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La scoperta di Roma

Enzo Siciliano



Pier Paolo era un amico generoso: aveva uno sguardo mite, la voce gentile anche quando s’infervorava, anche quando dibatteva le sue idee con veemenza, la veemenza che gli dava la certezza della solitudine.
La sua amicizia sembrava arrivare da lontano: sapeva sempre in anticipo dirti i tuoi pensieri. Egli ha saputo anche dire in anticipo le ragioni del proprio assassinio. E questo, per chi lo ha amato, è un motivo di strazio inconsolabile.

Sembra che Pasolini sia riuscito a far coincidere, come accade talvolta ai poeti, l’invenzione e la realtà.
Quale realtà? Bisogna citare i suoi versi, bisogna con la memoria tornare alle immagini di Accattone, il film col quale dette modo a tutti di constatare lo scempio cui la vita si riduce fra i sottoproletari.
“Poi… Ah, nel sole è la mia sola lietezza… / Quei corpi, coi calzoni dell’estate, / un po’ lisi nel grembo per la distratta carezza / di rozze mani impolverate… Le sudate / comitive di maschi adolescenti, / sui margini di prati, sotto facciate / di case, nei crepuscoli cocenti… / L’orgasmo della città festiva, / la pace delle campagne rifiorenti…”.

Il poeta, in lui, aveva rovesciato l’ottica tradizionale: non scendeva a patti col mondo, si lasciava intridere di tutti i più degradati odori della vita, per “passione” e per “ideologia”.
La sua non fu una poesia nutrita da ciò che turba la coscienza per le vie di un distorto edonismo. Pasolini non era turbato dallo spettacolo del mondo, di quel mondo che reinventava nelle sue parole, nei suoi versi, con la sua cinepresa: egli cercava in ciò che scopriva sconfitto e reietto, buttato ai margini dei luccicanti orizzonti del ‘miracolo italiano’ e poi della ‘civiltà dei consumi’, le ragioni di forza per il suo intelletto.
Aveva il coraggio di dire sempre la sua verità, sconfessando le reticenze degli altri. È vissuto di questo coraggio, sfidando chiunque, sfidando persino il suo stesso cuore.

“Come in un romanzo”, il Rimbaud “senza genio”, era il gennaio freddo del 1950, arrivò con sua madre a Roma, pronto a cominciare una vita tutta nuova.
Al pari dei pittori del Rinascimento, i manieristi, o il grande Caravaggio, che dai paesi della Bassa padana vennero a Roma per apprendervi i segreti di stile e segreti di vita, il senso stordente della realtà, Pasolini apprese un nuovo amore e fu da esso stordito e vinto. È stato Cesare Garboli a mettere in parallelo tutta l’esperienza eversiva romana di Pasolini, con Caravaggio, mediatore Roberto Longhi. Dice Garboli “si direbbe che il Pasolini lavorasse allora non allo specchio del Caravaggio, ma allo specchio del Caravaggio romano così come ci è stato dipinto dal Longhi”.

Quasi un naufragio, per Caravaggio, nel gran corpo di Roma: i Bacchini o i San Giovannini, che sono ladruncoli o “garzoni di osteria”, la madonna morta che è la puttana incinta, affogata a fiume, o le Maddalene che sono le ciociare che venivano la mattina presto in città per vendere al mercato la ricotta fresca.
Fu un naufragio anche per Pasolini – e sono naufragi vitalizzanti, splendidamente creativi.
I primi mesi romani sono durissimi. Difficile trovare lavoro. Pier Paolo si rivolge ad alcuni amici scrittori, Bassani, Bertolucci, coi quali aveva avuto fino ad allora solo legami epistolari. Inizia come correttore di bozze, poi passa a collaborare con diversi giornali compresi in un arco vagamente governativo.
Pasolini ha bisogno di lavoro, ha bisogno di solidarietà; la sua angoscia non è placata, anche se Roma, l’idea stessa di Roma lo ha mutato. Scrive: “Sono due o tre anni che vivo in un mondo dal sapore diverso: corpo estraneo e quindi definito in questo mondo, mi ci adatto con prese di coscienza molto lento.”

