Aprire
al mondo le porte della Turchia e della sua cultura:
da quasi tre decenni è questo l'obiettivo della
Istanbul Foundation for Culture and Arts. Musica, teatro,
arti figurative e tanto cinema: proprio di cinema, di
“Yesilçam” - l'industria cinematografica,
che prende il nome dalla “Cinecittà”
di Istanbul, il quartiere degli studi cinematografici
- parliamo con Hulya Uçansu, la storica direttrice
dell'Istanbul International Film Festival, da 24 anni
evento clou dell'agenda artistica e culturale del paese.
Qual è lo stato dell'arte dell'industria
cinematografica in Turchia?
Per tutti gli anni Sessanta, “Yesilçam”
ha avuto un enorme sviluppo, tale da rendere la Turchia
uno dei maggiori produttori di cinema del mondo; nei
primi anni Settanta, la produzione turca viaggiava intorno
a una quota di circa 200 film all'anno; alla fine del
decennio, a causa delle mutate condizioni sociali ed
economiche e, non per ultimo, l'effetto della televisione,
il numero degli spettatori si è drasticamente
ridotto e la nostra industria ne ha drammaticamente
risentito, giungendo quasi al collasso. Dopo l'intervento
militare negli anni Ottanta, del glorioso passato di
“Yesilçam” non c'era quasi più
traccia: erano gli anni in cui registi come Ömer
Kavur e Ali Özgentürk davano vita ai loro
orgininalissimi stili e molti giovani registi più
inclini verso la produzione di film astratti e con una
maggiore impronta autoriale venivano addirittura accusati
di allontanare il pubblico dalle sale cinematografiche.
Come sta oggi “Yesilçam”?
Attualmente, la nostra produzione è scesa a
15-20 film all'anno. I segnali positivi non mancano
ma i registi turchi devono quotidianamente far fronte
a serie difficoltà, specialmente per quello che
riguarda il finanziamento e la distribuzione delle loro
opere, come del resto accade sempre più spesso
anche in Europa. Non manca l'ottimismo: negli ultimi
anni, il numero dei film prodotti in Turchia è
cresciuto eppure, nonostante una nuova generazione di
registi pieni di talento la cui produzione riesce a
spaziare in tutti i generi e gli stili, il cinema turco
soffre ancora la mancanza di quelle dinamiche tipiche
di una forte cinematografia di stampo industriale.
I nostri registi più affermati, come Nuri Bilge
Ceylan (il suo “Uzak / Distant” ha vinto
il Grand Jury Prize a Cannes nel 2003), Zeki Demirkubuz,
Dervis Zaim, Tayfun Pirselimoglu, Semih Kaplanoglu e
Ümit Ünal, sono tutti indipendenti e autoproducono
i loro film, opere che troviamo nei più prestigiosi
festival del mondo e che spesso vengono anche premiate.
Forse è troppo presto per dire che da questi
film stia nascendo un nuovo modo di fare cinema per
i giovani registi turchi, ma è sicuro che possano
essere dei modelli significativi. Questo tipo di
guerrilla filmaking non è però l'unico
modello per chi fa cinema oggi in Turchia: ci sono registi
come Sinan Çetin, Yilmaz Erdogan, Ezel Akay e
Ömer Faruk Sorak che hanno a disposizione budget
da più di due milioni di dollari e che realizzano
film d’azione e commedie di stampo hollywoodiano
che hanno sempre grandi successi di botteghino. Spesso,
questi registi sono molto attivi come produttori in
ambiti alternativi come la pubblicità o le serie
tv.
Uno dei maggiori problemi dell'industria cinematografica
turca è che gran parte dei film prodotti non
riescono a trovare finanziamenti adeguati: questo, prima
di tutto, crea l'errata opinione che fare film in Turchia
sia un rischio per i produttori con l'effetto di allontanare
i possibili nuovi investitori. Aspetto ancora più
importante, spesso i profitti di questi successi di
botteghino non vengono tanto reinvestiti nell'industria
cinematografica quanto in altri campi.
Qual è l'atteggiamento del cinema turco
nei confronti dei grandi temi della storia passata e
presente del vostro paese? Pensiamo a questioni che
hanno avuto e hanno tuttora grande rilievo anche nelle
trattative per l'ingresso della Turchia in Europa, come
la situazione in Armenia o a Cipro.
Dopo la Palma d'Oro a Cannes vinta da Yilmaz Guney
con Yol nel 1982, in Turchia non c'è stata una
grande produzione di film “politici”: tra
questi vale sicuramente la pena ricordare Isiklar
Sonmesin di Reis Celik, Küçük
Adam Büyük Ask di Handan Ipekçi,
Fotograf di Kazim Öz, Filler ve Çimen
di Dervis Zaimoglu. La speranza è che si riesca
in un futuro non troppo lontano a produrre film capaci
di dare una lettura attenta e critica delle questioni
politiche, lontana da qualsiasi condizionamento ideologico.
Per quanto riguarda la questione armena, non posso non
ricordare Ararat di Atom Egoyan che, però, nel
film veste i panni di un filmmaker canadese: da entrambe
le parti manca ancora un film che riesca a innescare
una discussione vera su questo delicato tema. Per quanto
riguarda Cipro, Dervis Zaim proprio a Venezia nel 2003
ha vinto l'Unesco Award con il suo Çamur/
Mud; c'è anche un altro film attualmente
in produzione sullo stesso tema, Palto di Kutlug Ataman,
senza dimenticare la ricca produzione a carattere documentario.
