Con l’estate
arriva anche una vita diversa da quella di tutti i giorni,
più lenta, più sospesa. Una vita con più
tempo e spazio per se stessi che in molti associano
alla lettura. Ma che cos’è questo bisogno
antieconomico di leggere? A quale necessità intima
risponde?
Ne abbiamo parlato col professor Giulio Ferroni, docente
di Letteratura italiana all’Università
La Sapienza di Roma e autore, oltre che della celebre
Storia della letteratura italiana, anche di
numerosi saggi.
“Insomma, tanto s’impigliò
nella cara sua lettura che gli passavano le notti dalle
ultime alla prime luci e i giorni dall’albeggiare
alla sera, a leggere. Cosicché per il poco dormire
e per il molto leggere gli si prosciugò il cervello,
in modo che venne a perdere il giudizio”. Questo
era Don Chisciotte, ma quanta follia c’è
in ogni lettore che “passa” il tempo a leggere
romanzi?
Don Chisciotte è l’archetipo di questa
follia che in fin dei conti c’è sempre,
in ogni lettore. Chisciotte porta solo all’estremo
l’identificazione, che per lui è totale.
In fondo la lettura è possibile sospenderla,
interromperla bloccando l’identificazione ed è
più facile farlo in letteratura che in altre
forme di intrattenimento o rapporto culturale. C’è
la possibilità della follia di Don Chisciotte
ma anche la possibilità di sospenderla interrompendo
la lettura.
C’è nei lettori la necessità
di scambiare il falso col vero?
Certo quella di stare dentro universi completamente
fittizi è una necessità che dipende dal
lettore, perché ci sono anche libri la cui lettura
ti prende di petto e ti mette in rapporto con una realtà
più reale di quella che si vive. Dipende. La
gamma di possibilità è infinita, si va
dall’eccesso di follia all’eccesso di razionalità
nel rapporto con la pagina scritta. Ci sono dei libri
che ti costringono a pensare e altri che ti trasportano
nell’evasione.
Italo Calvino diceva che la letteratura è
conoscenza. Leggere serve a conoscere la realtà
o a fuggirla?
Tutte e due le cose. La letteratura gioca sul paradosso
per cui si conosce la ricchezza della realtà
nel momento stesso in cui si fugge da essa, nel momento
stesso in cui si fugge dall’immediatezza in cui
si sta vivendo. Naturalmente c’è la letteratura
di pura negazione del presente e il suo contrario, ma
in ultima analisi le due sono strettamente intrecciate.
Questo è il bello dell’esperienza che si
fa con la grande letteratura, con le grandi opere che
ci fanno fuggire dal tempo meccanico e ci fanno conoscere
la complessità del reale.
Bergson diceva che l’incanto della fabulazione
dipende dalla necessità dell’uomo di esorcizzare
la morte.
Aveva ragione. Tutto il sistema della letteratura nasce
come tentativo di fermare la vita, di fermarla in un
movimento temporale. A parte le arti moderne, fino all’Ottocento
le arti plastiche, figurative, etc., hanno dato persistenza
alla vita sfidando la morte ma senza il movimento, l’effetto
del tempo. La letteratura era la sola a restituire anche
la temporalità.
Di solito si dice che si legge per ingannare
il tempo, nel senso di ammazzare la noia, ma leggere
non è anche, sempre, un ingannare il Tempo nel
senso di eluderlo?
Un tempo fittizio che sfida un tempo reale. Naturalmente
da quando esiste il cinema e i mezzi moderni le cose
sono cambiate. Prima era solo la letteratura a creare
tempo fittizio oggi siamo alla situazione estrema che
il più fittizio di tutti viene chiamato tempo
reale.
Per molto tempo leggere non è stata
vista come un’attività sana, tutt’al
più roba da servette o piccolo borghesi di provincia
come Madame Bovary. Perché questa paura della
lettura e del romanzesco?
Sin dalla loro nascita c’è stata una riflessione
continua sul pericolo della lettura dei romanzi da parte
di gente sprovveduta. Da Rousseau a Manzoni a tanti
altri. Pensavano che la diffusione dei romanzi diffondesse
anche la mania di un rapporto con un mondo che non c’è.
Madame Bovary è l’esito estremo. Vivere
una vita fittizia modellata su ciò che sta scritto
nei romanzi. Pure Dante fece una lettura del genere
della storia di Paolo e Francesca che leggevano per
diletto il libro di Lancillotto. Francesca da Rimini
è una Bovary del mondo cortese. C’era questa
sorta di paura per i fantasmi che la lettura potesse
risvegliare, fantasmi nocivi per la salute mentale e
morale. C’era inoltre una sorta di discrimine
di classe e di genere in quanto erano le donne e le
classi sociali più deboli a non possedere gli
strumenti critici razionali “necessari”
alla lettura.
Adesso da queste cose siamo molto lontani. In questa
fascinazione per la lettura e i mondi altri con cui
questa mette in relazione si vede oggi anche un arricchimento,
un potenziamento di vita.
Chi con la sua opera ha scritto l’elogio
della lettura?
Almeno tutti quelli che con la loro opera hanno fatto
l’elogio della scrittura. Quello più appassionato
e totalizzante che mi viene in mente nella letteratura
del Novecento è senz’altro Proust. La sfida
altissima che per Proust è la scrittura per il
lettore diventa la lettura. Entrare nella sterminata
Recherche con la sua concentrazione sulla parola nel
momento stesso in cui si sviluppa, si snoda. D’altro
canto non si può dimenticare come una buona parte
di letteratura moderna sia una critica della lettura
attraverso la continua rottura del linguaggio, penso
alle avanguardie e affini.
La lettura di libri che funzione può
avere oggi in un mondo prevalentemente di immagini?
La lettura è un’esperienza importante
della lentezza e della possibilità di sospensione.
Siamo sempre on-line, in tutti i sensi. Ecco, forse
il libro, nella sua forma, ha questa capacità
di farci evadere e conoscere dandoci anche la possibilità
di sospendere l’esperienza.
Che cos’è l’ecologia della
lettura che lei ha proposto?
L’ecologia della lettura è necessaria
oggi perché ci sono troppi libri. Un lettore
onnivoro come Gesualdo Bufalino ad un certo punto ha
espresso proprio l’angoscia di questa moltiplicazione
infinita e dell’impossibilità di leggere
tutto. Nel mondo ci sono una quantità tale di
messaggi, librari e non, che ci piovono addosso da tutte
le parti, molta spazzatura, ma anche molta roba che
forse varrebbe la pena di conoscere. Allora forse proprio
per questo bisognerebbe trovare la via verso un’ecologia
della lettura che sarebbe anche un’ecologia della
mente. In fondo, leggere sì, ma leggere troppo
e tutto non è salutare. Si rischia di non essere
più in grado di valutare ciò che vale
la pena leggere. L’entusiasmo che a volte viene
manifestato per la moltiplicazione del mercato editoriale
è un po’ ambiguo. C’è una
contraddizione intrinseca.
Due romanzi recenti che il critico seleziona
in questo mondo infinito di libri e consiglia per quest’estate.
Uno più voluminoso e uno più leggero.
Il primo è Underworld di Don De Lillo
e l’altro Parigi non finisce mai di Enrique
Vila-Matas.
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