Corinne
Maier
Buongiorno pigrizia
Bompiani, 2005
pp. 158, € 9,90
Il lavoro nobilita l’uomo? Forse un tempo, ma
oggi siamo stanchi. Nell’era della “religione
d’impresa” e del giogo capitalista volti
a “disumanizzare” le masse impiegatizie,
dalla Francia arriva la moda della pigrizia, un’arte
da sperimentare al più presto per accelerare
il crollo del sistema aziendale imperante. È
il consiglio di Corinne Maier, economista e scrittrice
parigina, lavoratrice part-time per la EDF (Electricité
de France) e autrice del fortunatissimo best seller
Bonjour paresse (Buongiorno pigrizia).
Dopo aver venduto trecentomila copie e svettato le classifiche
francesi, il manualetto della Maier è in corso
di traduzione in più di venti paesi, compresi
i templi asiatici della produttività, e da poco
è uscito in Italia per Bompiani.
Colletti bianchi di tutto il mondo unitevi, l’azienda
per cui lavorate vi racconta baggianate, smontiamole
insieme. Voi non siete che pedine e in questo grande
gioco è soprattutto l’azienda a divertirsi.
L’inno alla pigrizia della Maier, sulla scia del
clamore venuto dai cugini d’oltralpe, ha catturando
anche i lettori italiani. Certo bisogna pur guadagnarsi
da vivere, ma il consiglio della Maier è proprio
questo, non farsi fregare, anzi senza perdere il proprio
posto di lavoro imparare a sfruttare l’azienda
sviluppando un “disimpegno attivo”. Perché
dare anima e corpo all’impresa accettando di ricoprire
mansioni di responsabilità, se poi ci si ritrova
semplicemente con «un mucchio di lavoro in più
sulle spalle e solo un pugno di noccioline in busta
paga»? Meglio defilarsi, fingere di lavorare,
senza dare nell’occhio, partecipando il meno possibile.
«Ho scritto questo libro per divertirmi e per
denunciare attraverso lo humour e l’ironia
quegli aspetti del sistema delle grandi imprese, sia
pubbliche che private, che mi sembrano assurdi»,
spiega l’autrice, offrendoci questo scanzonato
ritratto della nostra epoca. «Il successo di Bonjour
paresse è un segno dei tempi», ha
fatto giustamente notare Michel Maric, economista e
ricercatore universitario a Parigi. È un libro
sui sentimenti di chi soffre sul lavoro, di chi a sue
spese si è scontrato con il sistema imperante
senza mai riuscire a comprenderlo, ricevendo solo ordini
e inni alla dedizione. Ed è anche per quest’amarezza
diffusa in molti impiegati che hanno scoperto di essere
manipolati e ingannati dall’impresa, che il manualetto
della Maier ha raccolto tanto successo, ha commentato
Eric Albert, psichiatra e fondatore dell’Ifas
- Institut français d’action sur le stress.
Risale già agli anni Venti dello scorso secolo
l’Elogio della pigrizia del grande matematico
Bertrand Russell, che aveva teorizzato l’ozio
come valore alto per l’uomo, prefigurando la possibilità
di non lavorare ma di essere mantenuti dallo Stato con
un reddito minimo sociale: un’utopia collettiva
finalizzata a un socialismo umanitario antindustrialista.
Quella della Maier è invece un’utopia tutta
individuale, dove il singolo rinuncia a cambiare la
società, battaglia persa in partenza, per salvarsi
personalmente sfruttando le contraddizioni del sistema.
La logica delle grandi imprese succhia la vita delle
persone, soprattutto dei quadri intermedi, senza dar
nulla in cambio se non il fascino dell’omologazione,
del sentirsi “in” semplicemente acquistando
gli status symbol imposti dalla società.
Per poi magari essere espulsi all’arrivo del primo
miglior offerente. L’azienda, scrive la Maier,
cerca sempre nuovi giovani da educare alla religione
d’impresa, cercando di disfarsi dei cinquantenni,
uomini finiti, un’età invece in cui si
comincia ad essere importanti nella politica e nella
cultura. «Per i direttori delle risorse umane,
Dostoevskij e Cézanne sarebbero da buttare»,
scherza l’autrice.
Dunque Corinne Maier ci illumina su come “vendersi”
bene in ufficio, adottando alla lettera il gergo aziendale
dominante e riuscendo, tra decine di riunioni inutili,
documenti incomprensibili redatti per impegnare il tempo
e altri riti altamente improduttivi, a sopravvivere
facendo finta di lavorare. In sei agili capitoli, l’autrice
mette alla berlina soprattutto i meccanismi gerarchici
e la neolingua aziendale parlata ormai in tutto il pianeta,
fondata su alcune banali ma efficaci regole: complicare
ciò che può essere semplice, selezionare
il proprio lessico per darsi più importanza e
comunicare per ottenere un preciso effetto. Tra le pagine
si sogghigna riconoscendo un mondo purtroppo noto a
molti, fatto di funzioni inutili, poteri indiscutibili
e carriere inspiegabili. Ma si tira anche un sospiro
di sollievo concordando con l’atto di coraggio
suggerito dalla Maier, «forse l’ultimo alla
portata di noi naufraghi della Storia»: affrettare
la caduta del capitalismo riscoprendo la bontà
dell’otium, intramontabile mito latino.
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