Questo articolo
è stato pubblicato sul quotidiano L'Unità.
Il Consiglio europeo, sotto la presidenza del primo
ministro lussemburghese Jean-Claude Junker, nella riunione
del 16 e 17 giugno il bilancio 2007-2013. I governi
che compongono il Consiglio non hanno trovato l’accordo.
L’evento è più dannoso dell’esito
negativo dei due referendum francese e olandese alla
ratifica del trattato sulla Costituzione europea. Il
progetto europeo subisce un brusco arresto. Ci vorrà
una classe politica di grande spessore per superare
questo impasse. Cercherò di contribuire a fare
chiarezza su una questione complessa e ad esporre alcune
convinzioni.
1. Quale Europa si vuole costruire.
La bocciatura del bilancio europeo da parte di Gran
Bretagna e Olanda ha messo in evidenza che si sono radicate
due visioni diverse dell’Europa. Una è
propria della Gran Bretagna che vede l’Europa
come un’area di libero scambio in cui viene conservato
il mercato unico e rafforzati gli istituti di garanzia
delle libertà economiche. L’altra visione
è quella dell’asse franco-tedesco che tende
a fare dell’Europa un’unità politica,
che manifesti solidarietà tra gli stati membri.
I francesi che hanno votato no perché volevano
più Europa sociale hanno ottenuto un risultato
opposto. Infatti in questo momento l’asse franco-tedesco
è in crisi ed è politicamente più
forte l’opzione inglese.
2. Chi governa le istituzioni europee.
Per lungo tempo hanno convissuto due visioni. La prima
vedeva l’UE come l’Europa degli Stati, vedeva
nel Consiglio dei ministri il centro del potere e vedeva
nella Commissione solo un organo tecnico che doveva
far rispettare i Trattati. La seconda vedeva la UE come
un processo che andava muovendo verso una sorta di stato
federale, dove la Commissione fungeva da governo dell’Unione.
Questa con il tempo avrebbe dovuto assumere un potere
crescente, legittimato sempre più in modo diretto
dal Parlamento europeo. La prima visone continuava a
richiede l’unanimità di tutti i governi
su tutte le decisioni importanti, la seconda prevedeva
invece spazi sempre più ampi per decisioni prese
a maggioranza (parzialmente ponderate con il peso delle
popolazioni).
3. Europa soggetto politico.
Due diverse concezioni di Europa hanno convissuto in
tema di politica estera e di difesa. La crisi irachena
ha messo a nudo che l’Europa non era in grado
non dico di perseguire, ma neanche di formulare una
politica estera comune, soprattutto quando si trattava
di prendere una posizione autonoma rispetto agli Stati
Uniti. La Gran Bretagna ha seguito una politica di relazioni
preferenziali con gli Stati Uniti, la Francia di mini
super potenza, la Germania di non intervento militare,
l’Italia di ambiguità e così via.
4. L’allargamento.
Si è pensato che sarebbe stato possibile allargare
l’Unione Europea prima di approfondirne le istituzioni,
o meglio prima di far emergere in un chiaro confronto
politico quale delle due visioni prima sommariamente
esposte sarebbe stata quella sulla quale si sarebbe
basata il futuro della Ue. E’ stato un errore.
Si noti che è stato un errore non perché
i nuovi aderenti siano paesi meno europeisti degli altri.
(Lo dimostra il fatto che il primo ministro polacco,
Marek Belka, durante il Consiglio ha proposto, seguito
poi dai rappresentanti dei governi, ungherese, ceco
e sloveno, di rinunciare a parte dei benefici che sarebbero
derivati al suo paese dall’allargamento, pur di
contribuire al raggiungimento di un accordo di tutti
i paesi sul bilancio, accordo che Gran Bretagna e Olanda
hanno comunque rifiutato). E’ stato un errore
invece sia perché molti dei no ai referendum
sulla costituzione avevano come motivazione la paura
dell’allargamento alla Turchia e a paesi che presentavano
un’ampia offerta di lavoro a buon mercato, sia
perché la bocciatura del bilancio è stata
provocata da quei paesi che non volevano sostenere l’onere
finanziario che l’allargamento comportava. Si
sarebbe dovuto prima rafforzare un nocciolo duro di
paesi che erano uniti dalla stessa idea di Europa e
poi allargare quell’Europa a chi condivideva il
progetto. Se la Gran Bretagna fosse stata esclusa dal
nocciolo duro e avesse partecipato solo ad una Unione
più ampia e meno coesa sarebbe stato un problema
molto più facilmente affrontabile di quello nel
quale si trova oggi l’Europa.
5. I nodi del bilancio e la Pac.
Ogni paese ottiene dall’Unione un beneficio dai
vari capitoli di spesa: agricoltura, aree depresse eccetera.
