Le élite,
quelle vere, da anni hanno abbandonato la Costa Smeralda.
Meglio Pantelleria o Filicudi, meglio un "dammuso"
per investire. Ormai il paradiso puzza di olio abbronzante,
è diventato una succursale estiva di studi televisivi
e di campi da calcio. La Sardegna nell'immaginario di
noi "continentali" è purtroppo sempre
più solo questo, ritrovo mediatico per il popolo
degli spettatori invernali che finalmente possono sbirciare
dal vivo, col binocolo e a caro prezzo, le loro fantasie
catodiche. Costa Smeralda per l'isola intera, una sineddoche
del tutto ingiustificata.
L'Agneta, la snobbissma vela ruggine dell'Avvocato
non scivola più in queste acque. È tempo
di moto d'acqua sgommanti, ora. Hai voglia a trasformare
la spiaggia sperduta e splendida di Piscinas nella Capalbio
dell'isola – come qualche settimanale ha pure
provato a fare lo scorso agosto – la Sardegna
ha imboccato la via televisiva. La patria dei pastori,
dei rapimenti e delle miniere in lotta è diventata
oggi quella delle veline more, come ha scritto Marcello
Fois qualche tempo fa. Certo ci sono le battaglie per
la smilitarizzazione di Capo Teulada o della Maddalena,
certo c'è la speranza Soru ma questo non sembra
sufficiente a trasformare l'immagine collettiva che
un po' tutti, volenti o nolenti, abbiamo dell'isola.
Eppure, ci sono stati personaggi isolani che non sono
venuti a patti con questa realtà. Che sono stati
in grado di pensare e raccontare l'isola senza cadere
in piagnistei retrò per il tempo che
fu, ma testimoniando un legame e un amore unici per
la propria terra attraverso le mille facce sconosciute
della Sardegna attuale. Uno di questi è stato
Sergio Atzeni.
Atzeni è morto dieci anni fa nelle acque dell'isola
di San Pietro, quella di Carloforte e della tonnara.
A leggere la bibliografia, la mole di articoli che ha
prodotto nella sua vita, non ci si capacita che fosse
ancora un uomo giovane di 43 anni. Ora, una piccola
ma molto meritoria casa editrice sarda, Il Maestrale,
pubblica in contemporanea una antologia di "racconti
cagliaritani", I sogni della città bianca
(pagg. 339, euro 10), e una monumentale raccolta di
scritti giornalistici pubblicati tra il 1966 e il 1995
dell'autore nato a Capoterra. Si tratta non solo di
un doveroso omaggio a un figlio della terra sarda, ma
anche uno di strumento utilissimo per comprendere chi
fosse in realtà l'autore tra l'altro de Il
figlio di Bakunìn e Bellas mariposas, per
apprezzare al meglio i registri di scrittura differenti,
i mille interessi, l'impegno politico e culturale, il
disincanto, la passione senza nostalgia per la Sardegna.
«Chi scrive è personalmente convinto che
Antonio Gramsci, se vivesse oggi, invece di dare l'indicazione
di "partire dal melodramma" darebbe quella
di "partire dal poliziesco", o dalla fantascienza,
o dal fumetto». In questa battuta di Atzeni si
riassume molto di quel corto circuito culturale che
furono gli anni Settanta in Italia. La sinistra, anzi
il Pci era preso in mezzo tra un'ideologia coi paraocchi
e una nuova cultura figlia del '68, della tv, del post
moderno. La critica alla cultura per compartimenti stagni
metteva in crisi i riferimenti delle vecchie generazioni
progressiste. E gli Scritti giornalistici (in
totale 1020 pagine) di Atzeni, egregiamente curati da
Gigliola Sulis, mettono proprio il dito in quella frattura
culturale ben rappresentata dall'Eco di Apocalittici
e integrati e da un certo francofortismo. Articoli
che trattano di economia, politica, società,
musica, fumetti, sport, di libri, di tantissimi libri
recensiti e che mostrano gli interessi più disparati
del giornalista-scrittore. In Italia si scopre il valore
della fantascienza e della letteratura gialla o di quella
gotica. I modelli dell'allora giovane cronista sono
Gianni Brera che ha saputo scrivere di calcio con lingua
letteraria e Oreste Del Buono che con la rivista Linus
restituisce dignità a un genere come il fumetto,
disprezzato dall'ortodossia culturale tanto conservatrice
quanto comunista. Come scrive Giuseppe Greco nell'Appendice
ai racconti, Atzeni sperimenta "fusioni" tra
letteratura e musica, letteratura e scultura e tra i
vari sottogeneri letterari e l'apologo morale.
Atzeni si definisce cittadino sardo, italiano ed europeo
al tempo stesso. Ma più che altro tiene al riconoscimento
della sua terra come parte del continente. Cagliari
è un filo rosso che attraversa la sua opera,
in particolare quella di scrittore. Città simbolo
della Sardegna, dalla quale Atzeni non riuscirà
mai a separarsi malgrado le sue peregrinazioni attraverso
l'Europa.
«Devo dire la verità: raccontare Cagliari
è stato uno dei motivi che mi ha spinto a cercare
di scrivere racconti». Fin dai primi interventi
saltuari sulla stampa di sinistra ("Rinascita sarda"
e la pagina locale dell'"Unità" a cavallo
del 1970), l'obiettivo di Atzeni è stato quello
di uscire dalla rappresentazione spesso troppo antimoderna
della Sardegna e del suo capoluogo. In seguito, scriverà
addirittura un breve testo – Raccontar fole
(Sellerio 1999) – nel quale si dedicherà
a smontare le favole che per secoli scrittori e viaggiatori
italiani ed europei hanno inventato sulla sua terra.
Un atto ironico d'amore e di verità contro gli
stereotipi di ieri e di oggi, contro l'immagine di una
terra di selvaggi e quella di un villaggio turistico.
Questa esigenza di autenticità c'è
anche ne I sogni della città bianca,
raccolta di racconti pubblicati per la prima volta in
questi giorni ma che risalgono alla prima metà
degli anni Ottanta. Cagliari è un luogo da esplorare,
da ritrarre, da criticare con la passione di chi ci
sta dentro fino in fondo. Come accadrà nei romanzi
successivi, Atzeni fa a fette un mondo, quello cagliaritano,
sezionandolo con la crudezza gentile di chi ci tiene
a far vedere come le cose stanno in realtà. La
realtà di una città «tanto lontana
dal cuore dell'impero. Attardata su se stessa, decaduta
e dolente» come scrive in Un duello,
l'ultimo racconto della raccolta.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it
|