Questo
articolo è tratto dal numero 91 (settembre –
ottobre 2005) di Reset,
interamente dedicato al cinema italiano.
Perché il cinema italiano non è industria?
Perché manca quel prodotto «medio»
capace di attrarre pubblico e critica? Come dovrebbe
intervenire lo Stato? Quanto influisce il duopolio produttivo
Rai-Medusa?
Queste le domande a cui Reset ha cercato di rispondere
chiamando a discutere critici, registi, sceneggiatori
e scrittori, produttori, attori, attrici, politici.
Le coproduzioni tra Francia e Italia, per usare
un eufemismo, vanno male: fuori di ogni eufemismo, il
loro stato è pessimo e i motivi sono numerosi.
Questa condizione non riguarda solamente le piccole
produzioni o i film a basso budget, diretti da autori
esordienti: la situazione è talmente compromessa
che noi produttori indipendenti ci troviamo di fronte
a grandi difficoltà anche quando si tratta di
trovare finanziamenti per coproduzioni legate a nomi
noti e affermati.
Posso portare un esempio che mi riguarda, come produttrice,
in prima persona: sono riuscita, in passato, a trovare
i fondi per produrre un regista italiano affermato come
Ermanno Olmi, ma oggi ho dovuto rinunciare a finanziare
un film di un regista come Mario Monicelli. Sembra un
paradosso ma è la realtà. Quello che è
successo con Olmi, ovvero riuscire a trovare finanziamenti
francesi, posso considerarlo come un piccolo miracolo
e come tale difficilmente ripetibile, almeno per poter
portare avanti il progetto di un secondo film. Ciò
che si deve comprendere è il rischio che comporta
questa situazione: una coproduzione non significa solamente
l’accesso a dei finanziamenti esteri. Una coproduzione
garantisce un aspetto fondamentale per il futuro delle
cinematografie nazionali, garantisce visibilità
e soprattutto offre una garanzia altrimenti impossibile,
ovvero la distribuzione del film nel paese coproduttore.
Questa della visibilità è una questione
fondamentale: aspetti come l’eccessivo localismo
di molte produzioni e la difficoltà del mantenimento
di uno stato di salute delle cinematografie nazionali
nascono proprio dalla difficoltà nel recepire
fondi e dalla progressiva diminuzione delle coproduzioni.
Spesso ci si lamenta del fatto che la fama di molti
nostri brillanti interpreti delle ultime generazioni,
tanto italiani che francesi, sia relegata all’interno
dei confini nazionali e che, una volta portati all’estero,
questi stessi attori non bastino a garantire un buon
riscontro commerciale delle pellicole. Ma come si può
pensare che tutta una generazione di giovani attori
italiani e francesi possano essere conosciuti all’estero
se vengono a mancare proprio le coproduzioni? Lo sforzo
della coproduzione è il punto di partenza fondamentale
per creare un terreno comune. Senza buone coproduzioni
o con le insufficienti coproduzioni attuali come si
può pensare che siano possibili un incontro e
degli scambi fruttuosi tra le nostre culture? La coproduzione
è uno sforzo basato sulla collaborazione e senza
collaborazione lo scambio viene meno.
Un problema che
riguarda tutta l’Europa
Pensiamo al passato, a quando le coproduzioni erano
davvero uno strumento efficace e come tale sfruttato
e riconosciuto: anche solo la presenza di certi nomi
all’interno di una produzione significava un successo
sicuro anche al di fuori dei confini nazionali. Senza
cooperazione tra le nostre due culture i nostri talenti
nazionali, qualora esistano – e io credo che ancora
possano esistere – rimarranno relegati in un ambito
locale. Questo non è un problema che riguarda
solo i rapporti tra Francia e Italia, investe un po’
tutta l’Europa e vale anche per paesi come la
Germania e la Spagna.
Parlando di coproduzioni non posso fare a meno di toccare
un’altra questione spinosa, quella del finanziamento
pubblico ed in particolar modo lo stato dei fondi italiani
per il cinema. Il fondo italiano per la cinematografia
è di per sé esiguo: come se questo non
fosse già abbastanza, in Italia non è
possibile fare affidamento su una cifra annuale più
o meno stabile. Ogni anno, infatti, il budget dei fondi
destinati al cinema da parte dello Stato italiano è
sottoposto a revisioni: in una situazione così
precaria è normale che le commissioni, quando
si tratta di decidere a chi assegnare i soldi del fondo,
tendano a privilegiare le produzioni nazionali, togliendo
risorse ad uno strumento prezioso come le coproduzioni
finanziarie minoritarie. Quello che propongo, con uno
sguardo a lungo termine, è che una parte di questo
fondo venga invece riservata proprio alle coproduzioni
finanziarie minoritarie.
Un’altra questione urgente all’interno del
panorama dei rapporti tra la cinematografia italiana
e quella francese è quella dell’accesso
ai diffusori, ovvero del posizionamento da una parte
del cinema francese sulle televisioni italiane, dall’altra
di quello del cinema italiano sulle televisioni francesi.
