Tappa mediterranea
per la rassegna cinematografica “Années
de plume Années de plombe - Gli italiani visti
dalla televisione europea”. Quattro settimane
genovesi dedicate ai film-documentario, dal 7 febbraio
al 7 marzo. E quattro proiezioni proposte dall’emittente
televisiva franco tedesca ARTE France, che con la collaborazione
del servizio culturale dell’Ambasciata di Francia
in Italia ha prodotto il festival. L’evento itinerante,
è promosso dal Centro Culturale Europeo di Genova
ed è uno sguardo profondo e significativo sulle
realtà politiche, sociali e culturali del nostro
Paese.
I documentari riuniti in questa selezione raccontano
realtà di grande trasformazione del tessuto sociale
ed economico italiano, con una particolare attenzione
a quei fenomeni di emarginazione presenti soprattutto
nel meridione dell’Italia. Ed è un raccontare
dal di dentro, non una semplice cronaca; un’immersione
nei mutamenti culturali, economici, nei vissuti di comunicazione
ma anche di discriminazione, di violenza.
Gli europei ci osservano, scrutano questo pensiero plurale
che caratterizza il nostro Paese. Dalla grande trasformazione
del miracolo economico del dopoguerra, attraverso le
parole di Federico Fellini dall’infanzia all’ultimo
film, sostando a Napoli in una scuola di periferia,
fino in Calabria, a Badolato che accoglie con entusiasmo
gli immigrati che arrivano dal mare.
Due registi d’oltralpe, Damian Pettigrew e Jan
Ralske e due registi italiani, Leonardo Di Costanzo
e Guido Chiesa, propongono questo interessante viaggio
sullo schermo. Il prossimo appuntamento, martedì
28 febbraio nella sala del Centro Culturale Europeo
in via D’Annunzio a Genova, con il film documentario
A scuola. Un film di sessanta minuti che nasce
nel 2003 tra le aule di una scuola media statale di
San Giovanni a Teduccio, un quartiere popolare di Napoli.
“Le scuole pubbliche e in particolare quelle
di periferia sono in crisi – commenta Di Costanzo
– questo è un fenomeno europeo, non soltanto
italiano. In una scuola periferica di Parigi un’insegnante
è stata accoltellata da uno studente, è
accaduto proprio in questi giorni. Anche in Francia
la scuola pubblica non ha un progetto per le periferie,
anche lì gli insegnanti scioperano ed i problemi
spesso sono insormontabili”.
A scuola è un film che ha girato tutta
l’Europa e che ritrae il senso di questa rassegna,
quel guardare dentro le realtà italiane proprio
per carpirne le ragioni, le motivazioni, ed è
per questo che nasce da una vera e propria esperienza
scolastica. Di Costanzo è stato tra i ragazzi,
li ha ripresi durante le normali attività di
studio, stabilendo un rapporto molto intenso con i professori
e con il preside. Una ripresa anche di un vissuto personale
perché il regista napoletano è stato un
insegnante, anche se per breve tempo perché dice
di essersi subito reso conto della propria inadeguatezza.
“Sono andato a San Giovanni a Teduccio –
ci racconta – perché cercavo una scuola
di periferia per calarmi nelle stesse condizioni in
cui ero stato. Una scuola dove il preside e gli insegnanti
hanno deciso di non usare più la sospensione
come metodo punitivo e disciplinare. Perché il
compito dell’istituzione scolastica è quello
di recuperare, di integrare, non di escludere”.
E aggiunge: “La scuola funziona soltanto per alcune
classi sociali, quelle più agiate, ma non nei
luoghi difficili dove purtroppo si sottrae al suo compito
fondamentale. Ho voluto evidenziare questa carenza che
esiste aldilà dell’impegno degli insegnanti,
alla cui forza, generosità e creatività
tutto viene delegato”.
L’occhio attento di ARTE indaga anche sulla nuova
società multietnica e sulla capacità comunicativa
degli italiani. Lo sguardo è sempre rivolto al
sud, a Badolato, un paese della costa calabrese che
ha accolto con entusiasmo e calore i rifugiati clandestini
giunti dal mare. Hassan si è fermato a Badolato
è un film-documentario di Jan Ralske coprodotto
da ARTE e ZDF; un ritratto poetico sul dramma dell’immigrazione
a chiusura della rassegna genovese, martedì sette
marzo.
“Ritengo che aldilà delle soggettività
– spiega Ivano Spano, docente di sociologia all’università
di Padova – il sud si presenta più in un’ottica
simbolica di accoglienza, di apertura, di disponibilità
all’altro. In Puglia gli extracomunitari stanno,
di fatto, quasi come a casa. Nel sud c’è
una cultura della comunicazione dove l’altro ha
maggiore visibilità. Perché è una
cultura attraversata da grandi bisogni, da grandi sofferenze.
C’è un’affinità, un tratto
culturale quasi scelto nel dna di queste popolazioni.
Il nord è più metropolitano dove l’isolamento
è un problema evidente, fermo restando le disponibilità
soggettive. Ma qui si vive di più nell’anonimato,
nell’isolamento; il problema quindi si pone in
maniera diversa”.
Il problema infatti ha un valore ontologico, perché
nella capacità comunicativa risiede l’essenza
dell’uomo, che è tale in quanto scambia
esperienze con altri da sé. Il dramma è
quindi quello della caduta dell’alterità,
perché “oggi esiste un soggetto troppo
egoriferito – continua Spano – chiuso in
se stesso, che vede compromettersi la sua identità
rispetto alla presenza di un estraneo che è altro
da sé. La solitudine oggi è un dato assolutamente
ampio e l’umanità soffre perché
si isola. Penso che dovremmo fare un passo avanti dal
punto di vista pedagogico ed educativo rispetto a questa
modalità di riconoscerci come soggetti che si
realizzano nella dimensione relazionale con l’altro
da sé. Queste sono esperienze che devono poter
accogliere l’altro così come accogliamo
noi stessi”.
Un Paese eclettico l’Italia, colmo di diversità
da nord a sud e per questo, ricco. A Genova lo sguardo
si posa su questa affascinante disarmonia; sguardo puntato
forse, sulle dinamiche passionali degli italiani, spesso
vissute in un contrasto che dona luce all’identità
di una nazione.
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