296 - 24.03.06


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Il mondo visto dai bambini invisibili

Alessandro Russo



Cinema e solidarietà s’intrecciano nell’opera All the invisibile children, film già in programmazione nelle sale italiane. “Il Programma Alimentare Mondiale assiste sedici milioni di bambini nel Sud del mondo con i programmi di alimentazione scolastica. Dar da mangiare a un bambino a scuola costa solo circa 30 euro all’anno - spiega Vichi De Marchi, Portavoce italiana del World Food Programme - Mandare i bambini a scuola significa anche creare generazioni più istruite, una molla potente per poter uscire dalla povertà. Cercheremo di replicare questo in modo più mirato e complesso, abbracciando vari settori, proprio con il fondo All the invisibile children. Il primo paese in cui abbiamo scelto di intervenire è il Niger, che vive una situazione drammatica da un punto di vista sia dell’alimentazione che della salute”. Questa la missione di un progetto, in collaborazione con la Cooperazione Italiana per lo Sviluppo, che punta a intensificare l’azione internazionale e a sensibilizzare il mondo tramite un racconto cinematografico.

Silenziosi e invisibili, ridotti a numeri vertiginosamente pericolosi. Vichi De Marchi dà le proporzioni della crisi. “Trecento milioni di bambini in forme diverse non hanno i diritti fondamentali, quello del cibo, dell’istruzione, della salute. Cento milioni di bambini non sono mai entrati in un’aula scolastica. Si tratta di numeri imponenti. Sia nel mondo occidentale che nel mondo dello sviluppo ci sono bambini che non hanno diritti. Parliamo fondamentalmente di questo”. E a far parlare le storie di tutti i bambini invisibili si sono impegnati sette registi provenienti dal panorama internazionale. All the invisibile children è un film a sette episodi, in cui i protagonisti sono proprio loro. Un’idea nata quattro anni fa a cui hanno partecipato Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Katia Lund, Jordan e Ridley Scott, Stefano Veneruso e John Woo.

Poliedriche rappresentazioni in cui emergono diversi sentimenti e la differenza nel disagio comune. “Il film è a sostegno di questo progetto, ma i registi hanno avuto la libertà di raccontare l’infanzia invisibile, quella priva di diritti che non vediamo”, aggiunge Vichi De Marchi. E’ inutile nasconderlo, il risultato è commuovente e centra perfettamente l’obiettivo di muovere le coscienze attraverso un viaggio, a tratti ironico, in altri consapevole, in altri ancora drammaticamente realistico, in un evidente disagio che appare, ai giovani protagonisti di queste storie, fin troppo naturale. Si parte dal cuore dell’Africa, con Tanza di Mehdi Charef, e sulla poesia del paesaggio e dei colori del deserto in controtempo corrono i bambini soldato. Non è un gioco, né una guerra di bottoni, ma la guerriglia per la liberazione nazionale.

Il regista traspone nel film i ricordi della propria infanzia in Algeria e così per conoscere Tanza, il giovane protagonista, seguiamo un elmetto che galleggia spinto dalla corrente di un fiume. Due i nuclei fondamentali del racconto: un’infanzia serena dimenticata, che ritorna alla memoria nel momento più drammatico del film, e la guerra che distrugge la differenza tra adulto e bambino, portandosi via prima la paura di morire e poi la vita stessa.

L’ironia e l’apparente ambiguità del giudizio sono invece il velo che Emir Kusturica strappa in questo suo Blue Gypsy. Il preludio alla condizione del protagonista è nella spassosa scena iniziale: lo scontro chiassoso tra un funerale e un matrimonio. Nel corto si ritrovano i suoi motivi poetici principali, quasi si riscoprono, incarnati dal piccolo Uroš che, appena uscito da una casa di correzione per giovani criminali, viene costretto dal padre sornione e violento a un altro furto. L’unica alternativa è quella di tuffarsi nuovamente, senza alcuna metafora, nel penitenziario che, nel disperato paradosso della vita di strada, da luogo di detenzione diventa porto sicuro per tutti quei ragazzi in balia di un futuro senza speranze. Una forte verve comica corre nel ritmo delle immagini: la chiassosa corte dei miracoli del penitenziario e la famiglia del protagonista, banda musicale organizzata per la piccola truffa, portano alla luce una realtà di sole sfumature, tra il bene e il male, l’onestà e corruzione. Uroš è, come un equilibrista, in bilico nel circo della sopravvivenza.

