Nel suo
ultimo libro – Guardare la guerra. Immagini
del potere globale (Meltemi, Roma 2004) –
Nicholas Mirzoeff ha analizzato i meccanismi che regolano
la rappresentazione della guerra e la “banalizzazione
delle immagini”. E’ questo il risultato
diretto dell’inasprimento dell’esercizio
del potere nella sfera pubblica, che si manifesta nella
ricerca di discrezione e di sottrazione allo sguardo.
La nuova sinergia tra sorveglianza e invisibilità
– lontano dalla visibilità senz’ombre
del modello panottico – è incarnata, secondo
l’autore, dal campo di detenzione per i migranti
e i rifugiati come Guantanamo, “oggetto visuale
che c’è e non c’è al tempo
stesso” nonché vero e proprio “modello
di organizzazione sociale”. Lo stesso si può
sostenere delle metropoli globalizzate e delle “società
a circuito chiuso”. Al proposito Mirzoeff fa cenno
a un’espressione della vita quotidiana su cui
ha già attirato l’attenzione il filosofo
politico Jacques Rancière. Un’espressione
tipica usata dalla polizia in situazioni d’emergenza:
“Circulez ! il n’y a rien à voir”.
Così Rancière riassume l’evidente
paradosso in Aux bords du politique (Gallimard,
Editions de La Fabrique, Paris 1998): “La polizia
sostiene che non c’è niente da vedere su
una carreggiata, che non sta succedendo niente, che
non c’è niente da fare se non circolare.
Sostiene che lo spazio della circolazione non è
altro che lo spazio della circolazione”. L’esercizio
del potere è dunque legato anzitutto a ciò
che è dato vedere al cittadino, al campo di visione
autorizzato, oltre la quale si estende un’invalicabile
zona rossa dello sguardo. “Non c’è
niente da vedere” è così tanto un’ingiunzione
che una denegazione flagrante: l’incidente è
lì, accade sotto i nostri occhi, è
un puro evento, una rappresentazione in diretta, reale
quasi quanto un reality show. Eppure ci viene
ripetuto che non c’è niente se non uno
spazio vuoto, dove lo sguardo non fa presa; tanto vale
sgomberare il posto dello spettatore e non interrompere
la libera circolazione dei passanti – le strade
pubbliche non sono bivacchi.
Ma il “Circolare! Non c’è niente
da vedere” è anche una versione post-moderna
del celebre “hé, vous, là-bas!”
del maestro di Rancière, Althusser. Un’espressione,
quest’ultima, che incarnava la teoria dell’interpellation
– dell’essere apostrofati, dell’ingiunzione
– delineata in Idéologie et appareils
idéologiques d’Etat. Note pour une recherche.
Se l’ideologia è quella macchina implacabile
e pervasiva che trasforma l’individuo concreto
in soggetto, che lo convoca e lo costituisce socialmente
in quanto tale, l’interpellation ne è
lo strumento più efficace. Il suo reclutamento
è, in realtà, poco macchinoso: la polizia
apostrofa “hé, vous, là-bas!”
ad un passante rivolto di spalle – anonimo e senza
volto. Questi si rigira, convinto che quella che suona
già come un’intimazione sia proprio indirizzata
a lui (“dice proprio a me”), irresistibile
come il canto delle sirene.
Il semplice fatto di rigirarsi di 180 gradi trasforma
l’individuo in soggetto o meglio, precisa Althusser,
l’individuo nasce in quanto soggetto. Prima di
questa rotazione fisica c’è infatti solo
un essere al di fuori d’ogni sistema di regole
ma anche senza storia, eccentrico persino a se stesso.
Solo l’appello dona esistenza, fa essere ciò
che non può preesistergli, come se unicamente
grazie alla nostra enunciazione, alla nostra ipotetica
e quasi irriflessa risposta – “Ma chi, io?”
– quell’io nascesse a se stesso. Girarsi
a un appello verbale o a un colpo di fischietto, alla
voce pubblica o a una sirena (questa volta
non nel senso di Ulisse), vuol dire così essere
già assoggettati, soggetti a prima che soggetti
di. Soggetti a un preventivo e paralizzante senso di
colpa, così come a quelli che Althusser chiamava
gli AIE, gli Appareils idéologiques d’Etat.
Come risulta evidente, tra Althusser e Rancière
si è consumata una rottura. “Ehi! Lei,
laggiù!” è un richiamo individuale
che punta l’indice in una precisa direzione e
ritaglia il singolo dal contesto urbano. E’ un
richiamo diretto all’assunzione senza deleghe
di responsabilità, in nome di una cittadinanza
per cui si è suscettibili di essere identificati
e di dover rendere ragione. “Circolare, prego!”
è invece un’ingiunzione rivolta alla moltitudine
indistinta: sparpagliatevi, dissolvetevi, liquidatevi
fluidificatevi. I passanti, a differenza dei soggetti
plasmati dall’ideologia secondo Althusser, sono
ormai considerati solo in quanto dediti al consumo,
trattati essi stessi come merci, immateriali e transitabili.
Come un vigile, la polizia regola il traffico umano,
quel flusso che deve riprendere il suo movimento, circolare
e dunque consumare, perché è la circolazione
a ritmare il consumo. Questa seconda intimazione è
dunque in piena sintonia con la modernità
liquida descritta da Bauman, per quanto nasconda
la trappola che ben conosciamo: che alla liberalizzazione
del mercato non è seguita quella delle persone,
e che anzi il mondo si è moltiplicato di barriere
invisibili.
“Circolare, prego!” è infine un’occasione,
per Rancière, di tornare sul pensiero d’Althusser,
che irrigidiva la divisione tra polizia e politica,
tra apparato statale e società. “L’intervento
della polizia nello spazio pubblico non consiste in
primo luogo nell’interpellare i manifestanti ma
nel disperdere le manifestazioni”. Una polizia
che, secondo l’autore, lungi dall’essere
semplicemente l’agente dell’ordine pubblico,
vede allargare sempre più le sue funzioni nella
sfera sociale (amministratore, consigliere cittadino,
persino animatore).
Esiste una via d’uscita? Secondo Rancière
“la politica consiste nel trasformare lo spazio
della circolazione nello spazio di manifestazione di
un soggetto: il popolo, gli operai, i cittadini”.
Ovvero “in una riconfigurazione dello spazio,
di ciò che c’è da fare, da vedere,
da nominare. E’ un confronto sulla partizione
di quanto è percepibile dai sensi, sul nemeïn
che fonda ogni nomos comunitario”.
Così si chiude l’ottava tesi sulla politica
(pronunciata per la prima volta quasi dieci anni fa
all’Istituto Gramsci di Bologna), a cui ci siamo
finora riferiti. Se ieri dunque era sufficiente non
girarsi a qualsivoglia “hé, vous, là-bas!”,
oggi è necessario resistere al flusso della circolazione,
per designare uno spazio politico dove c’è
sempre “qualcosa da vedere”, se non altro
quanto la circolazione vorrebbe sottrarci allo sguardo.
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