Giornalista
e critico letterario, responsabile dei servizi culturali
del Giornale Radio Rai, Piero Dorfles ha affiancato
Neri Marcorè nella conduzione della fortunata
trasmissione televisiva Per un pugno di libri.
Gli abbiamo chiesto perché i libri hanno così
scarso successo in Italia, e se televisione e industria
editoriale non abbiano qualche colpa a riguardo. La
risposta è stata abbastanza sorprendente.
Lei è co-conduttore di una felice trasmissione
televisiva in cui i libri fanno da protagonisti. Ma
in realtà i libri in tv compaiono assai poco.
Perché?
Certo, i libri in televisione sono pochi, ma è
anche vero che la televisione non è fatta solo
per questo tipo di trasmissioni. Lo spazio dedicato
all’informazione culturale è poco per il
semplice fatto che non è premiato dall’ascolto.
Questo elemento è fondamentale e chi pensa con
fastidio che queste trasmissioni siano vittime dell’auditel
pensa una sciocchezza. L’auditel potrà
sicuramente essere fatto male, e dovrebbe certamente
essere modificato, però quando la gente non guarda
una trasmissione vuol dire che quella trasmissione è
sbagliata.
Ma allora tutto quello che ha successo è
“buono” e tutto quello che non ha successo
no?
Ovviamente non è così: non è che
un reality show va bene perché ha ascolti record.
Dico però che una cosa che non ha successo non
è giusto che vada in televisione. La televisione
è un mezzo di comunicazione di massa e deve rispettare
quello che le masse desiderano e vedono. A questo punto
però il ragionamento potrebbe essere anche diverso.
Se cioè, di libri, e diciamo più genericamente
di cultura, in televisione non si parla, forse è
colpa anche degli intellettuali, è colpa del
fatto che è sicuramente più facile non
parlarne. A questo punto concludo il “ciclo”
dicendo: se si vuole parlare di cultura e di libri in
televisione bisogna inventare lo strumento perché
questo possa piacere ad una quantità sufficiente
di persone da giustificare l’uso del mezzo televisivo,
altrimenti si fa un prodotto d’élite, di
nicchia, che può andare forse su una rete satellitare,
ma non su grandi canali di una tv generalista: tv che
ha bisogno del pubblico altrimenti muore.
Torniamo alla lettura. Perché si legge
così poco in Italia? E, secondo lei, il grande
successo dei festival letterari e culturali è
indice di un cambiamento di tendenza?
Temo di no. Secondo me, la presenza di tanti e fortunati
festival culturali in Italia dimostra che c’è
una parte sostanziale di lettori forti in Italia che
è disposta a mobilitarsi e viaggiare per essere
presente e partecipare a manifestazioni culturali importanti
come quelle che ci sono a Berlino, Mantova e altre.
Ciò avviene perché l’Italia ha una
caratteristica abbastanza peculiare. La gente che legge
è poca, ma molto interessata e coinvolta, ha
una forte passione per la lettura e l’universo
della cultura e della riflessione, del pensiero critico
e analitico. Questo vuol dire che ci sono circa tre
milioni di lettori in Italia che si muovono velocemente
si incontrano nei festival. Molti festival con tante
persone, ma un risultato finale che è sempre
deludente. Non si tratta di una contraddizione. Si possono
benissimo avere festival pieni di gente e pochi lettori.
Ma allora come si fa ad allargare la cerchia
di questi ultimi?
L’editoria deve vendere ed è giusto che
venda tutto quello che può. Non è colpa
dell’editoria se Melissa P ha più successo
di Proust o di Svevo. Il motivo per cui si vende Melissa
P è che va incontro a certi tipi di esigenze,
anche culturali, dei giovani che oggi vivono quell’età,
e non c’è niente di male che abbia successo.
Un milione di copie di Melissa P servirà a finanziare
il lavoro di un editore medio che altrimenti non avrebbe
finanziamenti. Ma non si creda che pubblicando cattivi
volumi si ottengono pochi lettori mentre pubblicando
buoni volumi si hanno più lettori. I lettori
sono quelli, indipendentemente da quello che fanno gli
editori. Il pubblico dell’editoria non è
costruito dagli editori ma dalla collettività
nel suo insieme, quindi da tutti quei momenti di costruzione
della coscienza collettiva che cominciano in seno alla
famiglia, proseguono nella scuola e vanno avanti nei
valori che permeano tutta la società. Se questo
insieme di cose produce un modesto livello culturale
dobbiamo chiederci come si fa a cambiare i valori della
famiglia, della scuola, della società che sono
gli unici che possono modificare il modello di lettura
e di costruzione del lettore nel paese.
Per finire: ha titoli da consigliarci? Ma soprattutto:
ci faccia un elogio della lettura.
Non ho titoli da suggerire. Chiunque legge fa bene
ad andare in libreria e cercare ciò che gli piace.
L’elogio della lettura che mi sento di fare è
il seguente. Non esiste niente che dia più della
lettura. Qualunque altra forma di apprendimento, di
rapporto con la conoscenza e il sapere non è
né può essere altrettanto ricco, analitico
e critico. La lettura ci costringe a stare con noi stessi,
è un mestiere difficile da imparare ma quando
lo si è fatto dà delle potenzialità
straordinarie. Chi non legge è più povero,
chi legge è più ricco, chi non legge non
ha niente da raccontare, chi legge può raccontare
una vita e, se possibile, essere più felice degli
altri.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|