Nel 1999 Paul Ricoeur riceveva il Premio
Balzan per la filosofia con questa motivazione:
“Per aver saputo raccogliere in unità
tutti i temi e i suggerimenti più importanti
della filosofia del Novecento, e rielaborarli in una
sintesi originale, che fa del linguaggio - in particolare
poetico-metaforico - il luogo della rivelazione di
una realtà non manipolabile da noi, bensì
interpretabile in modi diversi e tuttavia coerenti.
Attraverso la metafora il linguaggio attinge quella
verità che fa di noi ciò che siamo,
nella profondità del nostro essere”.
Quello che segue è il discorso tenuto a Berna
dal filosofo francese in occasione della consegna
del premio.
Signora Presidente della Confederazione svizzera,
Signore e Signori,
Vorrei innanzitutto dirvi quanto mi sento onorato,
e quanta gioia ho provato nell’apprendere di
essere stato designato vincitore del Premio Balzan
per la filosofia.
Per esprimere la mia gratitudine, permettetemi di
dire qualche parola sul ruolo che attribuisco alla
filosofia nella nostra cultura. Non è forse
proprio la filosofia che viene onorata nella mia persona?
Il filosofo ha innanzitutto la responsabilità
di conservare e trasmettere l’immenso patrimonio
che la storia della filosofia ci ha tramandato fin
dai presocratici oltre 2500 anni fa. Questo retaggio
non deve essere considerato come una zavorra, un peso
morto, ma come un tessuto vivente di quesiti e di
dottrine. Questo primo compito della filosofia ha
come scopo profondo quello di mantenere sempre sveglia
la capacità di stupirsi. È nelle questioni
che esulano dal discorso quotidiano che la filosofia
ritrova nel suo immenso passato il gusto e il senso
di ciò che c’è di grave e di fondamentale
nel nostro essere.
In secondo luogo, la filosofia deve restare aperta
alle scienze e allo spirito scientifico. È,
questo, l’aspetto epistemologico del suo compito.
Mi sembra che le relazioni con le scienze si sviluppino
su due piani diversi. A un primo livello, la filosofia
si interessa alle procedure obiettive tramite le quali
la scienza verifica i suoi modelli. La grande lezione
impartita dalle scienze esatte alla filosofia è
quella di aggiungere ad ogni creazione ed invenzione
la prova della verifica, la prova del reale. Non si
tratta allora soltanto dei risultati proposti dalle
scienze, ma talvolta di una visione del mondo, come
quelle elaborate da studiosi quali Galileo, Newton,
Einstein. La filosofia è, quindi, chiamata
a confrontare il suo discorso tradizionale con le
visioni del mondo che la scienza ha elaborato. Ma
la filosofia deve anche considerare l’attività
scientifica come una delle numerose attività
pratiche. Bisogna imparare, a questo secondo livello,
a decifrare il dinamismo delle scoperte scientifiche
attraverso le loro innovazioni, le loro perplessità,
e anche le loro polemiche. A questo proposito, resta
senza risposta la domanda: dove sta andando la scienza?
Essa scopre il suo cammino man mano che lo traccia.
Bisogna, allora, saper articolare questa pratica teorica
insieme con le altre attività teoriche e pratiche
che si collocano al di fuori del settore scientifico:
nel settore morale, politico, giuridico, ma anche
in quello delle lettere e delle arti. Il grande accordo
va dunque cercato al livello del linguaggio e dei
suoi molteplici usi. Ed è proprio nei punti
d’intersezione fra questi usi molteplici del
linguaggio, che si riesce a percepire l’orizzonte
del senso, sul quale si stagliano a grande distanza
le possenti idee del Vero, del Giusto, del Bello,
alla cui luce si proietta l’umanità dell’uomo.
In terzo luogo, la filosofia si scopre essa stessa
una pratica teorica, il più delle volte legata
all’esercizio pubblico del discorso nell’ambito
dell’insegnamento universitario, o nel settore
più vasto del mondo dell’editoria. Sotto
questi vari aspetti ha il compito di esercitare una
riflessione disinteressata sulla dimensione morale
dell’azione. Questa riflessione viene attuata
a più livelli, dalle speculazioni sul bene
e il male, all’obbligo morale e ai divieti,
fino alle applicazioni concrete in settori tanto precisi
quali l’etica medica, la giustizia penale o
la decisione politica. La riflessione morale si muove,
quindi, in uno spazio molto vasto, dall’etica
fondamentale alla saggezza pratica. È questa
l’occasione per il filosofo di considerare se
stesso come un cittadino che si interroga su che posto
occupi la filosofia, e sul proprio ruolo nella società.
La sua responsabilità principale è quella
di salvaguardare la qualità della discussione
nell’ambito pubblico, insistendo continuamente
a favore di un’etica della discussione che riconosca
e tuteli il diritto della parte avversa di far sentire
i suoi argomenti migliori. A questo proposito, i filosofi
devono considerare conclusa l’epoca in cui alcuni
di loro potevano assurgere a tribuni del popolo. Oggi
il ruolo dei filosofi sembra più modesto ma
può essere più significativo: ritrovano
il loro posto nelle équipe pluridisciplinari,
dove il contributo della filosofia è quello
di suscitare il rigore nell’argomentazione e
l’onestà intellettuale.
Se dovessi raggruppare questi tre compiti della filosofia,
li metterei su un grande arco. A un’estremità
collocherei il pensiero speculativo, retaggio di una
lunga tradizione, nato in Grecia e nel Medio Oriente
mesopotamico ed ebraico, e giunto fino a noi attraverso
gli scambi e i conflitti fra pensatori ebrei, cristiani
e musulmani del Medioevo, poi l’epoca classica
inaugurata da Cartesio e Locke, poi l’illuminismo
europeo e il grande idealismo tedesco assieme alla
sua controparte romantica. All’altra estremità
dell’arco collocherei la saggezza pratica e
i suoi consigli in situazioni d’incertezza.
Fra questi due poli – quello della speculazione
e quello della prudenza – si situa la riflessione
sulla scienza ai suoi due livelli: epistemologico
e pragmatico. È il giusto equilibrio fra questi
compiti che può assicurare alla filosofia un
futuro degno del suo passato plurimillenario.
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