“Un
buon libro deve accendere la nostra immaginazione, permetterci
di vivere altre vite, aiutarci a capire meglio il nostro
mondo e soprattutto nutrire il nostro spirito”.
La letteratura, per Stephen Vizinczey, è il veicolo
che viaggia verso la comprensione del mondo. Perché
fa luce sulla realtà, perché, per raccontarla,
la scava fino alla sua essenza più profonda;
e perché non si affida soltanto alla visione
e all’interpretazione dello scrittore, ma si completa
solo nella lettura, in quel “brivido che viene
da un buon libro che è in grado di esercitare
il nostro cervello”.
La letteratura, quella vera e immortale, è fatta
per esercitare le menti, tenerle attente e agili di
fronte al mondo e alla natura umana, in una investigazione
che va oltre le apparenze e cerca la natura più
intima delle cose. Come l’ Elogio delle donne
mature di Vizinczey racconto di un’educazione
sentimentale che sembra appartenere a tempi lontani
dai nostri.
Crede che al giorno d’oggi i giovani siano
ancora interessati a procurarsi il tipo di educazione
sentimentale che lei descrive in Elogio delle donne
mature?
A molti uomini giovani non interesserebbe, ed è
un vero peccato. Stanno facendo loro il lavaggio del
cervello con il culto della giovinezza e vengono brutalizzati
dalla cultura di massa. Ma ciò non significa
che non possano cambiare. Il genere umano è in
continuo cambiamento, e la nozione oggi prevalente che
il presente sia anche il futuro - lo stesso, solo di
più - è un altro dogma imbecille e autodistruttivo
della cultura di massa dell'irrazionalità. Ancora
oggi la maggior parte dei giovani uomini possiede istinti
sani, intelligenza e una grande capacità di sentire,
una gran fame d'amore, esattamente come un secolo fa
- hanno solo bisogno di resistere alle perniciose influenze
della vita moderna.
Il mio ruolo di scrittore è quello di incoraggiare
e ispirare la gente mostrando loro che esiste una realtà
umana e dignitosa che non si conforma ai trend e ai
culti senz'anima del momento. Elogio delle donne
mature voleva essere una risposta al materialismo
nordamericano e al culto della giovinezza - del quale,
tra l'altro, soffrono soprattutto i giovani: Elogio
delle donne mature originariamente era infatti
il titolo di un mio racconto in cui non compariva nemmeno
una donna matura, ispirato da una ragazza di Montreal
che pensava di suicidarsi all'idea di compiere 21 anni.
Non esiste società civile senza legami forti
fra le generazioni, e niente unisce generazioni diverse
- almeno per quanto riguarda l'amore e la comprensione
- più del sesso. Chi ha rapporti con gente più
vecchia o più giovane acquisisce una sorta di
senso della storia. Questo, in aggiunta al piacere e
alla gioia - o ai dolori della crescita - dell'esperienza
in sé. Il culto della giovinezza va di pari passo
con il culto dell'orgasmo, e invece io volevo mostrare
quanto di più ci sia nel sesso. Una mezza dozzina
di insegnanti di liceo in svariati Paesi ha inserito
Elogio delle donne mature nel proprio programma
scolastico come testo obbligatorio, e alcuni studenti
- fra cui quelli di Eton - si sono passati l'un l'altro
le copie del libro finché non sono cadute a pezzi.
Questo tipo di notizie mi fa pensare di aver contribuito
all'umana felicità e al progresso della società
civile.
L'educazione sentimentale è ancora un
obiettivo?
L'unico obiettivo della società occidentale
contemporanea è quello di fare soldi. Ma quegli
individui che hanno la fortuna di acquisire un'educazione
sentimentale avranno una vita più felice di quelli
fissati con le cose materiali.
Oggi che il giornalismo, soprattutto quello
di guerra, è tanto limitato dalle restrizioni
imposte dai governi, crede che la letteratura possa
far luce su come stanno veramente le cose?
Solo la letteratura può far luce su
come stanno veramente le cose. In un grande romanzo
non solo seguiamo la trama, ma acquisiamo anche una
conoscenza approfondita dell'altrui natura e nel contempo
capiamo meglio come siamo fatti noi stessi, e in che
modo entriamo a far parte dello schema generale. Inoltre
la letteratura è l'unico ambito in cui uno scrittore
possa essere libero. Ho lavorato come sceneggiatore,
redattore, produttore, per mass media troppo costosi
per essere liberi da condizionamenti commerciali e politici.
Solo quando scrivo un romanzo sono completamente libero
di dire ciò che sento, ciò che vedo e
penso. Solo i romanzi costano abbastanza poco da consentire
agli scrittori di dire fino in fondo la verità
- se ne hanno il talento e il coraggio, naturalmente.
Ne I dieci comandamenti di uno scrittore
ha parlato di alcuni dei grandi maestri della letteratura.
Chi fra i contemporanei crede che rimarrà nella
storia?
