C’erano
una volta gli anni Cinquanta: gli anni della Vespa e
della Lambretta, di Coppi e di Bartali, Togliatti e
De Gasperi; gli anni di Pasolini, Gadda, Bassani, Moravia;
gli anni della conquista del K2 e della tragedia dell’Andrea
Doria; l’Italia di Carosello e delle utopie industriali.
Anni sì di scommesse e di incertezze, ma soprattutto
anni di speranze: il baratro della guerra e dell’occupazione
nazista ce lo eravamo lasciato alle spalle e si guardava
avanti ad un paese da ricostruire, a bisogni da inventare
e da soddisfare, ponendo le basi dell’esplosione
economica e culturale del decennio successivo.
Un decennio lungo per un secolo breve, così
sono stati definiti gli anni Cinquanta, durante il quale
l’Italia povera ma bella scommette sulla propria
creatività e diventa “grande”. Sono
questi gli anni raccontati da Anni Cinquanta: la
nascita della creatività italiana, in mostra
a Palazzo Reale a Milano. Tremila metri quadrati di
spazio espositivo – senza contare l’area
antistante Palazzo Reale, dove l’insolita presenza
di una motrice dello storico treno Settebello dà
vita ad un suggestivo cortocircuito visivo con lo sfondo
del Duomo – ospitano – divise in otto sezioni,
curate tra gli altri da Paolo Mereghetti, Guido Vergani
e Giampiero Bosoni più il suggestivo allestimento
introduttivo della Sala delle Cariatidi ideato da Alberto
Marangoni - più di settecento opere che raccontano
l’arte, l’architettura, il design, la fotografia,
il cinema, la moda, la società italiana dal 1948
al 1960, l’anno in cui le Olimpiadi arrivano a
Roma e l’Italia è pronta a mostrare il
suo nuovo volto di paese moderno agli occhi del mondo.
“La nuova arte richiede la fusione di tutte le
energie dell’uomo nella creazione e nell’interpretazione.
L’essere si manifesta integralmente, con la pienezza
della sua vitalità”, scrive Lucio Fontana
nel Manifesto Bianco (poi Manifesto Tecnico dello
Spazialismo) del 1946 e nelle sue parole premonitrici
c’è sintetizzato tutto lo spirito della
nuova creatività e i motivi del suo successo.
Negli anni Cinquanta l’arte e l’industria
si fondono dando vita ad un connubio magico: nell’urgenza
della ricostruzione postbellica è vivo il bisogno
di una rigenerazione dei costumi e delle forme e si
crea allora uno spazio dove l’utopia e la ricerca
sperimentale sposano le rinnovate esigenze della produzione
industriale grazie alla lungimiranza di una classe di
capitani d’industria “illuminati”
e personalità artistiche capaci di intercettare
i cambiamenti epocali della società, come Giacosa
e la sua Cinquecento, come Castiglioni, Ponti, Sottsass,
il ludico Munari, Albe Steiner, Zanusso.
Bellezza, praticità, funzionalità le parole
d’ordine – e anche “portatile”:
la radio portatile, la macchina da scrivere davvero
portatile, la Olivetti “lettera 22”, davvero
leggera e anche bella con le sue linee tese e pulite
- in un mondo in continua e febbrile trasformazione,
dove dall’osteria si passa al bar sport e ci si
muove a bordo di un sogno comprato a rate, l’utilitaria,
con cui magari cento all’ora non li fai, ma ottanta
sì: il disegno industriale perde la maschera
dell’anonimato e diventa design, vera
e propria arte al servizio della società; arte
e industria non sono più due mondi separati.
«Stile Industria»: forme e stile nella produzione,
non solo il nome di una rivista specializzata ma un
vero e proprio modo di essere, la forma mentis
di un decennio.
Arte di tutti, arte per tutti, design di tutti,
design per tutti e architettura per tutti:
questi i terreni fondamentali della trasformazione.
Come in un nuovo Rinascimento, l’uomo e gli spazi
dove vive e si muove e lavora sono al centro della ricerca
e della sperimentazione tanto tecnologica quanto artistica.
