Voglia di
anni Ottanta, dalla musica all’abbigliamento alle
mode in genere: questo è quello che ci dicono
le riviste di settore e i rotocalchi, i quali urlano
a gran voce la nostalgia degli Eighties. Ma
se si dà un’occhiata all’ambito del
mercato editoriale e dell’industria culturale
(termine che le figure di cui stiamo per parlare, pur
avendola in parte inventata, aborrirebbero), pare di
assistere, soprattutto, a un certo ritorno degli anni
Settanta… Toni Negri, inserito nelle classifiche
dei pensatori più influenti del pianeta dai mass
media mondiali di punta, dal quotidiano statunitense
New York Times all’hebdo francese
Nouvel Observateur. Technikart, il
mensile parigino bibbia dei trentenni branchés
e modaioli (anche e soprattutto in senso culturale),
rispolvera e aggiorna tendenze anni Settanta, con la
capitale francese – in quegli anni vetrina della
cultura mondiale grazie al post-strutturalismo –
che sforna a getto continuo idee e “situazioni”
riprese direttamente da quell’epoca. Sempre Oltralpe,
continua poi a imperversare e far discutere un libro
piuttosto interessante di François Cusset French
Theory. Foucault, Derrida, Deleuze & Cie et les
mutations de la vie intellectuelle aux États-Unis
(La Découverte), un lungo e dettagliato
resoconto dell’immediata “corrispondenza
d’amorosi sensi” esplosa nel 1970 a New
York (e da lì irradiatasi in tutti gli States,
con in testa, ovviamente, la California) tra la controcultura
a stelle e strisce e i filosofi francesi, adottati in
chiave di resistenza alla controrivoluzione reaganiana
alle porte e destinati a esercitare un’influenza
durevole e profonda sulla cultura tanto accademica (tra
gender e cultural studies) e pop (dal
fumetto alto alla fantascienza, sino a una certa cinematografia)
– un volume di cui ha diffusamente parlato anche
il Manifesto, attentissimo, ça va
sans dire, ai fermenti e alle reminiscenze di quel
mondo.
Insomma, l’antagonismo è à
la page, anche perché sembra impossibile
pensare, riflettere o discutere della “Rivolta”
o di qualunque manifestazione di ribellismo senza ricorrere
al lessico e al gergo degli anni Settanta, come se là
si fossero cristallizzate ed espresse per l’ultima
volta le forme della ribellione, prima del “Grande
freddo” anni ‘80. Analogamente, il pensiero
della sinistra radicale postfordista pare impossibile
senza le suggestioni degli anni Settanta, basti vedere
il volume Capitalismo cognitivo sulla conoscenza
e la finanza nell’attuale temperie neoliberista
– un parallelismo centrale per questo tipo di
argomentazioni – curato da Carlo Vercellone (docente
alla Sorbona) e composto da saggi di studiosi prevalentemente
francesi (Manifestolibri).
E in Italia, dove la nomea degli anni Settanta risulta
per lo più irrimediabilmente negativa? Oltre
a quello che rimane della galassia no global,
molto disponibile a raccogliere il testimone dell’epoca,
il fenomeno pare avere un côté
significativo (in primis, editoriale) anche da noi,
non soltanto per il proliferare della memorialistica
e dei libri sul terrorismo – da Prospero Gallinari
(Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante
delle Brigate rosse, Bompiani) al giornalista Paolo
Pergolizzi (L’appartamento, Aliberti)
– ma per l’arrivo in libreria di una serie
di volumi che restituiscono il mood e il clima di quel
decennio, apparentemente archiviato e pieno di tensioni
(alcune delle quali irripetibilmente creative).
Due dei pesi massimi del periodo vengono ripubblicati
da noi proprio ora. Si tratta del Panegirico
di Guy Debord (Tomo primo e Tomo secondo riuniti
insieme, Castelvecchi) e del Trattato del saper
vivere ad uso delle giovani generazioni di Raoul
Vaneigem (Castelvecchi). Debord, il papa del situazionismo
(l’ultima avanguardia), morto suicida nel ‘94,
e Vaneigem, inquieto anche all’interno dell’inquietudine
situazionista, al punto da venirne allontanato per troppa
irregolarità (anche gli “agitatori”
si innamorano delle ortodossie…), ci parlano con
un linguaggio che suona distante, dopo la sterilizzazione
degli anni ’80 e della loro rivoluzione conservatrice,
ma proprio per questo suggestionano ancora e, anzi,
ancor più. Autentica poesia rivoluzionaria, infatti,
è quella contenuta nel libro di Vaneigem, piena
degli ardori di quella stagione irripetibile della vita
di ogni individuo che coincide con la gioventù
(soltanto oggi, in questi tempi grigissimi, divenuta
tanto faticosa e, a volte, plumbea per l’assenza
di speranze e per il dilagare dell’estrema precarietà
lavorativa). Mario Perniola, sempre per Castelvecchi,
dedica un libro di ricostruzione complessiva a I
situazionisti. Il movimento che ha profetizzato la “Società
dello spettacolo”, tra psicogeografia e urbanistica
unitaria, rizoma e critica del maoismo e dell’ideologia
terzomondista. Insomma, come direbbero i detrattori
degli anni Settanta, il lupo perde il pelo, ma non il
vizio di provocare (e in questo caso anche di continuare
a seminare idee irriverenti e provocatorie, che ci sfidano
a tornare ad essere più creativi)…
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