302 - 07.07.06


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È il momento degli anni Settanta

Massimiliano Panarari



Voglia di anni Ottanta, dalla musica all’abbigliamento alle mode in genere: questo è quello che ci dicono le riviste di settore e i rotocalchi, i quali urlano a gran voce la nostalgia degli Eighties. Ma se si dà un’occhiata all’ambito del mercato editoriale e dell’industria culturale (termine che le figure di cui stiamo per parlare, pur avendola in parte inventata, aborrirebbero), pare di assistere, soprattutto, a un certo ritorno degli anni Settanta… Toni Negri, inserito nelle classifiche dei pensatori più influenti del pianeta dai mass media mondiali di punta, dal quotidiano statunitense New York Times all’hebdo francese Nouvel Observateur. Technikart, il mensile parigino bibbia dei trentenni branchés e modaioli (anche e soprattutto in senso culturale), rispolvera e aggiorna tendenze anni Settanta, con la capitale francese – in quegli anni vetrina della cultura mondiale grazie al post-strutturalismo – che sforna a getto continuo idee e “situazioni” riprese direttamente da quell’epoca. Sempre Oltralpe, continua poi a imperversare e far discutere un libro piuttosto interessante di François Cusset French Theory. Foucault, Derrida, Deleuze & Cie et les mutations de la vie intellectuelle aux États-Unis (La Découverte), un lungo e dettagliato resoconto dell’immediata “corrispondenza d’amorosi sensi” esplosa nel 1970 a New York (e da lì irradiatasi in tutti gli States, con in testa, ovviamente, la California) tra la controcultura a stelle e strisce e i filosofi francesi, adottati in chiave di resistenza alla controrivoluzione reaganiana alle porte e destinati a esercitare un’influenza durevole e profonda sulla cultura tanto accademica (tra gender e cultural studies) e pop (dal fumetto alto alla fantascienza, sino a una certa cinematografia) – un volume di cui ha diffusamente parlato anche il Manifesto, attentissimo, ça va sans dire, ai fermenti e alle reminiscenze di quel mondo.

Insomma, l’antagonismo è à la page, anche perché sembra impossibile pensare, riflettere o discutere della “Rivolta” o di qualunque manifestazione di ribellismo senza ricorrere al lessico e al gergo degli anni Settanta, come se là si fossero cristallizzate ed espresse per l’ultima volta le forme della ribellione, prima del “Grande freddo” anni ‘80. Analogamente, il pensiero della sinistra radicale postfordista pare impossibile senza le suggestioni degli anni Settanta, basti vedere il volume Capitalismo cognitivo sulla conoscenza e la finanza nell’attuale temperie neoliberista – un parallelismo centrale per questo tipo di argomentazioni – curato da Carlo Vercellone (docente alla Sorbona) e composto da saggi di studiosi prevalentemente francesi (Manifestolibri).

E in Italia, dove la nomea degli anni Settanta risulta per lo più irrimediabilmente negativa? Oltre a quello che rimane della galassia no global, molto disponibile a raccogliere il testimone dell’epoca, il fenomeno pare avere un côté significativo (in primis, editoriale) anche da noi, non soltanto per il proliferare della memorialistica e dei libri sul terrorismo – da Prospero Gallinari (Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate rosse, Bompiani) al giornalista Paolo Pergolizzi (L’appartamento, Aliberti) – ma per l’arrivo in libreria di una serie di volumi che restituiscono il mood e il clima di quel decennio, apparentemente archiviato e pieno di tensioni (alcune delle quali irripetibilmente creative).

Due dei pesi massimi del periodo vengono ripubblicati da noi proprio ora. Si tratta del Panegirico di Guy Debord (Tomo primo e Tomo secondo riuniti insieme, Castelvecchi) e del Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni di Raoul Vaneigem (Castelvecchi). Debord, il papa del situazionismo (l’ultima avanguardia), morto suicida nel ‘94, e Vaneigem, inquieto anche all’interno dell’inquietudine situazionista, al punto da venirne allontanato per troppa irregolarità (anche gli “agitatori” si innamorano delle ortodossie…), ci parlano con un linguaggio che suona distante, dopo la sterilizzazione degli anni ’80 e della loro rivoluzione conservatrice, ma proprio per questo suggestionano ancora e, anzi, ancor più. Autentica poesia rivoluzionaria, infatti, è quella contenuta nel libro di Vaneigem, piena degli ardori di quella stagione irripetibile della vita di ogni individuo che coincide con la gioventù (soltanto oggi, in questi tempi grigissimi, divenuta tanto faticosa e, a volte, plumbea per l’assenza di speranze e per il dilagare dell’estrema precarietà lavorativa). Mario Perniola, sempre per Castelvecchi, dedica un libro di ricostruzione complessiva a I situazionisti. Il movimento che ha profetizzato la “Società dello spettacolo”, tra psicogeografia e urbanistica unitaria, rizoma e critica del maoismo e dell’ideologia terzomondista. Insomma, come direbbero i detrattori degli anni Settanta, il lupo perde il pelo, ma non il vizio di provocare (e in questo caso anche di continuare a seminare idee irriverenti e provocatorie, che ci sfidano a tornare ad essere più creativi)…


 

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