Lo spazio lavorativo, per l’architettura –
sono gli anni dello sviluppo del terziario e l’impiegato
che lavora in ufficio diventa il propulsore dell’azienda
e sono anche gli anni dei complessi industriali utopistici
“alla Olivetti” – e lo spazio abitativo,
catalizzatore dei consumi, per il design diventano i
luoghi dove dare vita a una sofisticata ricerca progettuale,
una ricerca proiettata in avanti, verso il moderno inteso
come superamento del passato – sono gli anni della
sperimentazione sui materiali, gli anni della plastica
e della morbidezza delle forme futuribili e un giradischi
da salotto è più vicino a un’astronave
da fumetto che non al vecchio imponente massiccio mobile
radio di prima della guerra – ma allo stesso tempo
una ricerca responsabile verso la tradizione, alla quale
si guarda cercandone una rilettura critica. Ortodossia
dell’eterodossia: c’è spazio
per tutto negli anni Cinquanta.
Anni Cinquanta: anni di trasformazioni, di rivoluzioni
e Boogie Woogie non è solo un ballo
o il titolo di un quadro di Guttuso. Euforia creativa,
spazi e mondi da ricostruire dal nulla, grandi convergenze
e grandi divisioni, su tutti i fronti, in politica come
nell’arte, quest’ultima con i suoi nuovi
realismi, i suoi concetti spaziali, i nuovi fronti,
gli in-formalismi: Fontana, Burri, Capogrossi, Afro,
Pirandello, Manzù, Guttuso, Pomodoro, Manzoni,
Rotella per nominare solo i maggiori esponenti delle
arti plastiche e visive di questo decennio.
Un nuovo rinascimento, si diceva, dove l’uomo
torna al centro: l’uomo e i suoi bisogni, reali
o indotti, l’uomo e i suoi consumi. La donna e
i suoi bisogni e consumi: arrivano in quegli anni in
Italia i primi elettrodomestici con il loro sapore d’oltreoceano,
la lavatrice, il frigorifero, la televisione. Televisione
per pochi, almeno all’inizio, la trovi nei bar
e se sei fortunato c’è qualcuno nel palazzo
che ce l’ha già e allora ci si riunisce
la sera, tutto il condominio, a guardare Lascia
o Raddoppia? e Il Musichiere, altrimenti si va
al cinema: nel 1955 si toccano cifre mai raggiunte –
e purtroppo mai più ripetute – con più
di 10.500 sale cinematografiche sparse per la penisola
per un totale di 819 milioni di biglietti staccati.
Si va al cinema e si cerca uno specchio dove rivedere
se stessi, tanto nella produzione di genere quanto in
quella d’autore, nelle commedie di Totò
e Fabrizi come nei grandi melodrammi, tanto nei sogni
di Fellini quanto nei primi romanzi già della
crisi di Antonioni.
Consumo, commercio, pubblicità: gli anni Cinquanta
sono gli anni di Carosello in tv; gli anni dell’esplosione
della grafica e del new advertising, la pubblicità
come scienza, la pubblicità come arte. E anche
questa nuova arte ha i suoi autori e si muovono anch’essi
in un terreno tra sperimentazione autonoma e confronto
con la tradizione: c’è Franco Grignani
con i suoi dinamismi di sapore futurista, e i suoi retini;
c’è l’advertising umanistico di Michele
Provinciali e c’è Armando Testa, elegante
affabulatore capace di sintesi iconografiche ormai entrate
a far parte dell’immaginario collettivo proprio
non solo di chi quegli anni li ha vissuti.
Icone di un decennio appassionato, quelle in mostra
a Milano fino a luglio: icone di un decennio la cui
creatività e idee hanno influenzato tutto quello
che è stato dopo, noi compresi. La bici di Coppi
e la bici di Don Camillo, gli abiti di Pucci e delle
Fontana, le foto di Berengo Gardin, il prototipo in
mogano della 500, l’architettura a misura d’uomo
di Figini e Pollini, le utopie di Sottsass. Simboli
di quello che eravamo e che potremmo essere, a cui guardare
magari con nostalgia e, perché no, con la speranza
che una nuova rinascita dell’italian style
non sia troppo lontana.
Anni Cinquanta: la nascita della creatività
italiana
4 marzo – 3 luglio 2005
Milano, Palazzo Reale
Piazza Duomo 12
www.annicinquanta.org
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