Imre
Oravecz, Settembre, 1972
Edizioni Anfora, pp. 137, €12,00
Il
libro dello scrittore e poeta ungherese Imre Oravecz
è un piccolo scrigno pieno di ricordi e sensazioni.
A cominciare dalla data, che dà nome all’opera
e segna la fine del suo rapporto d’amore, Settembre,
1972, ogni pagina è costellata di numeri,
profumi e luoghi che hanno accompagnato la coppia durante
gli anni della felicità e dell’unione,
della crisi e del rancore. Prologo ed epilogo di un
amore: il primo sguardo, il bacio, il sesso, la dolcezza,
il tradimento, la fine. Il protagonista - abbandonato
da una moglie fedifraga e stanca della monotonia della
vita coniugale - deve sottoporsi ad un vera e propria
cura disintossicante dalla donna che ha amato con tanta
dedizione e posseduto con tanta passione. Quasi fosse
caduto vittima di un incantesimo il protagonista non
riesce a vivere se non pensando a lei: cosa starà
facendo, dove vivrà e con chi, quali luoghi visiterà,
passerà mai sotto casa mia? Una quotidiana tortura
psicologica che giorno dopo giorno risucchierà
il soffio vitale del protagonista e lo trasporterà,
svuotato di ogni interesse ed emozione, in una sorta
di limbo in cui resterà prigioniero diversi mesi
prima di trovare la forza di reagire e tornare alla
vita.
Il libro quindi rappresenta il lungo addio dell’autore
non soltanto verso l’amore, ma più in generale
verso la felicità e la serenità del vivere
quotidiano che, dal quel settembre 1972, hanno cessato
di abitare le mura di casa Oravecz. Imre tenta con disperata
ostinazione di elaborare il proprio “lutto”,
scagliando contro le pagine di un diario tutta la rabbia
e l’amarezza di cui sono fatte le giornate di
un uomo abbandonato. Nonostante la frustrazione di sentirsi
tagliato fuori dalla vita della ex moglie, il protagonista
non demorde e continua a sperare in una riconciliazione
aspettando una visita, una telefonata, una lettera.
Effettivamente, il protagonista ha degli incontri erotici
con la ex moglie dopo la rottura del rapporto d’amore,
ma mentre l’una riesce a condividere il letto
senza particolari traumi, l’altro sprofonda ogni
volta in una depressione peggiore. Non avendo superato
il dolore della separazione ed essendo ancora innamorato,
gli incontri occasionali con la donna non fanno altro
che straziarlo sempre di più. Una confessione
di debolezza, questa del narratore, che, con estrema
lucidità, ammette di non riuscire ad evitare
a se stesso di soffrire, continuando a trascorrere del
tempo con lei per poi stare malissimo.
Le lettere di cui si compone il libro sono il delirante
resoconto di un’anima in pena che vede trascorrere
i giorni, i mesi e addirittura gli anni, senza riuscire
a distaccarsi dal ricordo di un amore. Mano a mano che
il tempo passa, condivide periodi della propria vita
con altre donne, si dedica all’educazione dei
figli (il primo dei quali è il frutto del loro
amore), continua la carriera di scrittore, eppure la
sua mente torna spesso lì, dove il suo cuore
non ha mai smesso di abitare.
A distanza di parecchi anni, una volta superata la
crisi ossessiva dell’autore nei confronti del
suo grande amore, Oravecz decide di tirar fuori dal
cassetto il diario ed elaborarne il contenuto: “lo
scrittore che era in me concluse l’opera che la
sofferenza aveva iniziato”, si legge nella prefazione
al libro. Ne è venuta fuori una raccolta di 92
brevi lettere scritte in prima persona, idealmente destinate
alla donna amata. Lettere e annotazioni che, data la
materia di cui trattano, sono immediatamente riconoscibili
per il lettore che le scorre. E’ anche per questo
che Oravecz ha pubblicato la sua sofferenza, sapeva
bene che sarebbe stata universalmente compresa e partecipata:
“era già come se non fossi io, ma qualcun
altro, che tuttavia era me, il protagonista di una storia
eterna, raccontata fino alla noia, che era ancora mia,
ma ormai anche di altri…”.
La storia eterna cui accenna lo scrittore è
un’arma a doppio taglio alla quale nessuno si
sottrae, la trappola d’amore in cui cadono un
uomo e una donna senza sapere come andrà a finire
tra loro, se ci sarà da soffrire e, nel caso,
chi dei due patirà maggiormente. Non è
facile per uno scrittore cimentarsi con un sentimento
così intimo e allo stesso tempo tanto condivisibile
come l’amore, si corre continuamente il rischio
di annoiare il lettore invece di emozionarlo, o peggio,
di risultare semplicemente banale.
Le parole di Imre Oravecz non annoiano e non stancano
il lettore, al contrario lo coinvolgono in un percorso
che, più o meno lontanamente, gli suona familiare.
Il dolore è parte integrante dell’esistenza
di ognuno così come il piacere. Oravicz racconta
la sua storia e quella storia è già la
nostra vita.
La testardaggine con la quale tentiamo di tenere aperta
una porta chiusa, l’umiliazione nella quale ci
tuffiamo più e più volte prima di capire
e arrenderci all’evidenza dei fatti, la rabbia
e l’impotenza che sentiamo crescere dentro di
noi quando tutto finisce per volontà dell’altro…
è la storia eterna e tragica dell’amore
che come prologo, sembra avvisarci Oravecz, avrà
sempre per protagonista una coppia di innamorati.
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