Guillame
Prébois
Il mio Danubio
Ediciclo Editore
Pag. 142 Euro 13,00
La lettura de Il mio Danubio di Guillame Prébois,
dà una sensazione di fresca libertà, come
un lungo respiro d’aria rarefatta.
E’ il racconto d’un viaggio in bicicletta
costeggiando il Danubio, unico fiume europeo che scorre
orizzontalmente. Un viaggio verso l’oriente, alle
porte della Turchia, in quella parte estrema d’Europa,
braccio teso a levante. Un viaggio che raccoglie culture,
panorami, musiche, lingue diversi in un continente che
si apre su due mondi.
Prébois parte dalla Foresta Nera, luogo d’origine
del Danubio nella regione di Baden-Wurttemberg la parte
teutonica del corso d’acqua; prima tappa da Donaueschingen
a Ulm fino in Austria. Qui il Donau è armonioso,
cristallino, è il fiume di Goethe, della Canzone
dei Nibelunghi, dell’Europa federale che ha eliminato
le dogane, del turismo nella regione di Wachau, densa
di abbazie, vigneti e campi fertili. L’autore
ne è affascinato, certo, ma è in direzione
di Bratislava che i sentimenti si rafforzano, “queste
terre di confine senz’anima – scrive Prébois
- queste vaste pianure boschive tra l’Austria
e l’ex Cecoslovacchia ispirano malinconia e tristezza.
Furono per molto tempo un archetipo dell’altra
Europa”.
Il Danubio ora ha un nome rigido, chiuso, Dunaj, e
la gente solleva sospetti sulla nuova Europa dell’euro,
su una prosperità tanto agognata ma forse irraggiungibile,
“un’Europa alla rovescia”. Il viaggio
verso l’oriente è colmo di solitudine,
attraversa paesaggi agricoli e città barocche
e tristi come Budapest, pianure desolate come la Puszta;
un mondo quasi metafisico, surreale, che fa venire in
mente le “tele di Giorgio De Chirico”. Qui
il Danubio ha ceduto la sua connotazione culturale e
turistica, perdendosi nel territorio, divenendone parte
quasi marginale.
Passaggio in Serbia-Montenegro, alla dogana di Tovarnik.
Luoghi assenti di vita e colmi di una drammaticità
ancora recente. Qui il ricordo della guerra è
vivo, brucia nelle campagne di vigneti e di mais. “Il
Danubio mi sembra lontano – racconta Prébois
– è abbandonato alla sua sorte, le sue
rive sono dimenticate, a volte disseminate di detriti.
Trascurate. Il Dunav serbo è un’entità
straniera e inutile qui, in Vojvodina, dove è
venerato solo il dio della terra”. E le donne
serbe sono misteriose seduttrici dalla chioma nera e
setosa all’occhio dell’autore, che pedala
nel ricordo dei bianchi e generosi corpi tedeschi, dei
sorrisi austriaci, della bellezza ungherese così
riservata, e delle gambe lunghe e belle delle donne
croate. Belgrado, una città quasi turca, è
avida del tempo perduto, vive la notte come il giorno,
esasperata. Un dedalo di confini, un intreccio di popoli:
la Serbia e la Romania si toccano quasi; sull’altra
riva c’è il Dunarea ora, la porta d’accesso
tra l’Europa e l’Oriente, teatro di battaglie
antiche tra tartari e turchi. E in Bulgaria il Danubio
ritrova la sua anima poetica, in uno “stile di
vita rimasto ancestrale, lontano dallo stress, la malattia
inventata dall’uomo post-moderno”.
Tra le selvagge campagne bulgare, il Danubio verde e
triste riscatta la sua anima romantica e ridiventa protagonista
del territorio; finalmente, dopo tanto abbandono in
Serbia.
Sono tre settimane di viaggio ormai e il corpo è
stanco, la schiena indolenzita ma, “viaggiare
a est significa migrare controcorrente, ricercare l’essenzialità,
la disintossicazione dalla superficialità”.
L’arrivo a Ruse, la “piccola Bucarest”,
è un po’ come tornare nella Mitteleuropa
austriaca, tra palazzi color ocra, parchi, ricordi di
infanzie letterarie: Elias Canetti visse al numero 12
di Ulica Slavianska. La Bulgaria non è più
misteriosa ora, ma cosmopolita e industrializzata. Vivono
le fabbriche chimiche nate durante la dittatura di Ceausescu,
tra il dolore tutto moderno di aver perduto un milione
di giovani dopo la caduta del muro di Berlino. Sono
andati via, in altri Paesi europei; gli sforzi professionali
qui sono finiti con il comunismo, denuncia qualcuno.
In Romania il Danubio comincia a disgregarsi nella
discesa verso il Mar Nero. E’ una tappa triste
questa che annuncia l’imminenza della fine, verso
Cernavoda, dove Ceausescu fece costruire la prima centrale
nucleare rumena. A Murighiol il Danubio si spegne tra
incroci cromatici di case, terra e cielo. E il viaggio,
definito da Prébois un pellegrinaggio, si compie:
“ l’ho seguito dalla sorgente al delta –
scrive - dalla vita alla morte”.
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