In generale, credo che la scena cinematografica turca
sia sempre più interessata alle attuali questioni
politiche e culturali e sicuramente la crescita economica,
da un lato, e lo stesso processo di integrazione con
l'Europa, dall'altro, stanno dando una forte spinta
a questo interesse.
L'arte e il cinema in particolare possono
essere un valido strumento di comunicazione tra la Turchia
e l'Europa?
Assolutamente sì, prima di tutto attraverso
lo scambio dei rispettivi prodotti culturali. Per esempio,
attraverso le opere esposte alla Biennale di Istanbul
– attualmente il principale evento nell'agenda
artistica turca – il pubblico ha l'opportunità
di conoscere l'arte europea contemporanea e lo spirito
e le poetiche dei suoi principali esponenti: allo stesso
modo, numerose città europee ospitano esposizioni
di artisti turchi promosse dalla Biennale di Istanbul.
Anche grazie alla presenza di più di trecento
tra giornalisti, artisti e critici d'arte provenienti
da tutto il mondo, il nostro lifestyle e la
nostra cultura possono arrivare a farsi conoscere in
Europa e anche in tante altre parti del mondo.
Per il cinema, la situazione è simile: grazie
alla sua capacità di raggiungere un vasto pubblico,
il cinema riesce ad esercitare un'influenza sul pubblico
ancora maggiore rispetto a qualsiasi altra forma d'arte.
Come la cultura europea, grazie ai film, è sempre
più di casa presso il pubblico turco, allo stesso
modo la nostra cultura si sta facendo conoscere in Europa
soprattutto attraverso il cinema.
Come è emerso anche nella tavola rotonda “Balkan
Cinema Faced with the Eu” ospitata dall'Istanbul
Film Festival quest'anno, è naturale e in un
certo senso anche inevitabile che un dialogo più
attivo con l'Europa e il processo di integrazione comporteranno
un'attitudine quasi eurocentrica nella nostra regione:
l'obiettivo dovrebbe essere concentrarsi su coproduzioni
internazionali che non mettano in secondo piano il clima
di sviluppo socioeconomico della Turchia. Film come
One day in Europe, che guardano ai
possibili conflitti o agli inevitabili ostacoli con
un delicato senso dell'umorismo in un'atmosfera di tolleranza
e comprensione tra le diverse culture, possono essere
uno strumento utile anche per i politici.
Indubbiamente, certi tipi di ostacoli saranno inevitabili
nel corso del processo di integrazione: la Turchia è
un paese strutturalmente eterogeneo in termini di etnie,
religione e cultura. Una volta che riusciremo a comprenderci
reciprocamente, le barriere formali cadranno e tutte
queste differenze che adesso chiamiamo ostacoli domani
saranno i nuovi colori dell'Unione Europea.
Qual è il ruolo del cinema nel processo
di integrazione? In altre parole, il cinema può
essere uno strumento reale di espressione per la cultura
turca in Europa, permettendoci di conoscere la Turchia
al di là di qualsiasi stereotipo?
Dal dicembre 2004 l'interesse dell'Europa nei confronti
della Turchia e anche del cinema turco cresce senza
sosta: ci sono numerosi festival e istituzioni culturali
che realizzano progetti speciali sul nuovo cinema turco.
Nei film dei giovani registi turchi si raccontano la
realtà della società del nostro paese
e i suoi cambiamenti e credo che per i cittadini europei
il punto di vista di questi artisti sia più attendibile
che non quello dei politici. La Istanbul Foundation
for Culture and Arts, insieme all'Istanbul International
Film Festival sta lavorando proprio su questo: nel 2004
abbiamo realizzato un grandissimo evento a Berlino,
chiamato “Simdi/Now” , replicato poi anche
a Bruxelles. Il progetto, oltre ai film, includeva esposizioni,
concerti, spettacoli di danza e performance teatrali.
Un altro progetto simile verrà realizzato il
prossimo novembre a Stoccxarda e la speranza è
quella di riuscire a realizzarne di nuovi ogni anno.
Credo che lo scambio artistico e culturale sia il modo
migliore per cancellare i pregiudizi e superare gli
stereotipi, permettendo di comprenderci in un modo più
vero e sincero.
L'establishment culturale turco come guarda
al processo di integrazione?
Con grande ottimismo e fiducia, anche in se stesso:
sappiamo che la strada da percorrere è lunga
ma alla fine la Turchia sarà accettata come paese
europeo.
E il pubblico turco come si rapporta al cinema
europeo?
Grazie all'Istanbul Film Festival, che quest'anno compie
24 anni, il cinema europeo ha trovato grande spazio
nel nostro paese. Questo ha incoraggiato i distributori
a comprare i vostri film e a immetterli nel nostro mercato:
negli ultimi anni abbiamo assistito anche alla crescita
di una giovane generazione di distributori che comprano
soprattutto prodotto europei. Tutto questo ci dimostra
che c'è un rapporto “caldo” tra il
pubblico turco e il cinema europeo.
Parlando di coproduzioni, l'ingresso della
Turchia in Europa aprirà nuove possibilità
al cinema turco?
Sicuramente. Già oggi, grazie alle coproduzioni,
in Turchia si producono opere internazionali di grande
livello: questa è una svolta significativa per
il nostro cinema perché queste coproduzioni aiutano
ad emergere film competitivi non soltanto secondo gli
standard produttivi internazionali ma che hanno anche
un notevole appeal artistico e qualitativo. Inoltre,
in Turchia possiamo vantare professionalità tecniche
e artistiche molto ricercate in Europa: i produttori
europei stanno mostrando infatti un grande interesse
verso la nuova creatività dei nostri autori e
la richiesta di entrare a far parte di progetti turchi
è molto forte.
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