Tratto
da Reset
La vera proprietà del libro, la sua virtus
operativa o la sua vis magica, ciò che
si potrebbe chiamare la sua librarietà,
si trova solamente nel rapporto che esso stabilisce
e mantiene tra la sua apertura e la sua chiusura. A
differenza della porta del proverbio, non è necessario
che un libro sia aperto o chiuso: è sempre tra
i due stati, passa sempre da uno all’altro. Questo
passaggio continuo e incessantemente reversibile –
il libro aperto infatti si richiude proprio mentre il
libro chiuso si apre – dipende dal fatto che il
libro non può essere considerato né semplicemente
come un «contenente» né propriamente
come un «contenuto».
Il libro non è l’oggetto che è
possibile riporre su uno scaffale o posare su un tavolo,
e non è nemmeno il testo che risulta stampato
sulle sue pagine. Ma va piuttosto dall’uno all’altro,
o meglio si mantiene nella tensione tra i due: apre
questa tensione, la suscita e non smette di alimentarla
con il susseguirsi delle sue pagine. Allo stesso tempo
la distende e la placa, affidandola al suo volume come
a una sorta di repositorio. Dal lato della tensione,
dell’attesa e della tentazione, si trova l’intenzione
febbrile da cui il libro, sempre, è scaturito.
Non c’è libro che scaturisca naturalmente:
non si scrive un’opera come si scrive una lettera,
una nota o un libello (un «piccolo libro»).
Ma si progetta un’impresa che, ogni volta, si
pensa senza esempio e senza imitatore: si medita di
consegnare o di consegnarsi [de livrer ou de se
livrer] come un pensiero in sé perfetto
e autosufficiente, mai come un semplice mezzo di informazione,
di rappresentazione o di immaginazione. Un libro nasce
nell’agitazione e nell’inquietudine, nella
fermentazione di una forma che si cerca, che cerca un
dispiegamento e un acquietamento della sua impazienza.
Dal lato del riposo, il libro offre la sua composizione:
questa non va tuttavia intesa in primo luogo o solamente
nel senso dell’ordine, della costruzione e, in
generale, della sistematicità o della sinestesia
che si ritiene siano implicate e articolate dall’unità
del libro, ma, in modo più modesto ed empirico,
bisogna cominciare con il riconoscere in essa quell’assemblaggio
che l’unicità materiale del libro rappresenta.
La sua rilegatura o la sua brossura è ciò
che fa il volume: se sia «un libro» nel
senso trascendentale o archetipico del termine, se corrisponda
cioè a quel che è pensato sotto l’Idea
pura di «libro», questa è un’altra
questione, di cui soltanto la lettura dovrà rendere
conto. È già sufficiente che delle pagine
si succedano e si concatenino in nome di una simile
Idea.
Questo presuppone che il concatenamento non sia semplicemente
quello di una logica né quello di una narrazione
o di un’esposizione.
Nel caso in cui si debba presentare o ricevere una dimostrazione,
una storia, una descrizione o un’analisi, la forma
del discorso orale, quella della lezione, per darle
questo nome, sarà altrettanto adatta e persino
preferibile a quella del libro. È questa, del
resto, la ragion d’essere essenziale, se non unica,
degli insegnanti: i professori parlano.
In quanto professori, sono esseri parlanti. Se scrivono
dei libri, non lo fanno in quanto tali: si potrebbe
dire altrettanto, e in modo strettamente parallelo,
dei pittori, dei meccanici, degli avvocati, dei muratori,
dei medici ecc. Ciascuno di loro, in quanto membro della
sua professione, professa, per così dire, attraverso
il gesto, attraverso la parola o attraverso l’insieme
di una condotta. Ma se qualcuno di loro compone un libro,
e se il suo libro non è soltanto un «manuale»
del sapere che costui professa, allora quello che si
chiama l’autore del libro diviene un altro soggetto,
un altro personaggio, un altro uomo addirittura o, niente
di meno, altro da un uomo. Il termine «manuale»
lo indica chiaramente: un manuale contiene, in una forma
e in un formato maneggevoli, manipolabili, un insieme
di istruzioni relative al maneggio di una qualunque
disciplina, teorica o pratica. Il manuale non è
né un libro né un insegnamento.
Così come non lo è quello che si chiama
un «trattato», che espone nella sua integralità
un corpo di conoscenza o di pensiero. Se il manuale
è destinato al maneggio o all’esercizio,
il trattato è fatto per permettere la considerazione
e la misurazione di un campo, è una geografia
o una cosmografia di dati e di nozioni. Le pubblicazioni
di questo genere costituiscono delle opere: sono derivate
da intenzioni e da comportamenti operativi e
aprono vie verso altre operazioni possibili. Sono, semplicemente,
mezzi in vista di fini situati al di fuori di essi,
nel mondo dell’azione teorica o pratica. A questo
registro appartengono anche tutte le opere militanti,
impegnate per una causa, portatrici di una rivendicazione
– manifesti, giornali satirici, opuscoli, pamphlet,
operette e pasquinate.
Il libro è tutt’altro. Esso non costituisce
un mezzo e, allo stesso modo, sarebbe difficile farlo
rientrare nella categoria di fine: se non ha infatti
uno scopo al di fuori di sé, non è nemmeno
di per sé lo scopo di un’operazione di
qualche tipo. Questo non significa che non ci siano
qua o là, nei libri – in alcuni libri,
perlomeno –, elementi di manuale o di trattato,
aspetti di enciclopedia o di raccolta dottrinale, istruzioni
per l’uso o idee disciplinari, persino precetti,
consigli, ammonimenti, dichiarazioni o esortazioni.
In modo simmetrico, non si può negare che trattati,
manuali o libelli militanti possano contenere alcuni
spunti o risuonare di alcuni accenti che li situano
nella compagnia dei libri.
Ma l’essenziale è un altro: il libro che
è qui in questione non può essere identificato
come un oggetto distinto né come una classe definita
di oggetti. Non si confonde affatto con il volume stampato,
pur conferendo a tale volume alcuni tra i suoi valori
più significativi: in primo luogo, quel valore
di Idea in sé piegata e da sé dispiegabile,
attraverso la quale identifichiamo davvero un «libro»
quando utilizziamo questa parola in modo da distinguerla
proprio dal «volume» e dall’»opera».
È così, del resto, che la parola latina
liber ha tracciato il suo destino moderno,
passando dal «libro a stampa» al «libro»
tout court, preso assolutamente, al libro assoluto se
non all’assoluto in quanto libro.
Questo brano è estratto dal volume Del
libro e della libreria. Il commercio delle idee
(Raffaello Cortina, 2006, pp. 63, euro 9) in uscita
in questi giorni. L’autore è uno dei più
importanti filosofi contemporanei.
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