“La
mia opinione sulla letteratura e sulla società
corrisponde a quella di una persona comune, non esclusivamente
a quella di uno scrittore. Sono convinto che ogni persona
si possa occupare di più cose. Di giorno, per
esempio, io osservo la società e di sera divento
uno scrittore”. È con questa premessa che
Han Shaogong, il teorico della “Scuola delle radici”,
decide di affrontare insieme alcuni dei temi centrali
della letteratura cinese di oggi. Lo scrittore, giunto
a Roma per partecipare al convegno La letteratura
cinese in Italia, scrittori e traduttori a confronto
(organizzato nell’ambito delle celebrazioni per
I 750 anni dalla nascita di Marco Polo), analizza gli
scenari presenti e futuri del suo paese e del mondo:
dalla globalizzazione all’omologazione, scongiurando
catastrofi annunciate.
La Cina sta conoscendo un periodo di grande
cambiamento che segue ritmi molto veloci. Quali sono
gli effetti di questo fenomeno?
Questo cambiamento comporta minacce e crisi che si
manifestano in modo evidente soprattutto nel rapporto
tra Uomo e Natura e nei rapporti interpersonali, causando
anche una certa confusione culturale, con la perdita
di valori tradizionali. Il potere e la proprietà
hanno fatto un patto troppo intimo. Ovviamente tutto
ciò può favorire uno sviluppo veloce,
ma anche danneggiare profondamente la società.
Ad esempio, il divario tra ricchi e poveri, molto profondo
in Cina, è visibile anche tra città e
campagna: le città sembrano delle metropoli ultramoderne,
mentre le campagne invece sembrano realtà che
appartengono al passato. Nel nostro paese convivono
diversi mondi, eppure sembra che gli scrittori non possano
farci nulla. Per molti non è compito degli scrittori
intervenire e sembra che la letteratura non abbia niente
a che vedere con la società: la maggior parte
degli scrittori parla di adulteri, mentre le scrittrici
parlano di divorzio.
Quindi gli scrittori cinesi sono ripiegati
su se stessi?
Sì, è avvenuto un grosso cambiamento
rispetto agli anni Ottanta, quando gli scrittori erano
delle vere e proprie guide per i lettori. Oggi, invece,
a molti non va di insegnare e neanche a me piace, ma
ritengo necessario che la letteratura mantenga un legame
con la società. In questo senso, come fenomeni
sociali, anche adulterio e divorzio hanno valore, ma
si svolgono solo nella camera da letto anziché
in un ambito più vasto. Negli anni Ottanta e
Novanta gli scrittori parlavano dell’importanza
dell’individualità, del valore delle differenze
tra persone. Purtroppo lo sviluppo di questa tendenza
è stato che molti fenomeni sociali sono diventati
uguali, perché raccontati in modo uguale. Plagio
ed omologazione non sono solo, quindi, problemi “legali”,
ma anche sociali: non interessano la scrittura, ma la
società. Ci fanno capire che la vita e l’esperienza
di molti scrittori si è uniformata, è
diventata un’unica tinta. Il nostro modo di vivere
si è uniformato a livello globale, come effetto
dello sviluppo della tecnologia che ha promosso ed accelerato
globalizzazione ed omologazione. Questo rappresenta
una grossa pressione per gli scrittori. Da un lato,
coloro che scrivono nel modo tradizionale sono sempre
meno, mentre dall’altro la pubblicità si
appropria di molta parte della letteratura usando, per
esempio, citazioni letterarie. Invece una volta la letteratura
era letta dai giovani, che ne erano i maggiori fruitori.
Per le nuove generazioni non c’è motivo
di porsi tante domande, in assenza di gravi problemi
politici. E questo è stato uno degli argomenti
di conversazione tra Ma Yuan, che si chiedeva come recuperare
i nostri lettori, e Su Tong, al quale, invece, prima
dei lettori, importa scrivere.
Io ritengo che siano gli scrittori a dover scegliere.
Si sensibilizzeranno ed affronteranno temi sociali solo
se si verificherà una grande crisi, politica
o naturale, purché avvertita da tutti, anche
dagli stessi intellettuali. In ogni epoca c’è
un momento in cui arriva la crisi, anche se imprevedibile,
e bisogna pensare che la catastrofe arriva anche per
noi. Molti scrittori si occupano di comprare case ed
automobili perché pensano che l’inverno
sia lontano.
La globalizzazione produce solo effetti negativi?
Non ho detto questo. Nell’85 ho scritto un articolo
molto importante a livello nazionale, “La ricerca
delle radici”, che ha segnato la nascita di un
nuovo fiorire della letteratura. Bisognava tornare alle
origini culturali, poiché a quell’epoca
erano state tradotte molte opere occidentali: la globalizzazione
è stata uno stimolo in questo senso. Però
ovviamente gli effetti possono essere vincenti o perdenti,
positivi o negativi. Oggi prevalgono quelli negativi.
Nel periodo marxista non c’era un divario così
forte tra ricchi e poveri poiché i poveri erano
tutti allo stesso livello. Marx aveva detto che il proletariato
si doveva unire: all’epoca i proletari erano poveri,
e poveri allo stesso modo. Invece oggi sono i ricchi
ad essere ricchi allo stesso modo. È la borghesia
che è diventata più unita. Abbiamo così
molte cose da criticare, ma sono poche le critiche positive.
Noi sappiamo quello che non vogliamo ma non quello che
vogliamo.
Come sarà allora il futuro della letteratura
cinese?
Non predico il futuro! Ma per i prossimi 10-20 anni
non sono ottimista. Se penso ai prossimi 100-200 anni,
allora credo che ci siano delle speranze. C’è
un detto cinese secondo cui quando le cose vanno male
si arriva al fondo e poi si rinasce. Ma non voglio pensare
che sia necessaria una crisi per tornare ad una fioritura.
Non voglio essere egoista, come letterato, ed augurarmi
il peggio per far rifiorire la letteratura. Spero, anzi,
che il mio paese diventi ricco e che prosperi, che dimentichi
la letteratura.
Traduzione di Rosa Lombardi
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