La politica agricola comune, Pac, fu introdotta nel
1962 come primo accordo franco-tedesco: i francesi accettavano
le importazioni senza dazi dei manufatti tedeschi e
i tedeschi finanziavano la modernizzazione dell’agricoltura
dei francesi. Ancora oggi il 43% del bilancio comunitario
è speso per la Pac e la Francia è ancora
la maggiore beneficiaria. Gli inglesi hanno sempre contestato
il meccanismo della Pac, per i britannici era meglio
sovvenzionare i redditi dei contadini e non sostenere
i prezzi di (alcuni) prodotti agricoli. Quando aderirono
alla UE la signora Thatcher ottenne uno sconto, di circa
4 miliardi, su quanto l’Uk doveva contribuire
all’Unione perché gli inglesi non traevano
vantaggio dalla Pac. Il negoziato sul bilancio si è
infranto settimana scorsa sullo sconto britannico che
avrebbe superato i 7 miliardi con l’allargamento
della UE. Blair era disposto a ridiscuterlo solo se
si metteva in discussione anche la Pac e si fossero
spostate le spese dall’agricoltura alla ricerca.
A queste difficoltà vanno aggiunte anche quelle
sulla misura del contributo dei paesi al bilancio dell’Unione,
che la Commissione avrebbe voluto raggiungesse il 1,24%
del Pil di ogni paese, la presidenza lussemburghese
fosse limitato all’1,06%, mentre i paesi alleati
della Gran Bretagna non eccedesse l’1%. E’
evidente la natura politica dello scontro. Infatti dal
punto di vista logico gli inglesi hanno ragione a mettere
in discussione la Pac, ma le cose non potevano non avvenir
per gradi e i francesi si erano detti disponibili a
veder ridotto in modo consistente il bilancio della
Pac stessa, ma questo non è stato sufficiente.
L’Inghilterra voleva ottenere una sorta di Waterloo
che partendo dal bilancio della Ue mandasse in frantumi
l’asse franco-tedesco.
6. I referendum di ratifica della costituzione
europea.
Con la Costituzione europea si è tentato di eludere
questi nodi politici, ma purtroppo due paesi hanno votato
no al referendum. All’interno di quei no si ritrovano
delle posizioni inaccettabili, le posizioni antieuropeiste
che desiderano più nazione e più barriere,
ma si ritrovano anche delle posizioni molto europeiste,
che chiedevano più e non meno governo europeo.
La Costituzione che è stata sottoposta a referendum
sul terreno delle riforme delle istituzioni economiche
non era nulla di più che l’insieme dei
Trattati i quali andavano bene forse per dar vita alla
moneta unica, ma che non vanno bene per gestire un’area
grande come gli Stati Uniti.
7. Moneta unica e riforme della politica economica.
La UE richiede un di più di politica, non solo
in termini di difesa e politica estera, ma anche in
termini di istituzioni economiche. La bozza di Costituzione
europea non prevede a fianco di un’autorità
monetaria unica un’autorità di bilancio
unica. L’Europa dell’Euro ha invece bisogno
di una politica economica che sia frutto di un DPEF
votato dal Parlamento europeo. In questo bilancio europeo
ci dovrebbe essere, come vogliono gli inglesi, molto
meno spazio per anacronistiche difese degli agricoltori
e molto più spazio per politiche sociali e di
investimenti in educazione e infrastrutture. Questa
politica economica europea tuttavia, a differenza di
ciò che vogliono gli inglesi, dovrebbe:
a. avere un bilancio che non sia limitato
all’1% del Pil dei paesi membri;
b. non essere vincolata dal pareggio
di bilancio;
c. poter realizzare una politica di
investimenti potendo fare ricorso al mercato dei capitali;
d. poter uniformare le politiche fiscali
(almeno nelle basi imponibili) dei vari paesi, in modo
che i principi di progressività siano rispettati;
e. poter realizzare una politica della
domanda autonoma che non dipenda dalla locomotiva americana.
8. Una linea politica per la sinistra europea.
Gli eventi recenti come la vittoria anglo-olandese rispetto
all’asse franco-tedesco in tema di bilancio, i
risultati negativi dei referendum sulla Costituzione,
la futura presidenza dell’Unione in capo al primo
ministro britannico, tutto ciò sembrerebbe suggerire
un abbandono delle posizioni più federaliste.
Questo sarebbe un errore. Se la sinistra europea continentale
riuscisse invece a darsi un obiettivo politico comune
di un’Europa federale, si potrebbe intravedere
la possibilità di fuoriuscire dall’attuale
impasse con accordi di cooperazione rafforzata tra paesi
che diano luogo non solo sul terreno della politica
estera e di difesa, ma anche sul terreno economico ad
istituzioni che possano realizzare delle politiche economiche
federali. Passi avanti sono ancora possibili, dovrebbero
avvenire su un terreno politico più partecipato,
sulla base di un’assemblea costituente elettiva
– che è ciò che aveva in mente Spinelli.
In quella tenzone politica si presenterebbero partiti
più o meno europeisti e io credo che i più
europeisti avrebbero un seguito maggioritario purché
prospettino ai cittadini un’Europa a loro più
vicina e governata da istituzioni delle quali si sentano
più partecipi.
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