Il dolore dell’infanzia non riguarda solo quei territori segnati dalla fame e dalla guerra, ma anche le pieghe di povertà dell’industrializzazione, delle metropoli del benessere. Spike Lee in Jesus children of America racconta un nuovo ghetto di Brooklyn , quello di una bambina, Blanca, che inconsapevolmente ha contratto il virus Hiv dai genitori tossicodipendenti. E’ una storia pregna di riconoscimento, di autocoscienza, di violenza nella violenza, di grande impatto e commozione. “E’ una realtà drammatica che c’è nel mondo occidentale come nel Sud del mondo, dove le proporzioni sono ancora maggiori. Ha raccontato questa storia per mostrare uno spaccato dell’infanzia, di un’infanzia di una comunità di immigrati”, commenta Vichi de Marchi. E di capitale in capitale, di ghetto in ghetto, si scende con Katia Lund nel cuore delle favelas di San Paolo dove Bilu e João corrono nella loro giornata senza fine, raccattando i residui della civiltà, dalle lattine al cartone. La coregista dell’indimenticabile City of God, non perde il ritmo e segue il tempo irrefrenabile del lavoro minorile. Compone un film sensibilissimo e divertente nelle ambientazioni, nelle interpretazioni vivaci dei due piccoli attori protagonisti, seguiti dalla camera e da una musica incessanti e frenetiche, approfondisce e amplifica la folle corsa dell’infanzia, motivo comune a tutti i racconti di questo film.

La chiave di All the invisibile children, lo spirito che ha accomunato il lavoro di questi sette autori nell’impegno, sembra invece essere racchiusa in Jonathan di Ridley e Jordan Scott, cortometraggio diretto a quattro mani dal regista inglese e da sua figlia. Un fotografo di guerra, attraverso gli incubi generati dal lavoro, si riconosce bambino davanti al terribile dovere di raccontare attraverso le immagini la brutalità del mondo. Ne esce un racconto onirico che spiega chiaramente le motivazioni profonde di chi ha scelto per lavoro la ricerca della testimonianza. Un film sensibile e profondo. E poi c’è Napoli e le sue mille periferie attraversate in lunga corsa da Ciro. Una storia in flashback di Stefano Veneruso, con la partecipazione alla fotografia di Vittorio Storaro, in cui compare, tra i luoghi comuni di Piazza del Plebiscito, anche Maria Grazia Cucinotta, coproduttrice di tutto il progetto insieme al regista.

Una piccola opera di denuncia che punta il dito sui diritti negati anche nel nostro paese: “Racconta la difficoltà di crescere per un ragazzino napoletano che vive una condizione familiare anche di grande disagio. Chiaramente il Programma Alimentare Mondiale non interviene in quelle situazioni perché il suo ambito è quello del Sud del mondo, ma sicuramente anche in Occidente ci sono molti bambini invisibili e sono molti gli interventi che vanno fatti” spiega la Portavoce del World Food Programme. A chiudere John Woo che in Song Song and Little Cat aggiorna i temi della favolistica per comporre un cortometraggio dalle tinte melò. Due bambine, una ricca e una povera, le cui tristi storie si intrecciano legate da due disagi differenti eppure comuni. Sullo sfondo la nuova Cina e lo sfruttamento del lavoro minorile in Oriente.

 

All the Invisibile Children

Regia: Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Katia Lund, Jordan e Ridley Scott, Stefano Veneruso e John Woo.

Con: (Tanza) Adama Bila, Elisée Rouamba, Rodrigue Ouattara, Ahmed Ouedraogo, Harouna Ouedraogo, (Blue Gypsy) Uroš Milovanovic, Dragan Zurovac, Vladan Milojevic, Advokat Goran R. Vracar, (Jesus children of America) Hanna Hodson, Andre Royo, Coati Mundi, Hazelle Goodman, Damaris Edwards, (Bilu e João) Vera Fernandes, Francisco Anawake De Freitas, (Jonathan) David Thewlis, Kelly macDonald, Jordan Clarke, (Ciro) Daniele Vicorito, Emanuele Vicorito, Maria Grazia Cucinotta, Peppe Lanzetta, Ernesto Mahieux, (Song Song and Little Cat) Zhao Zicun, Qi Ruyi, Wang Bin, Jiang Wen Li.


 

 

 

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