Questo
articolo è stato pubblicato dal quotidiano la
Repubblica il 20 febbraio 2006.
“Tre anelli” è il titolo di un ciclo
di tre serate di filosofia in teatro svolte al Palladium
della Terza Università di Roma in collaborazione
con “Reset”.
Nella prima serata (17 febbraio) Giuliano Amato e Mons.
Vincenzo Paglia che hanno presentato il loro libro “Dialoghi
post-secolari”.
La seconda serata (20 febbraio) è dedicata a
“Nathan il saggio” di Lessing in una versione
ridotta da Giancarlo Bosetti con la regia di Piero Maccarinelli,
Remo Girone nella parte di Nathan, e con commenti di
Paolo Chiarini e Maria Teresa Fumagalli.
La terza serata (23 febbraio), accompagnata da dialoghi
shakespeariani, è dedicata a “La religione
degli altri” con il rabbino capo Riccardo Di Segni,
il filosofo musulmano Hassan Hanafi, Giulio Giorello
e il cardinale Achille Silvestrini.
Nathan il saggio, il capolavoro di Lessing
dedicato al tema della tolleranza e della fraterna affinità
tra ebrei, musulmani e cristiani, era nato da una ispirazione
italiana e di italiano aveva anche il volto del protagonista.
Lo veniamo a sapere grazie alla documentazione raccolta
a cura di Lea Ritter Santini in una collezione di studi
dedicati a Lessing. In particolare il suo saggio sul
viaggio in Italia di Lessing è circolato solo
tra pochi specialisti e non compariva nella versione
italiana del catalogo di una mostra allestita qualche
anno fa a Napoli. Oggi il germanista Paolo Chiarini
ne parlerà in teatro in occasione di una messa
in scena sperimentale dell’opera al Palladium
di Roma.
Coloro che hanno dimestichezza con l’opera di
Gotthold Ephraim Lessing hanno sempre collegato l’impronta
ebraica di questo classico del teatro settecentesco
all’amicizia dell’autore con il filosofo
Moses Mendelssohn, intellettuale ebreo al centro della
cultura tedesca dell’epoca. Ora in quel ruolo
di ispiratore dobbiamo invece vedere un livornese, un
intellettuale della forte e radicata comunità
ebraica di questa città: il rabbino Abraham Isaac
Castello, vissuto nella seconda metà del Settecento.
Che Lessing si fosse ispirato a una novella del Boccaccio,
quella di Melchisedec e dei tre anelli, si era naturalmente
sempre saputo, ma non che a fargliela leggere fosse
stato quel notevole personaggio, che lo scrittore incontrò
durante il suo viaggio nel 1775. Lessing rimase molto
colpito dal Castello, dal suo spirito e dalla sua cultura.
E fu lui a fargli leggere le pagine del Decamerone
che finirono al centro del dramma. La parabola dei tre
anelli la racconta l’ebreo, Nathan, al Saladino
per trarsi d’impaccio, quando il principe musulmano
gli pone la più terribile tra le domande che
si potevano fare a Gerusalemme e dintorni: “Dimmi:
quale delle tre fedi è la vera?”. Dal momento
che nessuna risposta gli era possibile, perché
qualunque fede avesse scelto ci avrebbe rimesso la vita,
o rinnegando la propria o dichiarando false le altre,
inventò quella geniale favola di un signore che
aveva un bellissimo anello il cui possesso garantiva
l’eredità di tutti i suoi beni e la fortuna
del casato. Quell’anello si trasmetteva ogni volta
dal padre al più meritevole dei figli. E così
andò per molto tempo fin quando un padre si trovò
tre figli, tutti egualmente virtuosi. Incapace di sceglierne
uno a danno degli altri, quel padre decise di far fare
due copie perfettamente uguali dell’anello e di
non rivelare a nessuno dei tre quale fosse l’originale
e quale la copia.
Nell’opera teatrale la favola prepara il passaggio
a un rovesciamento dei rapporti che farà scoprire
al guerriero crociato templare, alla famiglia dell’ebreo
e a quella del sultano che i loro legami sono più
stretti di quanto mai avessero immaginato. A impressionare
Lessing in Italia non furono solo la lettura del Boccaccio
e le conversazioni con il rabbino Castello ma, forse
ancora di più, il momento storico in cui quegli
incontri avvennero: un contemporaneo, e tremendo, editto
di Papa Pio VI colpì gli ebrei dello Stato pontificio.
Il dramma teatrale che doveva diventare un simbolo della
libertà religiosa si arricchì anche di
questi riscontri. Subito dopo il viaggio Lessing riprese
in mano vecchi abbozzi e cominciò a scrivere
il dramma che finirà tra il ‘78 e il ‘79.
Sul tema ho interrogato Paolo Chiarini.
