273 - 12.03.05


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Tra palcoscenico e desktop
Chiara Rizzo



Maia Borelli, Nicola Savarese
Te@tri nella rete
Carocci editore, 2004
pp. 312, euro 20.00



Il teatro, nella sua più essenziale definizione, è un’arte immediata (ovvero senza filtri tra attore che si esibisce e spettatore che guarda) ed esclusiva (ovvero tradizionalmente destinata a un pubblico limitato). È fatta di persone in carne e ossa, di scambio emozionale, di qui e ora. Com’è possibile, allora, che oggi sembri cedere anch’essa alle lusinghe delle tecnologie globali del computer e di Internet, aprendosi all’ibridazione con i nuovi media, accogliendo avatar virtuali e modalità di rappresentazione in pixel? Eppure il fatto che questo insolito incontro sia in corso e stia dando i suoi pur originali e discontinui frutti non può essere messo in discussione.

Te@tri nella rete, di Nicola Savarese e Maia Borelli, è una ricerca sulle esperienze di cyberteatro in atto nonché un tentativo di rispondere ai molti interrogativi che circondano il curioso rapporto tra palcoscenico e desktop. Il teatro, spiegano gli autori, versa in uno stato di profonda crisi: non attira più come una volta, i buoni attori sono diventati più unici che rari, così come i buoni spettatori, sparsi tra i più che si siedono in platea solo per vedere dal vivo i divi della televisione e del cinema o le loro più modeste imitazioni. Per eludere tale momento di empasse “alcuni teatranti realizzano spettacoli sempre più mediatici, simili ai concerti rock, con grandi amplificazioni, radiomicrofoni ed effetti speciali d’ogni genere. Altri, interessati alle sfide e ai ‘prodigi della tecnica’, usano direttamente le più avanzate e costose tecnologie ed entrano in Internet: mettendo così in crisi l’idea di ‘media’, oltre che quella di teatro, veleggiano verso i lidi della fusion”.

Del resto, “i teatri e le macchine” costituiscono un tema antico della storia delle arti della rappresentazione, una sorta di filo rosso che l’attraversa tutta, dall’antico stratagemma del deus ex machina alle tecnoarti dello spettacolo esplose tra Ottocento e Novecento grazie alle intuizioni di movimenti d’avanguardia e singoli sovvertitori. Ed è su questo aspetto che particolarmente si concentrano, nel terzo e quarto capitolo, Savarese e la Borelli, dopo una doverosa ed esaustiva introduzione che fornisce al lettore una serie di informazioni preliminari sulle tecnologie digitali e sulle applicazioni che oggi consentono a chiunque di utilizzare il Pc pur senza conoscerne a fondo il linguaggio, nonché sulle ricerche informatiche che nell’ultimo secolo hanno condotto a nuove modalità di scrittura e creazione di ipertesti (con un’interessante incursione nel settore in ascesa dei videogames e un’analisi della progressiva diffusione di un prodotto offline come i Dvd, che promette la formazione di una “mediateca teatrale” comprensiva delle fonti visive della storia del teatro, sia a scopo didattico che di studio).

È dalla fine degli anni Cinquanta che gli artisti cercano di infrangere la frontalità imposta agli spettatori, costretti ad una visione monoprospettica dalla netta opposizione scena/platea, quadro/osservatore, per offrire loro la possibilità di scegliere, attraverso la moltiplicazione di punti di emissione e ricezione, un proprio punto di vista e di partecipare, non soltanto di assistere, al momento demiurgico della rappresentazione. Il teatro di strada è un esempio emblematico di tale tentativo di aprire lo spazio teatrale per inglobarvi lo spettatore. Oggi i nuovi media hanno raccolto questa eredità dell’happening, e propongono agli artisti come modello di ambiente creativo lo spazio aperto della chat, luogo virtuale all'interno del quale la modalità dell'intervento diretto può svilupparsi all’ennesima potenza. La partecipazione/improvvisazione diventa elemento fondamentale della rappresentazione teatrale. Non solo: artisti e spettatori, significativamente, si trovano ad avere a disposizione gli stessi identici mezzi di espressione - la tastiera e un linguaggio di simboli comuni - annullando così la distanza reciproca.

