Milán
Füst, Il Cicisbeo e altri racconti
Edizioni Anfora, pp. 178, € 13,60
“La
vecchiaia è come una città morta che conserva
ancora tutti i suoi edifici, ma non c’è
più nessuno che canti alle finestre…”
Tra i massimi esponenti della letteratura ungherese
di tutti i tempi, Milán Füst (nato nel 1888
e scomparso nel 1967) torna nelle librerie italiane
con un volumetto del quale dobbiamo essere grati alla
piccola casa editrice milanese Anfora, che si dedica
alla letteratura e alla cultura dell’Europa centrale.
Il libro si compone di due romanzi brevi, il Cicisbeo
(del 1945) e Il piatto d’oro (1920) e
una novella, Ricordo di Amine, del 1933. Tutta
l’opera di Füst guarda ai misteri e alle
passioni dell’animo umano, ai rapporti tra l’uomo
e la donna e all’indagine ironica e smaliziata
del deteriorarsi fisico e spirituale degli uomini di
mezza età.
Il romanzo che apre il volume, Il Cicisbeo,
ha per protagonista un marito geloso che intende appurare
a tutti i costi la fedeltà della giovane moglie.
Il racconto inizia con una lettera indirizzata a un
amico sconosciuto, nella quale il maestro Alessandro
Démoué si sfoga e si rammarica della sua
condizione di uomo maturo, in contrapposizione alla
fresca giovinezza della moglie Fiammetta. “Non
hai idea di che cosa terribile sia invecchiare”,
scrive all’amico, preoccupandosi del fatto che
la sua donna abbia scelto, quale Cavalier servente,
un giovane bello e biondo “come San Giorgio a
cavallo”. Sentendosi già tradito nel fisico
e nell’animo, il maestro mette a punto tutta una
serie di astuzie per far in modo di sorprendere al momento
giusto Fiammetta insieme al Cicisbeo. Olia le porte
delle stanze di tutta la casa, in modo che possa aprirle
di soppiatto in piena notte e spiare nelle camere senza
problemi, calza sempre un paio di pantofole silenziose,
grazie alle quali può girovagare in ogni angolo
della casa senza far rumore. Certo di essere stato tradito,
incapperà in una sorpresa che lo sconvolgerà
molto di più di una prova di tradimento. A volte,
suggerisce Füst, sarebbe molto meglio non sapere.
Il secondo romanzo, Il piatto d’oro,
è la storia del miliardario americano S. che
un giorno, a bordo del proprio yacht, decide di confidare
ad un conoscente la storia di un suo sofferto amore
di gioventù. Torniamo indietro nel tempo e conosciamo
S. ragazzo, studente ad Oxford, che trascorre il suo
tempo libero nella regione montana di M., sempre in
Gran Bretagna. Passeggiando senza meta lungo una strada
di campagna fa la conoscenza di una ragazza del luogo,
è timida e impacciata, ma una strana caparbietà
brilla nei suoi occhi: “… ha l’incertezza
di un giorno d’aprile”, chiosa alla perfezione
Milán Füst, parafrasando Shakespeare. Questa
ragazza diviene ben presto la dolce ossessione di S.,
che ha grandi progetti per la loro vita futura. Per
ufficializzare il fidanzamento incontra il padre di
lei e intesse felice una relazione con la ragazza. Non
è però del tutto sincero con lei e la
sua famiglia, non rivela di essere un ragazzo ricco,
al contrario, si finge povero come loro e, senza volerlo,
mette alla prova la sincerità di lei. Ne avrà
in cambio un’amara sorpresa. La giovinezza è
splendida, si legge tra le righe, ma spesso è
anche terribilmente ingenua.
La novella che conclude il volume, Ricordo di Amine,
narra la vicenda di un arido proprietario terriero,
convinto di poter amare solo se stesso. Maschilista
ed egocentrico, lascia la moglie e i figli in campagna
per andare a Budapest, dove solitamente si reca per
giocare forti somme di denaro a carte. Dopo aver perso
tutti i suoi soldi al tavolo verde, conosce occasionalmente
una donna misteriosa di cui si innamora perdutamente.
Lei gli si concede una notte e poi i due si perdono
di vista. Il protagonista torna alla sua vita di campagna,
finché, ancora scottato dalla breve esperienza
amorosa con la donna misteriosa, decide di tornare a
Budapest e provare a rintracciarla nello stesso albergo
in cui avevano consumato il loro amore. Non troverà
l’amante in carne ed ossa, ma uno strano dono
da parte della donna sarà lì ad aspettarlo.
Ancora una volta, il vizio e la virtù si fronteggeranno
ad armi pari, come sempre accade nelle opere di Milán
Füst.
Queste tre storie rappresentano in maniera perfetta
lo stile dell’autore. Milán Füst è
poeta ed esteta, oltre che narratore. In ogni sua opera
non è in primo piano l’azione, il movimento
che interessa Füst non è infatti quello
dei corpi nello spazio, quanto piuttosto il moto dell’anima
e il modo in cui questo si palesa. La prosa di Milán
Füst è intrisa di poesia e ironia,
nei tre romanzi de Il Cicisbeo e altri racconti,
viene esaltata la capacità di narrare la vita
attraverso i minimi accadimenti, i quali divengono miracolosi
e straordinari grazie al talento dello scrittore.
Ogni racconto è una pillola di saggezza di cui
lo scrittore fa dono al lettore, pillole sull’amore
e il modo in cui si scatena la scintilla passionale
tra uomini e donne, la gelosia e il tradimento, l’egoismo
e l’avidità umana. Il modo in cui Milán
Füst rende manifesta la sua visione degli uomini
e del loro agire è attraverso il contrasto. Il
marito anziano ha paura di essere tradito dalla giovane
moglie e scade nel patetico e nel ridicolo pur di scoprire
la verità sulla condotta della consorte; il rampollo
di buona famiglia perde la testa per la povera fanciulla
e, non volendo, mette alla prova la sincerità
di lei uscendone sconfitto; il marito annoiato preferisce
una misteriosa donna fatale alla moglie ordinaria, ma,
passata la tempesta amorosa, tornerà alla sua
vita di sempre. Non c’è tipo umano che
l’autore non abbia almeno sfiorato, se non profondamente
analizzato, nel corso della sua carriera letteraria.
Come fossero su un grande palcoscenico, ecco allora
sfilare le maschere allegre o torve create dall’autore:
l’anziano orgoglioso e geloso, la donna fragile
e seducente, la ragazza povera e determinata, il giovane
dal cuore puro, la moglie scontrosa e petulante e così
via, in un eterno gioco di rimandi tra universi opposti
che non avrà termine finché un uomo e
una donna incroceranno il loro sguardo.
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