Lei insiste spesso sul fatto che la situazione
degli ebrei in Germania non era all’epoca segnata
dall’antisemitismo virulento delle epoche successive.
Che cosa aggiungono questi nuovi studi?
Il merito del saggio di Lea Ritter Santini, apparso
finora solo nel catalogo di una mostra su Lessing e
sfortunatamente omesso nella edizione italiana che pure
ne è stata fatta è quello di documentare
la condizione dell’ebraismo italiano, che Lessing
incontrò in occasione del viaggio. Proprio allora
Pio VI emetteva l’Editto sopra gli ebrei,
che era durissimo nell’imporre la ghettizzazione
a Roma, nello Stato della Chiesa, con conseguenze anche
in altri stati italiani dove l’Inquisizione dettava
legge (ma non in Toscana) e a proibire con pene durissime
ogni genere di contiguità tra cristiani ed ebrei.
Lessing visse e commentò quei momenti con un
intellettuale ebreo, il rabbino Castello, che letteralmente
definì “più grande di Mendelssohn”.
Nel dramma teatrale Nathan adotta una bambina
che si rivela poi cristiana e la educa da ebrea.
Quello era un reato molto grave che veniva punito con
la reclusione a Roma e nelle zone di influenza pontificia.
Una conferma che l’opera si ispira alla emozione
provocata dalla esperienza italiana. In Germania la
situazione era ben diversa da quella dello Stato pontificio.
Ho riletto l’Editto di Pio VI: è terrificante
e profondamente contrario ai principi della carità
cristiana. L’intreccio culturale era per Lessing
segno di libertà, tolleranza, civiltà,
esattamente l’opposto del ghetto.
Questo spiega anche perché il personaggio
del Patriarca di Gerusalemme sia decisamente il più
negativo del dramma.
Non c’è dubbio. Nathan aveva in mente
non solo il XII secolo, con le Crociate, nel quale la
storia di Nathan è collocata, ma Pio VI. La polemica
contro tante forme di cattolicesimo è molto forte
nel protestante Lessing.
Dopo una rappresentazione di Nathan il Saggio
viene da chiedersi: quest’opera sostiene la tolleranza
e la convivenza tra diversi, ma è anche contro
le religioni in quanto tali o no?
Nel saggio intitolato Educazione dell’umanità,
della stessa epoca del Nathan, Lessing illustra
la sua filosofia della storia in base alla quale la
Bibbia è una prima fase in cui si manifesta il
principio della verità, una fase iniziale che
sarà seguita da altre, in una ricerca che non
è mai chiusa e mai univoca: varietà versus
verità. Le religioni appartengono alla varietà
della cultura umana e sono un momento della educazione
del genere umano.
Non c’è il rifiuto radicale volterriano
della religione come inganno.
Lessing rifiuta la dogmatizzazione, è urtante
per l’ortodossia anche nella Germania protestante.
Quando comincia a pubblicare i frammenti di Reimarus,
una figura molto scomoda del dibattito teologico dell’epoca,
nel Granducato di Braunschweigh-Wolfenbüttel, dove
lavorava come bibliotecario, gli viene imposto di cessare
le pubblicazioni. In un frammento apparso dopo la morte
diceva: “L’atteggiamento di Nathan contro
tutte le religioni positive è stato da sempre
anche il mio”. In sostanza avversava la struttura
teologale delle religioni, il che non gli impediva di
apprezzare l’elemento umano e razionale che contengono.
Le religioni valgono in tanto in quanto hanno questo
contenuto. Ma possiamo ricordare un altro frammento
che lasciò scritto sul Nathan: “Non conosco
nessun luogo in Germania dove questo dramma potrebbe
essere rappresentato già oggi”. Immaginava
che soltanto nel futuro l’opera avrebbe potuto
essere accolta, accettata, condivisa.
Oggi rappresentare il Nathan significa parlare
non solo di tolleranza ma di qualcosa che possiamo chiamare
“interculturalità”: cristiani, ebrei,
musulmani si scoprono alla fine del dramma parenti non
nemici.
Il fatto che il protagonista sia l’ebreo saggio
non deve stupire. L’antisemitismo in Germania
non nasce nel Settecento ma con Bismarck, un secolo
dopo. Coinvolgendo l’amico Mendelssohn nelle più
importanti discussioni dell’epoca Lessing non
faceva nulla di particolarmente coraggioso. Non siamo
a Roma, dove non sarebbe stato ammissibile. Quanto al
buon Saladino, sovrano generoso, c’era una lunga
tradizione che ritroviamo già in Dante. Nel Settecento
i musulmani con cui si entra in contatto sono quelli
degli scambi commerciali e marittimi, da una parte,
e una presenza storico-letteraria, dall’altra.
Sono ingredienti che vanno a formare la visione pluralista
nel punto più avanzato dell’illuminismo
tedesco. L’uso “interculturale” di
Lessing è del tutto pertinente.
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