Arte
sbarca in Italia. Non in maniera definitiva, certo,
che sarebbe chiedere troppo a una penisola televisiva
come la nostra che difende con le unghie la propria
“eccezione culturale”. Quello del canale
franco-tedesco in Italia è solo e ancora un piccolo
primo timido passo che accende, comunque sia, un lumino
di speranza nel bistrattatissimo italico pubblico televisivo,
che già da ora potrà godere di un prodotto
di qualità e verificare quello che fin qui era
stato da noi solo un sospetto: si può e ci si
può intrattenere, si può e ci si può
informare anche con la tivvù!
La famosa teoria, che è quasi una mistica, del
virtuosissimo domino più-tette-uguale-più-pubblico-uguale-più-pubblicità-uguale-più-soldi-uguale-più-reality-uguale-più-pubblico-uguale-più-pubblicità-uguale-più-soldi-uguale-più-quiz-uguale-una-politica-che-può-farsi-i-fatti-suoi-senza-scocciature,
trova nella programmazione di Arte, in onda
dal venerdì alla domenica per tre ore al giorno
su RaiSat Premium, una contraddizione oggettiva. Non
che quei tempi ridotti in quello spazio periferico possano
compromettere la dinamica succitata e la ramificata
e complessa struttura che la sorreggono, ma possono
altresì dare un saggio e indicare una strada
che altrove è stata percorsa con apprezzabili
risultati, e, allo stesso tempo, smascherare la portata
ideologica di ciò che da noi viene contrabbandato
come verità.
Sono tredici anni che Arte fa televisione
culturale senza raccolta pubblicitaria, senza il bisogno
cioè di vendere un pubblico ad un detersivo scambiando
i termini del rapporto tra gli uomini e le cose. Si
dirà: “Com’è possibile? O
hanno inventato la macchina del moto perpetuo o è
un complotto”. E poi: la teoria del domino muove
dal presupposto che il pubblico televisivo voglia, aspiri
e agogni alle tette e ai detersivi, cioè a dire,
è tutto quello che una tribuna di barbari incolti
può sognare. E allora: forse il pubblico franco-tedesco
sarà più civilizzato, o comunque abbastanza
annoiato da concedersi il lusso aristocratico di un
canale che parli tediosamente di archeologia e pittori
fiamminghi.
Niente di tutto ciò. Il canale – il
cui nome non è quel che da noi, formati sulle
gesta classiche degli eroi de L’isola,
si crede essere il sinonimo di noia, ma una sigla che
sta per Association Relative à la Télévision
Européenne – il canale, dicevamo,
si è costituito nell’aprile ‘91 in
Gruppo europeo d’interesse economico (Geie) con
un partenariato tra Francia e Lander tedeschi, le cui
rispettive Arte France e Arte Deutschland
detengono le quote. La finalità della rete è
contenuta nero su bianco nell’articolo 2 del Contratto
di formazione e viene garantita nella sua applicazione
da una serie di strutture di gestione e controllo. Recita
molto semplicemente il suddetto articolo: “Il
Gruppo ha per obiettivo di concepire, realizzare e diffondere,
o far diffondere, attraverso il satellite o con tutti
gli altri mezzi, emissioni televisive aventi carattere
culturale e internazionale nel senso più largo,
e proprie a favorire la comprensione e l’avvicinamento
dei popoli europei”.
Finanziata esclusivamente dai rispettivi canoni francese
e tedesco, piano piano, passo passo, Arte è
diventata negli anni sempre più grande, ha conquistato
pubblico infiltrandosi dapprima in piccoli spazi satellitari,
poi televisivi pubblici e ora conta un pubblico medio
giornaliero di un milione di persone, con un incremento
nei soli due ultimi anni di un sonante +25%. Interessati
al rilievo non solo culturale dell’operazione,
ai due storici partner si sono via via associati altri
canali statali europei: RTBF in Belgio, SRG SSR in Svizzera,
TVE in Spagna, TVP in Polonia, ORF in Austria, YLE in
Finlandia, NPS nei Paesi Bassi, BBC in Gran Bretagna
e SVT in Svezia.
Mentre la costruzione di uno spazio politico europeo
comune sembra incontrare sulla propria strada ostacoli
sempre maggiori e lo slancio europeista perde troppo
spesso d’intensità di pari passo al calo
della volontà politica degli attori implicati,
la televisione europea sembra di contro avere il vento
alle spalle. Arte ne è l’esempio, piazza
virtuale d’incontro e confronto di lingue, linguaggi
e culture, che riproduce, rendendola manifesta e cosciente
di sé, una realtà che già c’è,
quella degli europei che si confrontano con le stesse
preoccupazioni, aspirazioni e sogni.
Dal suo esordio ad ora, Arte ha prodotto 1500
documentari – dall’attualità geopolitica
ai grandi temi religiosi, dalle curiosità al
costume all’approfondimento storico-culturale
– ha coprodotto film che hanno raggiunto i maggiori
festival cinematografici del mondo; ha diffuso cinematografie
di qualità, ha intrattenuto con serate a tema,
informazione e rubriche varie.
E ha dimostrato che la tv è uno strumento che
dà risultati che rispecchiano il progetto di
chi lo maneggia; che, infine, come ha dichiarato lo
stesso Jérôme Clément, presidente
di Arte, “la televisione non è lo specchio
del suo pubblico ma del suo sistema politico. Il pubblico
si può farlo evolvere in una direzione o in un’altra”.
La televisione, quella italiana, ha la volontà
di rintuzzare i sogni e l’intelligenza del suo
pubblico negli stretti orizzonti e negli asfittici desideri
di gloria di un quiz?
La volontà, appunto. Altro che il dilemma canone
o raccolta pubblicitaria, pubblico o privato, spettatore
o inserzionista.
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