Questa
recensione al libro di Corrado Ocone “Benedetto
Croce: liberalismo come concezione della vita”
(Rubbettino) è apparsa sull’inserto domenicale
del Il
Sole 24Ore del 18 dicembre 2005.
Corrado Ocone scrive su Croce con uno spirito che definirei
reazionario. Naturalmente, quando dico "reazionario"
non intendo in questo caso il termine nel suo significato
politico, ma piuttosto in quello quasi etimologico che
lo rende un sinonimo di contrario alle tendenze contemporanee.
Il suo libro intitolato Benedetto Croce: liberalismo
come concezione politica, che esce con una prefazione
di Valerio Zanone, è infatti caratterizzato dal
desiderio di riaffermare il magistero crociano contro
una cultura filosofica che lo trascura colpevolmente.
Dico subito che Ocone non ha tutti i torti nell'esprimere,
con passione e competenza, questa convinzione. Croce
è sempre meno discusso criticamente in Italia
e all'estero. I giovani studiosi italiani più
brillanti raramente se ne occupano nei loro scritti,
e nelle discipline accademiche che conosco e frequento
è diventata oramai una rarità trovare
saggi qualificati dedicati al pensatore napoletano.
Questo fatto rappresenta – ed è qui che
Ocone segna un punto – un danno intellettuale,
non solo e forse non tanto per il valore assoluto del
pensiero crociano ma anche e soprattutto perché
radica la costruzione filosofica italiana in una sorta
di non-luogo.
A partire da questa condivisibile premessa interpretativa,
Ocone legge Croce attraverso tre criteri fondamentali:
Croce è solo apparentemente e a prima lettura
un autore semplice; Croce è un moralista sui
generis; Croce è a tutto tondo un pensatore
liberale. Sul primo punto, direi che Ocone abbia piuttosto
ragione nel merito, perché la facilità
dello stile spesso nasconde la complessità della
riflessione sottostante in Croce. Il secondo punto è
più interessante teoreticamente. Anche perché
coincide con un'interpretazione peculiare di Croce,
legata al primato del giudizio. Interpretazione in parte
derivata nel caso in questione del magistero di Raffaello
Franchini, il maestro crociano del crociano Ocone, ma
che è molto diffusa anche a livello internazionale
pur se spesso non connessa a Croce (giudizialista in
questo senso è per esempio la lettura arendtiana
del Kant politico). Ma il nodo del libro consiste essenzialmente
nell'analisi del terzo punto in questione, cioè
della natura schiettamente liberale del pensiero di
Croce.
Su questo terzo punto molti e ragionevoli sono i dubbi.
Innanzitutto, Croce si riteneva un liberale. Ed è
francamente difficile dare torto a tanto autorevole
opinione. D'altra parte, però, la critica più
avvertita, da Bobbio a Bedeschi, spesso ha messo in
discussione il liberalismo di Croce, che sarebbe stato
anomalo per aver trascurato di partire dal classico
problema liberale dei limiti dello Stato. Più
che questa critica rispettabile ma controversa, a me
pare inusuale includere Croce nel liberalismo teorico,
essendo egli un autore che preferiva Hegel e Machiavelli
a Locke e Kant. Inusuale non vuol dire però impossibile.
Forse, ed è questa la mia tesi in proposito,
Croce appartiene a una tradizione minoritaria, aristotelica,
individualista e storicista di liberalismo. In maniera
diversa nella forma e nell'argomentazione, ma non troppo
(ritengo) nella sostanza, Ocone sembra condividere una
tesi del genere. Nella sua versione, questa tesi poggia
sul l'identità, che Ocone rivendica, tra liberalismo
crociano e teoria della vitalità. Un'ipotesi
senza dubbio interessante, anche se la piena ricostruzione
critica del liberalismo crociano in termini di individualismo
e vitalità merita un'analisi più esplicita
e approfondita, che troverà comunque in questo
libro un utile punto di partenza.
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