294 - 17.02.06


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“Circolare, prego.
Non c’e’ niente da vedere!”

Riccardo Venturi



Nel suo ultimo libro – Guardare la guerra. Immagini del potere globale (Meltemi, Roma 2004) – Nicholas Mirzoeff ha analizzato i meccanismi che regolano la rappresentazione della guerra e la “banalizzazione delle immagini”. E’ questo il risultato diretto dell’inasprimento dell’esercizio del potere nella sfera pubblica, che si manifesta nella ricerca di discrezione e di sottrazione allo sguardo. La nuova sinergia tra sorveglianza e invisibilità – lontano dalla visibilità senz’ombre del modello panottico – è incarnata, secondo l’autore, dal campo di detenzione per i migranti e i rifugiati come Guantanamo, “oggetto visuale che c’è e non c’è al tempo stesso” nonché vero e proprio “modello di organizzazione sociale”. Lo stesso si può sostenere delle metropoli globalizzate e delle “società a circuito chiuso”. Al proposito Mirzoeff fa cenno a un’espressione della vita quotidiana su cui ha già attirato l’attenzione il filosofo politico Jacques Rancière. Un’espressione tipica usata dalla polizia in situazioni d’emergenza: “Circulez ! il n’y a rien à voir”.

Così Rancière riassume l’evidente paradosso in Aux bords du politique (Gallimard, Editions de La Fabrique, Paris 1998): “La polizia sostiene che non c’è niente da vedere su una carreggiata, che non sta succedendo niente, che non c’è niente da fare se non circolare. Sostiene che lo spazio della circolazione non è altro che lo spazio della circolazione”. L’esercizio del potere è dunque legato anzitutto a ciò che è dato vedere al cittadino, al campo di visione autorizzato, oltre la quale si estende un’invalicabile zona rossa dello sguardo. “Non c’è niente da vedere” è così tanto un’ingiunzione che una denegazione flagrante: l’incidente è lì, accade sotto i nostri occhi, è un puro evento, una rappresentazione in diretta, reale quasi quanto un reality show. Eppure ci viene ripetuto che non c’è niente se non uno spazio vuoto, dove lo sguardo non fa presa; tanto vale sgomberare il posto dello spettatore e non interrompere la libera circolazione dei passanti – le strade pubbliche non sono bivacchi.

Ma il “Circolare! Non c’è niente da vedere” è anche una versione post-moderna del celebre “hé, vous, là-bas!” del maestro di Rancière, Althusser. Un’espressione, quest’ultima, che incarnava la teoria dell’interpellation – dell’essere apostrofati, dell’ingiunzione – delineata in Idéologie et appareils idéologiques d’Etat. Note pour une recherche. Se l’ideologia è quella macchina implacabile e pervasiva che trasforma l’individuo concreto in soggetto, che lo convoca e lo costituisce socialmente in quanto tale, l’interpellation ne è lo strumento più efficace. Il suo reclutamento è, in realtà, poco macchinoso: la polizia apostrofa “hé, vous, là-bas!” ad un passante rivolto di spalle – anonimo e senza volto. Questi si rigira, convinto che quella che suona già come un’intimazione sia proprio indirizzata a lui (“dice proprio a me”), irresistibile come il canto delle sirene.

Il semplice fatto di rigirarsi di 180 gradi trasforma l’individuo in soggetto o meglio, precisa Althusser, l’individuo nasce in quanto soggetto. Prima di questa rotazione fisica c’è infatti solo un essere al di fuori d’ogni sistema di regole ma anche senza storia, eccentrico persino a se stesso. Solo l’appello dona esistenza, fa essere ciò che non può preesistergli, come se unicamente grazie alla nostra enunciazione, alla nostra ipotetica e quasi irriflessa risposta – “Ma chi, io?” – quell’io nascesse a se stesso. Girarsi a un appello verbale o a un colpo di fischietto, alla voce pubblica o a una sirena (questa volta non nel senso di Ulisse), vuol dire così essere già assoggettati, soggetti a prima che soggetti di. Soggetti a un preventivo e paralizzante senso di colpa, così come a quelli che Althusser chiamava gli AIE, gli Appareils idéologiques d’Etat.

Come risulta evidente, tra Althusser e Rancière si è consumata una rottura. “Ehi! Lei, laggiù!” è un richiamo individuale che punta l’indice in una precisa direzione e ritaglia il singolo dal contesto urbano. E’ un richiamo diretto all’assunzione senza deleghe di responsabilità, in nome di una cittadinanza per cui si è suscettibili di essere identificati e di dover rendere ragione. “Circolare, prego!” è invece un’ingiunzione rivolta alla moltitudine indistinta: sparpagliatevi, dissolvetevi, liquidatevi fluidificatevi. I passanti, a differenza dei soggetti plasmati dall’ideologia secondo Althusser, sono ormai considerati solo in quanto dediti al consumo, trattati essi stessi come merci, immateriali e transitabili. Come un vigile, la polizia regola il traffico umano, quel flusso che deve riprendere il suo movimento, circolare e dunque consumare, perché è la circolazione a ritmare il consumo. Questa seconda intimazione è dunque in piena sintonia con la modernità liquida descritta da Bauman, per quanto nasconda la trappola che ben conosciamo: che alla liberalizzazione del mercato non è seguita quella delle persone, e che anzi il mondo si è moltiplicato di barriere invisibili.

“Circolare, prego!” è infine un’occasione, per Rancière, di tornare sul pensiero d’Althusser, che irrigidiva la divisione tra polizia e politica, tra apparato statale e società. “L’intervento della polizia nello spazio pubblico non consiste in primo luogo nell’interpellare i manifestanti ma nel disperdere le manifestazioni”. Una polizia che, secondo l’autore, lungi dall’essere semplicemente l’agente dell’ordine pubblico, vede allargare sempre più le sue funzioni nella sfera sociale (amministratore, consigliere cittadino, persino animatore).

Esiste una via d’uscita? Secondo Rancière “la politica consiste nel trasformare lo spazio della circolazione nello spazio di manifestazione di un soggetto: il popolo, gli operai, i cittadini”. Ovvero “in una riconfigurazione dello spazio, di ciò che c’è da fare, da vedere, da nominare. E’ un confronto sulla partizione di quanto è percepibile dai sensi, sul nemeïn che fonda ogni nomos comunitario”. Così si chiude l’ottava tesi sulla politica (pronunciata per la prima volta quasi dieci anni fa all’Istituto Gramsci di Bologna), a cui ci siamo finora riferiti. Se ieri dunque era sufficiente non girarsi a qualsivoglia “hé, vous, là-bas!”, oggi è necessario resistere al flusso della circolazione, per designare uno spazio politico dove c’è sempre “qualcosa da vedere”, se non altro quanto la circolazione vorrebbe sottrarci allo sguardo.


 

 

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