Una vera
e propria kulturkampf sembrerebbe minacciare
la Germania, almeno a giudicare dall’allarme lanciato
da politici di primo piano dei partiti di centro-destra
Cdu e Csu a fine febbraio, quando un film d’azione
turco dal titolo Tal der Wölfe – Irak,
“La valle dei lupi - Iraq”, ha iniziato
a circolare nelle sale cinematografiche, in lingua originale
e munito di sottotitoli in tedesco. La ragione non sta
nel canovaccio del lungometraggio, riconducibile al
quel genere di film d’azione “a la
Rambo”, in cui l’eroe giunge in un paese
dilaniato dalle guerra per eliminare il militare cattivo
di turno, sottraendo al suo sadico giogo civili inermi.
Il cruccio del centro-destra tedesco sta, piuttosto,
nel fatto che l’eroe è un agente segreto
turco, il paese dilaniato è l’Iraq, gli
inermi civili credono esclusivamente in Allah e il cattivo
in carica è un alto funzionario del contingente
americano.
La presenza e le manovre militari dei soldati americani
nell’area nord-irachena sono, infatti, il tema
di “Tal der Wölfe”, narrato miscelando
alla fiction riferimenti a fatti ben noti e
reali come, ad esempio, le pratiche di tortura nel carcere
di Abu Graib. In questa spiazzante cornice si ambientano
le eroiche gesta di Polat Alemdar, agente dei servizi
segreti turchi, intenzionato a vendicare il disonore
subito da un manipolo di soldati della sua terra che,
presenti segretamente in Iraq, erano stati individuati,
arrestati e rimpatriati dall’esercito americano,
secondo le istruzioni dell’alto ufficiale Sam
William Marshall. Alla vicenda di Polat, si affianca
quella di Leyla, una giovane donna che, dopo aver visto
morire il marito proprio durante la loro festa nuziale,
trasformata in un bagno di sangue dalle milizie americane,
decide di uccidere il mandante del massacro, sempre
Sam William Marshall il quale, oltre che americano scopriamo
essere anche un fervente cristiano. Quando Leyla incontra
Polat e gli salva la vita, tra i due nasce un sentimento
di lealtà e amore (platonico) troncato presto
dalla morte della donna, ancora per mano di Marshall.
Ucciso l’americano in un cruento duello, Polat
Alemdar raccoglie tra le braccia il corpo dell’amata
e piange sulle miserie della guerra e del suo popolo.
Al di là dei contenuti del film, additati come
tendenziosi e falsificanti, a scatenare il coro di proteste
è stata soprattutto la decisione dell’FSK
(autocontrollo volontario dell’industria cinematografica:
organo di censura con funzioni accostabili a quelle
esercitate in Italia dalla Commissione per la revisione
cinematografica del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali) di vietare la visione di Tal der Wölfe
solo ai minori di sedici anni e non a quelli di diciotto,
come inizialmente sembrava intenzionata a fare. “Noi
interveniamo solo quando la rappresentazione falsata
di una religione sia plausibilmente in grado di generare
discordia”, si giustificava Herrman Dettbarn,
presidente di commissione dell’organo di controllo,
intervistato a riguardo dalla rivista Der Spiegel
il 21 febbraio scorso.
Appena pochi giorni dopo, la decisione dell’FSK
veniva impugnata da Armin Laschet (Cdu), Ministro per
la Famiglia e l’Integrazione del land
della Renania Settentrionale-Vestfalia, che ne richiedeva
la revisione ritenendolo “socialmente disorientante”.
Anche il Ministerpräsident della Baviera Edmund
Stoiber (Cdu) dichiarava pubblicamente il suo scontento
e si appellava direttamente ai gestori delle sale cinematografiche
tedesche, chiedendo loro di boicottare la distribuzione
di un “rassistischen und antiwestlichen Hassfilm”,
di un ‘film dell’odio’, razzista e
antioccidentale. Simile era la posizione del Ministro
dell’Interno del Baden-Württemberg, Heribert
Rech (Cdu), allarmato per un possibile effetto ‘radicalizzante’
della pellicola sui giovani di origine turca. E, mentre
il Consiglio Centrale della Comunità Ebraica
tedesca esprimeva l’augurio che il film ‘antisemita’
venisse proibito, il Ministro degli Interni della Baviera
Günther Beckstein (Csu) arrivava a sguinzagliare
agenti nelle sale cinematografiche affinché controllassero
le reazioni del pubblico. E al giornale turco “Hürriyet”
che accusava le forze dell’ordine di aver concentrato
la propria ‘attenzione’ soprattutto su chi
più applaudiva in sala, Beckstein replicava,
sul Der Spiegel: “Se gli agenti di sicurezza
non osservassero le reazioni davanti a un film che è
fortemente nazionalista, antioccidentale e antisemita
non farebbero il loro lavoro”.
In breve tempo, il contrattacco del centro-destra ha
dato i suoi frutti. La Cinemaxx (la catena di sale cinematografiche
più importante della Germania) ha cancellato,
fin dal 21 febbraio, il film dai propri cartelloni,
mentre la commissione d’appello della FSK ha accolto,
il 10 marzo, le richieste del Ministro Armin Laschet,
vietando, infine, la pellicola ai minori di diciotto
anni. Se questi ultimi sviluppi sembrano aver riportato
la serenità tra i censori del centro-destra,
resta aperta una questione non secondaria: in una democrazia
occidentale avanzata come quella tedesca, una reazione
del genere nei confronti di un film è giustificabile?
Per trovare una risposta a questa domanda, abbiamo
assistito alla proiezione di “Tal der Wölfe”
in un cinema di Neukölln, quartiere turco-berlinese
tra i più problematici a livello di ordine pubblico.
Unici non-turchi in una sala semivuota, abbiamo guardato
il film nel silenzio più assoluto, rimanendo
sconcertati non tanto dalla mancanza di applausi e grida
inferocite di un pubblico, in realtà, assolutamente
‘comune’, quanto dal film stesso. “Tal
der Wölfe” presenterà anche atteggiamenti
antiamericani, forse anche antisemiti e anticristiani,
ma è un film pacifista. La violenza non viene
impiegata per esaltare le gesta dell’eroe, ma
per mostrare al pubblico gli orrori di una guerra di
cui i protagonisti sono vittime. E, comunque, ce n’è
assai meno di quanta di solito se ne veda in questo
genere cinematografico. Per di più, sono nette
e didascaliche le prese di posizione contro gli attentati
suicidi e il rapimento e la decapitazione di ostaggi
occidentali, apostrofati come inutili e profondamente
irreligiosi, contrari alla parola di Allah.
Ma se il lungometraggio non è un inno alla lotta
contro l’Occidente, e invece indica come sia da
perseguire con ogni mezzo la via della pace, a cosa
si deve l’accanimento censorio del centro-destra
tedesco? Probabilmente, in “Tal der Wölfe”
si sono riflesse le paure insinuatesi nell’establishment
tedesco dopo gli attentati di Madrid e Londra riguardo
alla possibilità che giovani turco-tedeschi possano
divenire adepti del terrorismo islamico. In questa prospettiva,
si chiarirebbe l’enorme pressione esercitata sull’FSK
affinché proibisse la visione del film al pubblico
dei sedici e diciassettenni, nell’opinione comune,
più ‘esposti’ dei maggiorenni a messaggi
manipolatori e propagandistici. Pur comprendendo queste
motivazioni, ci sarebbe però da chiedersi se
l’adozione di un tono censorio così duro
nei confronti di un film, in fin dei conti, ‘innocuo’,
non finisca per favorire proprio il fenomeno che si
vuole ostacolare.
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