Quando incontriamo i responsabili dei palinsesti delle
televisioni francesi, noi stessi produttori francesi
ci sentiamo dire che i nostri sono film da seconda serata
e che se già è difficile riuscire a «piazzare»
le nostre pellicole di produzione interamente nazionale
figurarsi quelle italiane. In poche parole, ci sentiamo
dire che non c’è spazio per questi film
all’interno dei palinsesti televisivi, se non
alle condizioni penose che ben conosciamo. Stando ai
dati in nostro possesso prodotti da uno studio di Unifrance,
su ventinove film italiani trasmessi dalle televisioni
francesi nel corso del 2004, ventiquattro o venticinque
erano pellicole pescate nel repertorio delle emittenti.
Cosa significa questo? Significa che quando cerchiamo
film italiani su canali francesi, troviamo sempre gli
stessi e lo stesso succede in Italia per il film francesi.
In quanto all’accesso ai diffusori, Italia e Francia
soffrono di una malattia comune.
A cosa porta tutto questo? Porta a situazioni come quelle
che mi trovo a vivere io in prima persona: con la mia
casa di produzione, la Pierre Grise, vogliamo coprodurre
il film, senza fare nomi, di un autore italiano molto
stimato sia in Italia che in Francia, un regista che
in passato ha vinto anche tre premi molto importanti,
tra i quali anche Venezia; un autore che, inoltre, è
sempre stato sostenuto finanziariamente. Ebbene, tra
pochi giorni cominciano le riprese e cosa ci sentiamo
dire? Che non ci sono i soldi.
Anzi, ci sentiamo dire che solo a settembre sapremo
se il film potrà accedere ai finanziamenti per
le produzioni di alto interesse culturale: a settembre,
quando le riprese saranno ormai finite. È questo
un altro nodo da sciogliere, la questione dei finanziamenti
ex post. Per fortuna nessuno ancora ci ha tolto Euroimages,
i cui soldi ci permettono e mi permettono di andare
avanti: ma quanto ancora sarà possibile andare
avanti così? Quanto ancora potremo sopravvivere?
Rimboccarsi le maniche
per non soccombere
Penso di nuovo a Il mestiere della armi di
Ermanno Olmi del quale sono coproduttrice: nonostante
il grande successo di critica e il valore che gli è
stato riconosciuto ai festival, visto il fallimento
commerciale in sala non è stato comprato da Canal+
e se Canal+ non lo ha acquistato finora dubito che lo
farà mai.
Quella che deve essere sottolineata è la distanza
tra ciò che vorremmo fosse possibile, i desiderata,
e la pratica reale. I canali televisivi, il servizio
pubblico, hanno degli obblighi: è troppo semplice
trasmettere un film di Fellini o altri classici, riempirci
i palinsesti, senza dare spazio alle produzioni di autori
contemporanei. Tanto più che questi classici
assicurano sempre, anche alla millesima replica –
e lo vediamo dai dati – degli ottimi ascolti e
questo indipendentemente dal loro orario di trasmissione.
Tanto più che attingere al repertorio conviene
alle televisioni anche e soprattutto in termini di spesa
per i diritti di trasmissione visto che superato un
certo numero di repliche il prezzo del film si abbassa
notevolmente. Questi comportamenti che ho elencato finora
non aiutano le coproduzioni e non aiutando le coproduzioni
non aiutano neanche le cinematografie nazionali.
Il produttore italiano De Laurentiis ha lanciato la
proposta provocatoria di risolvere la questione della
presenza del cinema francese nella televisione italiana
acquistando, ad esempio, i dieci migliori incassi delle
rispettive cinematografie: non credo che sia questo
il modo di risolvere la questione.
Lo scenario attuale suscita in me molta preoccupazione
e mi spinge a fare questa riflessione: siamo noi produttori
che dobbiamo fare proposte concrete ai responsabili
dei canali televisivi. È fondamentale che si
parli. Sta a noi distributori, a noi produttori andare
dai responsabili dei canali televisivi e dai responsabili
dell’assegnazione dei fondi. Quel poco di meglio
che c’è in Francia, nasce tutto da questo,
dall’incontro, dalla negoziazione con le istituzioni
pubbliche e private tra noi produttori e distributori
e loro: sta a voi produttori e distributori italiani
andare a bussare alle porte del servizio pubblico e
fare proposte, chiedere di essere ascoltati, domandare
il confronto. È questo quanto di più necessario
per il bene del cinema francese e di quello italiano:
che vengano ripresi i negoziati tra i diversi attori
della filiera. Dovete rimboccarvi le maniche, cugini
italiani: la situazione è drammatica e senza
sforzi reali da parte vostra per portare avanti le vostre
necessità con le istituzioni si rischia solo
di peggiorare.
(Il testo costituisce la trascrizione dell’intervento
presentato al Forum del Cinema Italo-Francese, Roma,
9-10 giugno 2005).
* L’autrice è è presidente
della Pierre Grise Productions.
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