«Prima
di allora non avevo mai sentito parlare dei campi di
concentramento. Ero un soldato tedesco eppure non sapevo
dei crimini commessi dai nazisti». Sono le parole
di Johann J. Shätzler, assistente alla difesa di
Hess, uno dei tre imputati assolti al processo di Norimberga.
Le parole con cui si apre il documentario che la Utet
ha prodotto in occasione del giorno della memoria (il
27 gennaio) sul processo di Norimberga, e che, oltre
a interviste inedite agli ultimi protagonisti ancora
in vita, raccoglie i filmati originali dell’Archivio
Statale Russo Krastnogorsk, che includono le deposizioni
finali degli imputati, gli interrogatori e le requisitorie
dei procuratori.
A Norimberga furono quelle immagini a svelare la verità,
sconvolgendo giudici, stampa, traduttori, e gli stessi
imputati. E poi l’opinione pubblica mondiale.
La scoperta dei lager, del destino che la dittatura
nazista aveva riservato a 6 milioni di ebrei. «Come
potevano negare che era vero se c’erano le immagini?
Shaft era di spalle quando fecero vedere le immagini
dei campi. Lui era il direttore della banca di Germania
e non gli importava niente, gli altri guardavano con
espressioni tristi», racconta Boris Efimov, il
vignettista della stampa sovietica al processo. «Anche
se erano palesemente colpevoli» come spiega il
grande giornalista Walter Cronkite, l’accusa portò
le prove degli orrori nazisti, compresi filmati che
documentavano le barbarie commesse dai tedeschi.
L’obiettivo più importante del processo
di Norimberga fu insegnare all’opinione pubblica
quello che era accaduto, e tentare di istituire un diritto
internazionale per impedire che quello che era appena
successo potesse ripetersi in futuro. In molti si chiederanno,
dopo aver visto queste immagini, il perché dei
lager, e come ad un uomo sia venuta in mente l’idea
di un genocidio di massa. Basterà allora ascoltare
le parole del gerarca Hermann Göring: «Volevo
sottolineare che si trattava di un atto di stato politico,
di un atto di difesa. Dissi perciò che questi
uomini in un primo tempo dovevano essere internati nei
lager, all’epoca era stata proposta l’apertura
di uno o due lager». Probabilmente solo al processo
molti gerarchi si saranno resi conto della differenza
che passa tra dare un ordine e realizzare un ordine.
Forse solo in pochi avevano compreso quanto le loro
decisioni potessero cambiare la storia e la vita di
milioni di persone. Forse Hitler lo aveva capito, ma
si uccise. Forse Göring lo aveva intuito, ma al
processo lo negò: «Non ho mai decretato
l’uccisione di chicchessia». E poi anche
lui si uccise, convincendo una guardia americana a procurargli
una fiala di cianuro il giorno prima dell’impiccagione.
In molti, fra storici e persone comuni, credono ancora
che il processo contro i 21 gerarchi nazisti sia stato
l’atto finale dei vincitori contro i vinti. Ma
attraverso questi filmati, divenuti veri e propri documenti
storici, capiamo che non fu proprio così. Fin
dalla conferenza di Yalta del 1945 Usa, Gran Bretagna
e Unione Sovietica decisero di creare un tribunale penale
internazionale in grado di giudicare i crimini di guerra.
Mai prima d’allora delle singole persone erano
state considerate responsabili per fatti commessi da
uno Stato, un Governo, una dittatura. Professione e
ruolo sociale, etica e responsabilità da quel
momento definitivamente indivisibili. Due le decisioni
principali di Robert Jackson, giudice della corte suprema
del Tribunale Internazionale di Norimberga. Primo, se
la colpevolezza dell’imputato non è documentata
o verificabile, non c’è reato (tre imputati
furono assolti). Secondo: fu risolto il problema giuridico
dell’ex post facto: era possibile punire anche
quelle azioni che al tempo dei fatti non erano considerate
reato.
Secondo lo Statuto di Norimberga gli imputati non potevano
basare la propria difesa sostenendo di aver agito eseguendo
ordini superioni. Ma in molti perseguirono questa tesi,
come Ernst Kaltenbrunner: «In questa sede sono
stato accusato perché servono dei sostituti per
Himmler, che non è rintracciabile (…) Vi
chiedo di non mettere in relazione il destino e l’onore
di centinaia di migliaia di vivi e di caduti delle SS,
delle Waffen SS, e dei funzionari che credono nei loro
ideali e difesero coraggiosamente il Reich fino all’ultimo,
con la vostra giusta causa contro Himmler. Con me anch’essi
credevano d’agire secondo la legge». È
quindi davvero possibile obbedire alla legge degli uomini
abbandonando la propria legge morale? Evidentemente
sì.
Oltre a queste dichiarazioni nel documentario-collage
della Utet si trovano anche testimonianze di fatti poco
noti ai più, come gli Einsatzgruppen, le squadre
d’azione mobile delle WaffenSS che massacrarono
un milione di ebrei in Russia. E poi le interviste a
Efimov, Ferencz, Hamburger e Schätzler, gli ultimi
testimoni del processo ancora in vita.
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