276 - 29.04.05


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Sul Danubio, pedalando tra due mondi

Tina Cosmai



Guillame Prébois
Il mio Danubio
Ediciclo Editore
Pag. 142 Euro 13,00

La lettura de Il mio Danubio di Guillame Prébois, dà una sensazione di fresca libertà, come un lungo respiro d’aria rarefatta.
E’ il racconto d’un viaggio in bicicletta costeggiando il Danubio, unico fiume europeo che scorre orizzontalmente. Un viaggio verso l’oriente, alle porte della Turchia, in quella parte estrema d’Europa, braccio teso a levante. Un viaggio che raccoglie culture, panorami, musiche, lingue diversi in un continente che si apre su due mondi.

Prébois parte dalla Foresta Nera, luogo d’origine del Danubio nella regione di Baden-Wurttemberg la parte teutonica del corso d’acqua; prima tappa da Donaueschingen a Ulm fino in Austria. Qui il Donau è armonioso, cristallino, è il fiume di Goethe, della Canzone dei Nibelunghi, dell’Europa federale che ha eliminato le dogane, del turismo nella regione di Wachau, densa di abbazie, vigneti e campi fertili. L’autore ne è affascinato, certo, ma è in direzione di Bratislava che i sentimenti si rafforzano, “queste terre di confine senz’anima – scrive Prébois - queste vaste pianure boschive tra l’Austria e l’ex Cecoslovacchia ispirano malinconia e tristezza. Furono per molto tempo un archetipo dell’altra Europa”.

Il Danubio ora ha un nome rigido, chiuso, Dunaj, e la gente solleva sospetti sulla nuova Europa dell’euro, su una prosperità tanto agognata ma forse irraggiungibile, “un’Europa alla rovescia”. Il viaggio verso l’oriente è colmo di solitudine, attraversa paesaggi agricoli e città barocche e tristi come Budapest, pianure desolate come la Puszta; un mondo quasi metafisico, surreale, che fa venire in mente le “tele di Giorgio De Chirico”. Qui il Danubio ha ceduto la sua connotazione culturale e turistica, perdendosi nel territorio, divenendone parte quasi marginale.

Passaggio in Serbia-Montenegro, alla dogana di Tovarnik. Luoghi assenti di vita e colmi di una drammaticità ancora recente. Qui il ricordo della guerra è vivo, brucia nelle campagne di vigneti e di mais. “Il Danubio mi sembra lontano – racconta Prébois – è abbandonato alla sua sorte, le sue rive sono dimenticate, a volte disseminate di detriti. Trascurate. Il Dunav serbo è un’entità straniera e inutile qui, in Vojvodina, dove è venerato solo il dio della terra”. E le donne serbe sono misteriose seduttrici dalla chioma nera e setosa all’occhio dell’autore, che pedala nel ricordo dei bianchi e generosi corpi tedeschi, dei sorrisi austriaci, della bellezza ungherese così riservata, e delle gambe lunghe e belle delle donne croate. Belgrado, una città quasi turca, è avida del tempo perduto, vive la notte come il giorno, esasperata. Un dedalo di confini, un intreccio di popoli: la Serbia e la Romania si toccano quasi; sull’altra riva c’è il Dunarea ora, la porta d’accesso tra l’Europa e l’Oriente, teatro di battaglie antiche tra tartari e turchi. E in Bulgaria il Danubio ritrova la sua anima poetica, in uno “stile di vita rimasto ancestrale, lontano dallo stress, la malattia inventata dall’uomo post-moderno”.
Tra le selvagge campagne bulgare, il Danubio verde e triste riscatta la sua anima romantica e ridiventa protagonista del territorio; finalmente, dopo tanto abbandono in Serbia.

Sono tre settimane di viaggio ormai e il corpo è stanco, la schiena indolenzita ma, “viaggiare a est significa migrare controcorrente, ricercare l’essenzialità, la disintossicazione dalla superficialità”. L’arrivo a Ruse, la “piccola Bucarest”, è un po’ come tornare nella Mitteleuropa austriaca, tra palazzi color ocra, parchi, ricordi di infanzie letterarie: Elias Canetti visse al numero 12 di Ulica Slavianska. La Bulgaria non è più misteriosa ora, ma cosmopolita e industrializzata. Vivono le fabbriche chimiche nate durante la dittatura di Ceausescu, tra il dolore tutto moderno di aver perduto un milione di giovani dopo la caduta del muro di Berlino. Sono andati via, in altri Paesi europei; gli sforzi professionali qui sono finiti con il comunismo, denuncia qualcuno.

In Romania il Danubio comincia a disgregarsi nella discesa verso il Mar Nero. E’ una tappa triste questa che annuncia l’imminenza della fine, verso Cernavoda, dove Ceausescu fece costruire la prima centrale nucleare rumena. A Murighiol il Danubio si spegne tra incroci cromatici di case, terra e cielo. E il viaggio, definito da Prébois un pellegrinaggio, si compie: “ l’ho seguito dalla sorgente al delta – scrive - dalla vita alla morte”.

 

 

 

 

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