300 - 02.06.06


Cerca nel sito
Cerca WWW
Tempo moderno, ovvero
un ibrido uomo-macchina

Tina Cosmai



Joseph Stiglitz ama l’idea di persona. L’economista statunitense visita la mostra Tempo moderno. Da Van Gogh a Warhol. Lavoro macchine e automazioni nelle Arti del Novecento allestita per celebrare un secolo di vita della Cgil a Palazzo Ducale di Genova fino al 30 luglio. Una visita, quella di Stiglitz, avvenuta in occasione dell’incontro organizzato dal Centro Culturale Europeo della Fondazione Carige sul tema Europa e globalizzazione. Il premio nobel è stato a Genova per ricevere la laurea honoris causa in Scienze internazionali e diplomatiche.

“Ho sempre lamentato il fatto che l’economia sia in mano a burocrati che considerano tutto in percentuali e tabelle”, afferma Stiglitz alludendo ad una relazione tra una maggiore sensibilità etica e quindi umana, spirituale, ed il lavoro. “Questa mostra – continua - è uno strumento utilissimo perché evidenzia il rapporto tra uomo, lavoro e civiltà industriale e lo fa in modo sensibile, appassionante. Può essere un grande strumento didattico per chi si confronta con tali fenomeni”.

Durante la visita si sofferma sui quadri del Futurismo e sulla proiezione del film Riso amaro. I suoi maestri europei sono filosofi e cita subito Karl Popper, definendo l’Europa uno spazio etico in virtù della sua storia cosmopolita e culturale.

D’altronde la mostra organizzata da Germano Celant propone un tema molto sentito da Stiglitz: l’ibrido essere-macchina della modernità.
Tempo Moderno attraversa la storia del lavoro nelle arti dell’intero Novecento: pittura, scultura, fotografia, cinema, partendo dalla fine dell’Ottocento con i dipinti di Van Gogh fino ai giorni nostri con le foto di Edward Burtynsky sul lavoro industriale in Cina. Un discorso che inizia con la sofferenza e la lotta dei lavoratori in cui “la rappresentazione artistica è principalmente un racconto visivo che cerca di evidenziare la forza fisica e la componente umana che si sviluppava dinanzi ai nuovi apparati industriali” scrive Celant. Ed è proprio questa “componente umana”, quell’idea di persona di Stiglitz che connota l’intera esposizione, dagli inizi del rifiuto o accettazione della macchina nell’universo del lavoro fino alla scomparsa di ogni dimensione di lotta, di fatica, di schiavitù, di esperienza diretta dell’uomo con il proprio mestiere.

“La Banca Mondiale – racconta Stiglitz – ha recentemente istituito delle figure di giovani ricercatori che operano nei Paesi in via di sviluppo, per fare esperienza di una realtà concreta”. Un’intuizione che in Tempo Moderno è stata colta nel confronto tra l’uniformità spirituale contemporanea dei luoghi economici, finanziari, commerciali, con la vita lavorativa di altre etnie, di nazioni povere. Qui si ripropone una condizione di vita governata dalla schiavitù, come nelle foto di Jacob A. Riis e di Lewis Hine, in cui sono rappresentate la miseria, la rassegnazione dell’uomo di fronte alla macchina, lo sfruttamento dei più deboli, in particolare i bambini, nell’Occidente dei primi anni del Novecento.

Il racconto del lavoro moderno nasce da questa condizione drammatica per sfociare nella tragicità dell’alienazione umana. Una storia iconografica che inizia con il forte coinvolgimento emotivo nell’idealizzazione della lotta, “una sublimazione, tanto che l’effettualità si affievolisce e lentamente l’immagine si diluisce in processo concettuale ed astratto”.

Dal Futurismo italiano al Costruttivismo e Suprematismo dei rivoluzionari russi e, in seguito, dagli sperimentalismi Bauhaus in Germania al meccanicismo di Fernand Léger in Francia, all’irrisione critica dada e surrealista. Negli anni Sessanta e Settanta nasce una nuova rappresentazione del lavoro. Compaiono immagini fotografiche, cinematografiche, televisive: una rivoluzione nella comunicazione artistica. Qualcosa è mutato nel rapporto tra reale e immaginario.

“Il sovvertimento è totale – scrive Germano Celant – sembra quasi che la realtà del lavoro perda la sua fisicità e materialità e l’immagine, nella sua virtualità e nella sua autonomia, riesca ad affermare il suo potere, svincolato dal referente, cosicché la produzione letteraria e artistica si connette sempre più con la vita in generale e distanzia il suo fare dalla crisi del politico e del sociale. E’ un momento di derealizzazione e di dematerializzazione che non è una separazione dalla realtà, ma l’effetto di una riflessione sui rapporti tra lavoro ed immagine, che è un riflesso del passaggio da contrapposizione a equivalenza tra essere e macchina, vale a dire tra essere vivente ed essere artificiale, tra originale e simulacro”.

A chiusura della mostra, gli ultimi decenni del secolo con il dramma umano del progressivo avvento della tecnologia nel lavoro. La rivoluzione tecnologica invade il mondo occidentale e asiatico creando un rapporto confuso e asettico tra uomo e macchina.

Parte integrante dell’esposizione è costituita dall’intervento audiovisivo: il cinema e i video che sono entrati nell’universo del lavoro. Dai brevi film con cui Frank Gilbreth documentava e studiava le più svariate attività produttive, alle raffigurazioni dello sciopero e del lavoro delle avanguardie russe; dai minatori tragici di Pabst e Wilder ai disoccupati danzanti di Busby Berkeley fino alle catene di montaggio realistiche ed esilaranti di Renoir e Chaplin, per arrivare poi agli operai, braccianti e aspiranti lavoratori del neorealismo con i film di De Sanctis e De Sica, Petri, Monicelli.

Negli ultimi quaranta anni del Novecento nascono altre forme rappresentative del lavoro: grandi documentaristi come Wiseman e Watkins e reporter televisivi della grande stagione di TV7 e Cinq à la Une, entrano nelle fabbriche e nei laboratori di tutto il mondo per documentare le nuove tecniche produttive automatizzate. Così le incursioni del cinema di fiction nel mondo del lavoro: da Blue Collar di Schrader fino al recente L’uomo senza sonno di Brad Anderson, dalle storie amare di lavoratori sovietici del regista scrittore Suksin, alla saga di Wajda, ai camionisti di Wenders.


Tempo Moderno
Da Van Gogh a Warhol

Genova, Palazzo Ducale
14 aprile – 30 luglio 2006


 


 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it