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Croce o delizia per i liberali

Sebastiano Maffettone



Questa recensione al libro di Corrado Ocone “Benedetto Croce: liberalismo come concezione della vita” (Rubbettino) è apparsa sull’inserto domenicale del Il Sole 24Ore del 18 dicembre 2005.

Corrado Ocone scrive su Croce con uno spirito che definirei reazionario. Naturalmente, quando dico "reazionario" non intendo in questo caso il termine nel suo significato politico, ma piuttosto in quello quasi etimologico che lo rende un sinonimo di contrario alle tendenze contemporanee. Il suo libro intitolato Benedetto Croce: liberalismo come concezione politica, che esce con una prefazione di Valerio Zanone, è infatti caratterizzato dal desiderio di riaffermare il magistero crociano contro una cultura filosofica che lo trascura colpevolmente. Dico subito che Ocone non ha tutti i torti nell'esprimere, con passione e competenza, questa convinzione. Croce è sempre meno discusso criticamente in Italia e all'estero. I giovani studiosi italiani più brillanti raramente se ne occupano nei loro scritti, e nelle discipline accademiche che conosco e frequento è diventata oramai una rarità trovare saggi qualificati dedicati al pensatore napoletano. Questo fatto rappresenta – ed è qui che Ocone segna un punto – un danno intellettuale, non solo e forse non tanto per il valore assoluto del pensiero crociano ma anche e soprattutto perché radica la costruzione filosofica italiana in una sorta di non-luogo.

A partire da questa condivisibile premessa interpretativa, Ocone legge Croce attraverso tre criteri fondamentali: Croce è solo apparentemente e a prima lettura un autore semplice; Croce è un moralista sui generis; Croce è a tutto tondo un pensatore liberale. Sul primo punto, direi che Ocone abbia piuttosto ragione nel merito, perché la facilità dello stile spesso nasconde la complessità della riflessione sottostante in Croce. Il secondo punto è più interessante teoreticamente. Anche perché coincide con un'interpretazione peculiare di Croce, legata al primato del giudizio. Interpretazione in parte derivata nel caso in questione del magistero di Raffaello Franchini, il maestro crociano del crociano Ocone, ma che è molto diffusa anche a livello internazionale pur se spesso non connessa a Croce (giudizialista in questo senso è per esempio la lettura arendtiana del Kant politico). Ma il nodo del libro consiste essenzialmente nell'analisi del terzo punto in questione, cioè della natura schiettamente liberale del pensiero di Croce.

Su questo terzo punto molti e ragionevoli sono i dubbi. Innanzitutto, Croce si riteneva un liberale. Ed è francamente difficile dare torto a tanto autorevole opinione. D'altra parte, però, la critica più avvertita, da Bobbio a Bedeschi, spesso ha messo in discussione il liberalismo di Croce, che sarebbe stato anomalo per aver trascurato di partire dal classico problema liberale dei limiti dello Stato. Più che questa critica rispettabile ma controversa, a me pare inusuale includere Croce nel liberalismo teorico, essendo egli un autore che preferiva Hegel e Machiavelli a Locke e Kant. Inusuale non vuol dire però impossibile. Forse, ed è questa la mia tesi in proposito, Croce appartiene a una tradizione minoritaria, aristotelica, individualista e storicista di liberalismo. In maniera diversa nella forma e nell'argomentazione, ma non troppo (ritengo) nella sostanza, Ocone sembra condividere una tesi del genere. Nella sua versione, questa tesi poggia sul l'identità, che Ocone rivendica, tra liberalismo crociano e teoria della vitalità. Un'ipotesi senza dubbio interessante, anche se la piena ricostruzione critica del liberalismo crociano in termini di individualismo e vitalità merita un'analisi più esplicita e approfondita, che troverà comunque in questo libro un utile punto di partenza.

 

 

 

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