Pier Paolo Pasolini aveva l’aria di un beatnik anzitempo, desiderava piacere ai ragazzi di vita: metteva in gara la propria fisicità con loro. La bellezza di quei ragazzi costituiva un’effrazione a ogni canone: sia al canone ovviamente borghese, sia al canone decadente.
La scoperta delle periferie urbane era stata fino ad allora essenzialmente visiva: penso ai gasometri, al Portonaccio dipinto da Renzo Vespignani. Pasolini istituì un’officina linguistica sui quei dati figurativi. Il gergo romanesco era di per sé un non valore, dal punto di vista dei valori linguistici ed espressivi. Pasolini volle unire quel non valore al valore estetico.
Pasolini ha vissuto la vita violenta di Roma, la vita pagana di Roma, contrapposta alla tranquillità di Bologna o alla santità del Friuli.

“Nuovi Argomenti” era la rivista di cultura e politica che Moravia dirigeva con Alberto Carocci: era una rivista che tendeva a rompere lo schematismo anticomunista e antimarxista. Nonostante non fosse mai stata pubblicata poesia, fu fatta un’eccezione grazie ad Alberto Moravia per il poemetto “Le ceneri di Gramsci”. Era il 1955, Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia si conoscono e solidarizzano. Furono il simbolo della “cultura letteraria romana”: la prontezza della loro reattività intellettuale, la disinvoltura d’approccio ai più diversi problemi sociali e intellettuali, li rese vulnerabili a molteplici critiche, ma la loro attualità nel cogliere i punti sensibili li rese figure necessarie del dibattito culturale.

La mostra “Pasolini e Roma” è anche questo, non solo la relazione tra Roma e Pier Paolo Pasolini, e il connubio tra gli esempi più alti della cultura romana e lo scrittore friulano. È anche il confronto tra le immagini forti di una città violenta e pagana, impregnata della “bellezza” dei riccetti, dal disagio di una periferia mai perfettamente urbanizzata e un immaginario unico nel panorama italiano che ha accompagnato la città e la nazione di cui è la capitale. Per questo c’è l’urgenza di raccontarla con l’occasione dei 30 anni esatti passati da quella tragica notte all’Idroscalo in cui un profondo segno è stato inciso nella storia repubblicana, per una volta, da uno scrittore.

Accanto ai materiali che compongono la mostra, nel catalogo sono presenti alcuni dei testi più significativi del rapporto tra Pier Paolo Pasolini e le diverse anime di questa città. Per esempio la Roma appena “avvistata” nella Ricchezza di La religione del mio tempo commuove e mette i brividi.
Su questo Cesare Garboli e Edoardo D’Onofrio a proposito di Ragazzi di vita hanno scritto pagine nitide comprendendo l’approccio e il grande amore di Pier Paolo e Roma. Ma si è scelto anche di arrivare a esempi più recenti, di artisti che nel rappresentare immagini della città hanno replicato lo spirito con cui Pasolini l’ha guardata e l‘ha amata.

Questo scritto è tratto dal catalogo della mostra
Pasolini e Roma
Museo di Roma in Trastevere – Piazza S. Egidio 1b
21 ottobre 2005 – 22 gennaio 2006
orario d’apertura:
martedì-domenica ore 10.00-20.00
lunedì chiuso
Curatori Enzo Siciliano e Federica Pirani
Catalogo: Silvana Editore
Organizzazione: Zètema Progetto Cultura srl
Promotore Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma Sovraintendenza ai Beni Culturali
Biglietto:integrato mostre+museo: intero € 6,00; ridotto € 5,00. Il costo del biglietto comprende la visita del museo e delle tre mostre dedicate a Pier Paolo Pasolini
Info tel. 06 5816563

 

 

 

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