297 - 14.03.06


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Iraq, la valle dei lupi

Christian Del Monte



Una vera e propria kulturkampf sembrerebbe minacciare la Germania, almeno a giudicare dall’allarme lanciato da politici di primo piano dei partiti di centro-destra Cdu e Csu a fine febbraio, quando un film d’azione turco dal titolo Tal der Wölfe – Irak, “La valle dei lupi - Iraq”, ha iniziato a circolare nelle sale cinematografiche, in lingua originale e munito di sottotitoli in tedesco. La ragione non sta nel canovaccio del lungometraggio, riconducibile al quel genere di film d’azione “a la Rambo”, in cui l’eroe giunge in un paese dilaniato dalle guerra per eliminare il militare cattivo di turno, sottraendo al suo sadico giogo civili inermi. Il cruccio del centro-destra tedesco sta, piuttosto, nel fatto che l’eroe è un agente segreto turco, il paese dilaniato è l’Iraq, gli inermi civili credono esclusivamente in Allah e il cattivo in carica è un alto funzionario del contingente americano.

La presenza e le manovre militari dei soldati americani nell’area nord-irachena sono, infatti, il tema di “Tal der Wölfe”, narrato miscelando alla fiction riferimenti a fatti ben noti e reali come, ad esempio, le pratiche di tortura nel carcere di Abu Graib. In questa spiazzante cornice si ambientano le eroiche gesta di Polat Alemdar, agente dei servizi segreti turchi, intenzionato a vendicare il disonore subito da un manipolo di soldati della sua terra che, presenti segretamente in Iraq, erano stati individuati, arrestati e rimpatriati dall’esercito americano, secondo le istruzioni dell’alto ufficiale Sam William Marshall. Alla vicenda di Polat, si affianca quella di Leyla, una giovane donna che, dopo aver visto morire il marito proprio durante la loro festa nuziale, trasformata in un bagno di sangue dalle milizie americane, decide di uccidere il mandante del massacro, sempre Sam William Marshall il quale, oltre che americano scopriamo essere anche un fervente cristiano. Quando Leyla incontra Polat e gli salva la vita, tra i due nasce un sentimento di lealtà e amore (platonico) troncato presto dalla morte della donna, ancora per mano di Marshall. Ucciso l’americano in un cruento duello, Polat Alemdar raccoglie tra le braccia il corpo dell’amata e piange sulle miserie della guerra e del suo popolo.

Al di là dei contenuti del film, additati come tendenziosi e falsificanti, a scatenare il coro di proteste è stata soprattutto la decisione dell’FSK (autocontrollo volontario dell’industria cinematografica: organo di censura con funzioni accostabili a quelle esercitate in Italia dalla Commissione per la revisione cinematografica del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) di vietare la visione di Tal der Wölfe solo ai minori di sedici anni e non a quelli di diciotto, come inizialmente sembrava intenzionata a fare. “Noi interveniamo solo quando la rappresentazione falsata di una religione sia plausibilmente in grado di generare discordia”, si giustificava Herrman Dettbarn, presidente di commissione dell’organo di controllo, intervistato a riguardo dalla rivista Der Spiegel il 21 febbraio scorso.

Appena pochi giorni dopo, la decisione dell’FSK veniva impugnata da Armin Laschet (Cdu), Ministro per la Famiglia e l’Integrazione del land della Renania Settentrionale-Vestfalia, che ne richiedeva la revisione ritenendolo “socialmente disorientante”. Anche il Ministerpräsident della Baviera Edmund Stoiber (Cdu) dichiarava pubblicamente il suo scontento e si appellava direttamente ai gestori delle sale cinematografiche tedesche, chiedendo loro di boicottare la distribuzione di un “rassistischen und antiwestlichen Hassfilm”, di un ‘film dell’odio’, razzista e antioccidentale. Simile era la posizione del Ministro dell’Interno del Baden-Württemberg, Heribert Rech (Cdu), allarmato per un possibile effetto ‘radicalizzante’ della pellicola sui giovani di origine turca. E, mentre il Consiglio Centrale della Comunità Ebraica tedesca esprimeva l’augurio che il film ‘antisemita’ venisse proibito, il Ministro degli Interni della Baviera Günther Beckstein (Csu) arrivava a sguinzagliare agenti nelle sale cinematografiche affinché controllassero le reazioni del pubblico. E al giornale turco “Hürriyet” che accusava le forze dell’ordine di aver concentrato la propria ‘attenzione’ soprattutto su chi più applaudiva in sala, Beckstein replicava, sul Der Spiegel: “Se gli agenti di sicurezza non osservassero le reazioni davanti a un film che è fortemente nazionalista, antioccidentale e antisemita non farebbero il loro lavoro”.

In breve tempo, il contrattacco del centro-destra ha dato i suoi frutti. La Cinemaxx (la catena di sale cinematografiche più importante della Germania) ha cancellato, fin dal 21 febbraio, il film dai propri cartelloni, mentre la commissione d’appello della FSK ha accolto, il 10 marzo, le richieste del Ministro Armin Laschet, vietando, infine, la pellicola ai minori di diciotto anni. Se questi ultimi sviluppi sembrano aver riportato la serenità tra i censori del centro-destra, resta aperta una questione non secondaria: in una democrazia occidentale avanzata come quella tedesca, una reazione del genere nei confronti di un film è giustificabile?

Per trovare una risposta a questa domanda, abbiamo assistito alla proiezione di “Tal der Wölfe” in un cinema di Neukölln, quartiere turco-berlinese tra i più problematici a livello di ordine pubblico. Unici non-turchi in una sala semivuota, abbiamo guardato il film nel silenzio più assoluto, rimanendo sconcertati non tanto dalla mancanza di applausi e grida inferocite di un pubblico, in realtà, assolutamente ‘comune’, quanto dal film stesso. “Tal der Wölfe” presenterà anche atteggiamenti antiamericani, forse anche antisemiti e anticristiani, ma è un film pacifista. La violenza non viene impiegata per esaltare le gesta dell’eroe, ma per mostrare al pubblico gli orrori di una guerra di cui i protagonisti sono vittime. E, comunque, ce n’è assai meno di quanta di solito se ne veda in questo genere cinematografico. Per di più, sono nette e didascaliche le prese di posizione contro gli attentati suicidi e il rapimento e la decapitazione di ostaggi occidentali, apostrofati come inutili e profondamente irreligiosi, contrari alla parola di Allah.

Ma se il lungometraggio non è un inno alla lotta contro l’Occidente, e invece indica come sia da perseguire con ogni mezzo la via della pace, a cosa si deve l’accanimento censorio del centro-destra tedesco? Probabilmente, in “Tal der Wölfe” si sono riflesse le paure insinuatesi nell’establishment tedesco dopo gli attentati di Madrid e Londra riguardo alla possibilità che giovani turco-tedeschi possano divenire adepti del terrorismo islamico. In questa prospettiva, si chiarirebbe l’enorme pressione esercitata sull’FSK affinché proibisse la visione del film al pubblico dei sedici e diciassettenni, nell’opinione comune, più ‘esposti’ dei maggiorenni a messaggi manipolatori e propagandistici. Pur comprendendo queste motivazioni, ci sarebbe però da chiedersi se l’adozione di un tono censorio così duro nei confronti di un film, in fin dei conti, ‘innocuo’, non finisca per favorire proprio il fenomeno che si vuole ostacolare.


 

 

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