298 - 05.05.06


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La solitudine dei cloni

Francesco Roat



Tre ragazzi ? Kathy, Tommy e Ruth ? crescono in un singolare collegio inglese fra adolescenti che, come loro, non hanno famiglia. Ma non si tratta di semplici orfani; anche se il libro all’inizio non lo dice, ci troviamo di fronte a un gruppo di cloni: di esseri viventi fabbricati per procurare organi agli umani. Questo infatti sarà il destino non solo dei tre amici, ma pure di tutti quanti gli studenti del collegio una volta fattisi adulti: donare senza limite alcuno parti del loro corpo in una serie di operazioni che inevitabilmente finirà per ucciderli.

Questa, in brevissima sintesi, la trama di Non lasciarmi: intenso testo narrativo del giapponese Kazuo Ishiguro (l’autore de Quel che resta del giorno, da cui è stato tratto il noto film omonimo interpretato da Anthony Hopkins ed Emma Thompson), assolutamente non fantascientifico né truculento, quanto semmai rubricabile all’insegna del romanzo di formazione sentimentale o ? se vogliamo ? a quella di un’inedita, delicatissima storia d’amore.
Romanzo psicologico, quindi, dai toni allusivi e dalle atmosfere soffuse; tutto giocato sui dialoghi (anche interiori) dei personaggi principali e sull’ambientazione che privilegia i tenui pastelli della campagna inglese o i chiaroscuri interni delle chiuse istituzioni cui sono costretti i più o meno inconsapevoli cloni. Sì, perché questa è la carta vincente dell’eccentrico racconto di Ishiguro: far rimanere col fiato sospeso il lettore sino all’ultimo non solo riguardo alle sorti dei tre protagonisti ? via via sempre più consapevoli del loro stato di vittime sacrificali ? ma anche rispetto alla possibilità o meno di una loro ribellione contro l’utopia rovesciata che li ha costretti al ruolo atroce di pezzi di ricambio per umani assetati d’immortalità a buon mercato.

Fin dall’inizio di questa vicenda, nemmen troppo surreale in effetti, Kathy, Tommy e Ruth si rendono conto che non tutto nel loro collegio è trasparente e normale come vorrebbero far intendere i “tutori”. Si susseguono strani e inquietanti accadimenti, gli insegnati non riescono a nascondere il senso di disagio che provano di fronte agli studenti, che iniziano ben presto a comprendere “di essere diversi dai tutori, e anche dalle persone normali del mondo di fuori”. Ma principalmente di una cosa sono certi i ragazzi: li attende un compito futuro del tutto altro da quello cui saranno destinati gli altri coetanei, anche se ai cloni non è esattamente chiaro in cosa consisterà il contributo, l’oblazione richiesta loro.

Così i nostri protagonisti con il trascorrere degli anni maturano una consapevolezza dolorosa, cui però sembra si rassegnino con un’accettazione acritica. Nel frattempo, divenendo adolescenti iniziano le loro prime esperienze amorose (nei collegi per donatori c’è molta libertà sessuale, anche perché sono sterili), ma non c’è gioia in quei rapporti o almeno essa non traspare. Ruth sta con Tommy ma questi, forse senza nemmeno esserne cosciente, è da sempre invaghito di Kathy che finirà per assecondarlo. E comunque tutti fanno sesso scambiandolo troppo spesso per sentimento, anche perché una leggenda circola tra gli studenti: chi è davvero innamorato potrà rinviare di qualche anno le donazioni, meta cruciale per ogni clone.

Ma nulla varrà a mutare il destino segnato delle giovani cavie, come nulla accadrà di eclatante in questo romanzo fatto di sfumature, sogni dolce-amari, nostalgie, interrogazioni sul significato dell’esistere e senso di impotenza nei confronti di una precarietà – quella dei cloni in primis – che però si potrebbe leggere come metafora della finitudine cui tutti siamo votati. Nessuno si salva, allora, dei tre giovani ma c’è da parte loro quasi una conciliazione nei confronti del proprio destino, una volta che essi saranno posti di fronte alla loro realtà di morituri. Conciliazione/accettazione che a mio avviso va ben oltre la vicenda di Kathy, Tommy e Ruth e parla degli umani tutti, al di là di ogni hybris, di ogni tracotanza del voler perpetuare ad ogni costo la propria vita.

Come con Quel che resta del giorno, Ishiguro ci consegna un gran bel romanzo: una narrazione/riflessione meditativa, commovente e un po’ triste intorno alla fragilità/precarietà umana e al valore dei sentimenti: ponti o tramiti che forse sono i soli a consentirci di uscire dall’isolamento del nostro essere monadi egoiche di questa postmodernità affollata di fin troppe solitudini.


Kazuo Ishiguro,
Non lasciarmi,
Einaudi, pp. 291, € 17,50

 

 

 

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