283 - agosto 2005


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Dritti all’anima
delle cose

Francesco Roat



Milan Kundera, Il sipario,
Adelphi, pp. 183, € 15,00


Perché il romanzo? In estrema sintesi, questo potrebbe essere l’interrogativo che si pone, ci pone e a cui cerca di rispondere Kundera nel suo saggio Il sipario. E citando Hermann Broch, egli suggerisce al lettore una plausibile risposta: per lo scopo cui tende o dovrebbe tendere ogni romanzo, ossia l’“andare all’anima delle cose”. Ma ciò non vale forse anche per la poesia? Sì, afferma Kundera, ma la prosa si riferisce, ben più del verso, alle peculiarità concrete, corporee, ordinarie dell’esistere. Prosaiche, appunto, e magari prive di lirismo o pathos, tuttavia non per questo meno degne d’attenzione. Così per il Nostro la forma o il genere romanzesco si distingue dalle altre modalità artistico-espressive per il suo essere caratterizzato dalla narrazione “della vita umana” anche nei suoi aspetti più futili ed insignificanti. Anzi lo stemma araldico del romanzo – da Cervantes a Rushdie – potrebbe recare come motto la pietas per ciò che è perituro e/o quotidiano, la rievocazione dell’attimo fuggente senza la presunzione di preservarlo, peggio ancora, di eternizzarlo.

Romanzo quindi è in primis storia (però con la esse minuscola), e forse è bene che con quella con la esse maiuscola solo lateralmente abbia a che fare, in quanto uno scrittore non dovrebbe assurgere a illustratore di un’epoca, censore di una società e men che meno a difensore di un’ideologia. Certo, il romanziere resta inevitabilmente figlio del suo tempo, di cui volente o nolente è espressione; ma una cosa è il contesto culturale (spazio-temporale) da cui nessuno può mai prescindere, altra è snaturare la narrazione trasmutandola in sociologia. Dice bene a tale proposito Kundera: il romanzo non giudica, né proclama verità. Siamo d’accordo: il suo ambito non sta nel fornire dati oggettivi o verificabili. La sua parola non è il logos di filosofia e scienza.
Non c’è dunque spazio per la riflessione nel romanzo, specie in quello moderno/contemporaneo? Ovvio vi sia, solo che piuttosto assume la valenza dell’interrogazione, della provocazione, dell’ironia, del dubbio e, perché no, dello stupore nei confronti della commedia umana per dirla con Balzac e di quel caleidoscopico teatro sui cui scenari essa si svolge, ovvero il mondo.

Narrazione, allora, o anche digressione e rinuncia al dispotismo della story (a questo proposito il Tristam Shandy di Sterne fa scuola); infischiandosene alla grande del realismo, soprattutto da Kafka in poi. Anche se, a detta di Kundera, è lo humour (assai poco praticato dal grande scrittore praghese) a costituire uno dei tratti significativi del narrare proprio della modernità. Un’ironia che si contrappone al patetismo e al lirismo che, secondo il Nostro, costituiscono i vizi capitali del romanzo che mai ha da scadere nei piagnistei dell’autoreferenzialità narcisistico-diaristica.

La scrittura narrativa non dovrebbe essere catarsi, terapia psicologica, sfogo o sgravio di nevrosi: un piangersi addosso mirando solo al proprio ombelico. Lo sguardo del romanzo, ben oltre il mero orizzonte limitato del singolo io, ha da divenire osservatorio sull’umano, panorama dell’esistere, viaggio attraverso secoli e continenti. E un itinerario da Rabelais a Gombrowicz, dal Chisciotte all’Uomo senza qualità, passando per innumerevoli autori e testi, fra citazioni e chiose argute, è giusto quanto compie Kundera in questo suo libro, che è poi una dichiarazione d’amore per la narrativa e un omaggio ai romanzieri più amati: da Goethe a Proust, Broch, Musil, solo per fare qualche nome.
Per un approccio anticonformista e disincantato alla realtà, giacché un autentico scrittore sa lacerare per noi il “sipario della preinterpretazione”, come seppe fare a suo tempo Cervantes. Infatti: “Un sipario magico, intessuto di leggende, era sospeso davanti al mondo. Cervantes mandò don Chisciotte in viaggio e strappò quel sipario. Il mondo si aprì davanti al cavaliere errante in tutta la comica nudità della sua prosa”. E non fu più mito, epica o poesia eroica, ma soltanto romanzo.

 

 

 

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