romanzi. Pure Dante fece una lettura del genere della storia di Paolo e Francesca che leggevano per diletto il libro di Lancillotto. Francesca da Rimini è una Bovary del mondo cortese. C’era questa sorta di paura per i fantasmi che la lettura potesse risvegliare, fantasmi nocivi per la salute mentale e morale. C’era inoltre una sorta di discrimine di classe e di genere in quanto erano le donne e le classi sociali più deboli a non possedere gli strumenti critici razionali “necessari” alla lettura.
Adesso da queste cose siamo molto lontani. In questa fascinazione per la lettura e i mondi altri con cui questa mette in relazione si vede oggi anche un arricchimento, un potenziamento di vita.

Chi con la sua opera ha scritto l’elogio della lettura?

Almeno tutti quelli che con la loro opera hanno fatto l’elogio della scrittura. Quello più appassionato e totalizzante che mi viene in mente nella letteratura del Novecento è senz’altro Proust. La sfida altissima che per Proust è la scrittura per il lettore diventa la lettura. Entrare nella sterminata Recherche con la sua concentrazione sulla parola nel momento stesso in cui si sviluppa, si snoda. D’altro canto non si può dimenticare come una buona parte di letteratura moderna sia una critica della lettura attraverso la continua rottura del linguaggio, penso alle avanguardie e affini.

La lettura di libri che funzione può avere oggi in un mondo prevalentemente di immagini?

La lettura è un’esperienza importante della lentezza e della possibilità di sospensione. Siamo sempre on-line, in tutti i sensi. Ecco, forse il libro, nella sua forma, ha questa capacità di farci evadere e conoscere dandoci anche la possibilità di sospendere l’esperienza.

Che cos’è l’ecologia della lettura che lei ha proposto?

L’ecologia della lettura è necessaria oggi perché ci sono troppi libri. Un lettore onnivoro come Gesualdo Bufalino ad un certo punto ha espresso proprio l’angoscia di questa moltiplicazione infinita e dell’impossibilità di leggere tutto. Nel mondo ci sono una quantità tale di messaggi, librari e non, che ci piovono addosso da tutte le parti, molta spazzatura, ma anche molta roba che forse varrebbe la pena di conoscere. Allora forse proprio per questo bisognerebbe trovare la via verso un’ecologia della lettura che sarebbe anche un’ecologia della mente. In fondo, leggere sì, ma leggere troppo e tutto non è salutare. Si rischia di non essere più in grado di valutare ciò che vale la pena leggere. L’entusiasmo che a volte viene manifestato per la moltiplicazione del mercato editoriale è un po’ ambiguo. C’è una contraddizione intrinseca.

Due romanzi recenti che il critico seleziona in questo mondo infinito di libri e consiglia per quest’estate.

Uno più voluminoso e uno più leggero. Il primo è Underworld di Don De Lillo e l’altro Parigi non finisce mai di Enrique Vila-Matas.


 

 

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