A questo proposito, Savarese e la Borelli citano tutta una serie di casi significativi. Tra questi, il Desktop Theatre di Adriene Jenik e Lisa Brenneis che nel 1997 allestirono per il Digital Storytelling Festival "Waiting for Godot.com", in cui il testo era quello di Beckett, ma il palcoscenico una chat-room visibile in due dimensioni occupata da "avatar", icone grafiche, a rappresentare ogni partecipante ma anche i due protagonisti dell’opera, Didi e Gogo. Gli altri utenti, ignari di far parte di un evento strutturato in forma teatrale, in quell’occasione hanno interagito con il testo proponendosi come personaggi interni al dramma, in alcuni casi captando alla perfezione lo spirito dell'operazione.

Spazio particolare, poi, è dedicato all’esperienza italiana del performer-artista Giacomo Verde, fondatore nel 1998 del gruppo tecnoteatrale Zonegemma con il quale ha presentato Storie Mandaliche e Webcam Theatre. Storie Mandaliche si fruisce in uno spazio tradizionale alla presenza di un cybernarratore “che dispone, al posto del telo disegnato da sfogliare, delle immagini in video che può trasformare al ritmo del suo racconto utilizzando un mouse”. Vengono sfruttate le possibilità ipertestuali del programma cosicché ogni sera uno spettatore decide da quale storia iniziare la performance il cui svolgimento successivo seguirà di volta in volta l’umore della platea. “La tecnologia digitale e le possibilità interattive degli strumenti collegati al computer rendono il quadro non più un quadro ma un ambiente interattivo che risponderà agli interattori in maniera personalizzata”.

Il Webcam Theatre, invece, ha inaugurato la propria attività con la performance "Connessioni remote", andata in scena nel maggio 2001 al Museo Pecci di Prato e sul sito "www.webcamtheatre.org", attraverso il quale era anche possibile avere accesso ad una chat sulla quale lasciare i propri messaggi e commenti in tempo reale. L'artista-attore si trovava fisicamente all'interno di una sala del Museo, di fronte ad un pubblico reale che ne osservava l'azione dal vivo, mentre diverse web-cam registravano e rimandavano il segnale ad utenti collegati al proprio Pc. La stessa interfaccia grafica del sito veniva anche proiettata nella sala. La visione dello spettacolo risultava quindi molteplice e non univoca, per la diversità di punti di vista fra spettatori in sala e a casa. Anche i punti di emissione dell'opera d'arte ne risultavano moltiplicati: al centro si trovava il performer, che innescava l'azione di un teleracconto in dieci piccole video-azioni, attraverso l'interazione della narrazione con immagini elettroniche generate in tempo reale dal computer - il secondo "attore"- visualizzate sia sullo schermo del Pc che sullo scenario proiettato in sala. A questo si aggiungeva il fatto che lo spettatore in sala leggeva accanto alle immagini le linee di testo scritte dagli utenti invisibili che, attraverso la chat, interagivano in diretta con la sala e il narratore, intervenendo quindi sulla creazione teatrale da un punto di vista ancora diverso.

Altro versante della sperimentazione riguarda poi l’utilizzo di avatar virtuali al posto di attori in carne ed ossa, possibilità offerta ora dalle nuove tecnologie ma già vagheggiata nel Novecento dal teatro futurista, che proponeva una personificazione dello spazio , o da utopie di registi geniali come Gordon Craig, che teorizzavano l'avvento di un attore-supermarionetta, una nuova figura di artista capace di sottrarsi “alle emozioni viscerali e alla squilibrata soggettività “della carne e del sangue”, viziosa consuetudine dell’attore di teatro ottocentesco”, non per forza inanimata ma che comunque andasse oltre la propria natura emozionale per trasformarsi in strumento di armonizzazione capace di rispondere alla volontà del regista proprio come illuminazione e congegni di scena. Un fantasma di dispositivo meccanico che pilotasse dall’interno gli attori, che una volta evocato si insinuò come un tarlo nell’immaginario teatrale. E che ancora oggi lo tormenta. Si tratta di un traguardo raggiungibile? La tecnologia digitale può salvare e sublimare il teatro? Gli autori di Te@tri nella rete sembrano dubitarne. Perché “la macchina che riporta la traccia esatta del nostro encefalo, per quanto proiettata ai quattro angoli del globo, non riuscirà a dare la misura dell’abisso che esso racchiude”. Del resto lo slogan di Nicola Savarese, in chiosa all’introduzione del volume, parla chiaro. Un computer è un mezzo. Tu sei molto di più dell’altra metà.

 

 

 

 

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