Sono certo di non conoscere la maggior parte di coloro
che potrebbero superare l'esame del tempo. Purtroppo
mi intendo solo di letteratura contemporanea in lingua
inglese e conosco pochi autori stranieri, che ho letto
nella versione tradotta. Fra gli scrittori statunitensi
e canadesi ancora in vita, credo che resteranno nella
storia della letteratura Kurt Vonnegut, Philip Roth,
Paula Fox e Alice Munro. Fra gli scrittori inglesi,
Howard Jacobson è di prima classe, e nutro grandi
speranze per Tibor Fischer. Uno scrittore spagnolo che
ha grandi possibilità di sopravvivere è
Pedro Sorela, così come sopravviveranno, secondo
alcune persone del cui parere mi fido, molti scrittori
latino-americani: ma non conosco lo spagnolo abbastanza
bene da leggerli in lingua originale, e molti non sono
tradotti in inglese. Gli unici due scrittori italiani
contemporanei che conosco bene sono morti, ma sono certo
che Moravia e Sciascia resteranno nella storia. Così
come sopravviverà senz'altro Primo Levi. Ma mi
imbarazza stilare questa lista, perché è
possibilissimo che nell'appartamento accanto al mio,
a Londra, abiti uno scrittore migliore di tutti noi.
Secondo lei al giorno d'oggi dove si può
riscontrare il maggior interesse per la letteratura?
In quei paesi che sono poveri ma non poverissimi, quelli
dove la gente ha abbastanza per mangiare e avere un
tetto sopra la testa, ma non può concedersi dei
lussi. Ad esempio nell'Ungheria ai tempi di Stalin,
la gente si interessava soprattutto agli altri esseri
umani: potevano amarli od odiarli, ma erano comunque
la loro preoccupazione principale - la loro fonte di
svago, se volete. Perciò gli ungheresi cercavano
di capire il prossimo, e anche coloro che possedevano
un livello di istruzione modesto si interessavano alla
buona letteratura - soprattutto alla poesia, ma anche
alla grande prosa. Non avevano alternative. Gli amici,
gli amanti, i parenti, i nemici erano il loro unico
divertimento, l'unico che potevano permettersi, visto
che era gratis. E quanto ai lussi, si concedevano i
libri, che non costavano quasi niente, e che si potevano
anche prendere a prestito nelle biblioteche.
Oggi almeno metà delle librerie ungheresi sono
diventate negozi di video. Nei paesi ricchi la gente
viene distratta dalle cose, dalla ricerca dell'auto
più bella da comperare e del modo più
economico di procurarsela, e così via. La maggior
parte delle persone tende a fare la cosa più
facile e gli oggetti sono più facili da gestire
degli esseri umani. La prosperità crea sempre
una distanza fra gli individui e diminuisce il loro
interesse per la letteratura. Alla fine arriva addirittura
a distruggere le civiltà, perché permette
alla gente di vivere senza pensare. In un Paese dove
anche gli intellettuali stanno così bene economicamente
da poter mettere a confronto i pregi di un vino costoso
rispetto a un altro, la letteratura passa automaticamente
in second'ordine.
Al contrario vuol dire ancora molto per quei Paesi in
cui la gente intelligente e istruita non è impegnata
a decidere quale macchina comperare. Quando sono andato
in Messico, un mese dopo la pubblicazione di I dieci
comandamenti di uno scrittore, sono stato accolto
all'aeroporto dai giornalisti e sono finito sul telegiornale.
Tra l'altro il Messico è stato l'unico Paese
in cui il mio libro è diventato un best-seller,
cosa impensabile in un Paese ricco. Naturalmente il
fatto stesso che io sia apparso in televisione era già
un segnale che i bei tempi dei piaceri intellettuali
stavano per finire.
Che cosa deve fare un buon libro per essere
tale?
Un buon libro deve accendere la nostra immaginazione,
permetterci di vivere altre vite, aiutarci a capire
meglio il nostro mondo e soprattutto nutrire il nostro
spirito. Il che può succedere solo se quel libro
è anche emozionante, drammatico e divertente,
purché non sia solo questo. Tolstoj l'ha detto
perfettamente: "Proprio come coloro che pensano
che ci si nutra per puro piacere non possono capire
il vero senso del cibo, così coloro che pensano
che lo scopo dell'arte sia il piacere non possono capire
il senso e lo scopo che essa ha. La gente capirà
che il senso del mangiare è il nutrimento del
corpo solo quando cesserà di considerare il piacere
come lo scopo di questa attività. Lo stesso vale
per l'arte".
Lei ha scritto che leggere è un atto
creativo. Quali sono le qualità di un buon lettore?
Come scrivo in uno dei saggi de I dieci comandamenti,
il libro stampato è solo un libro a metà.
E' come uno spartito musicale e il lettore è
come il musicista che trasforma le note in suoni. Per
fare un altro paragone, se uno legge la frase "Un
uomo entra in una stanza", deve immaginarsi sia
l'uomo che la stanza. Se uno invece guarda la stessa
scena alla televisione o al cinema, sia l'uomo che la
stanza sono già lì, non bisogna immaginarsele,
si può rimanere con mezzo cervello addormentato.
Quando si legge bisogna fare tutto il lavoro creativo
di regista, attori, scenografo, compositore, cameraman
per trasformare la parola scritta in immagine. Il lettore
deve preparare la scena, procurare i costumi, visualizzare
i personaggi, recitarli, portando in vita i loro sentimenti
e i loro pensieri. Quindi le qualità di un buon
lettore sono l'immaginazione, l'intelligenza e la capacità
di emozionarsi. Il brivido che i lettori provano quando
leggono un buon libro non deriva semplicemente dal libro
in sé, ma dalla possibilità di esercitare
il proprio cervello.
Secondo i suoi saggi, sembra che lei consideri
l'auto-inganno come il peggiore dei peccati. E' così?
Qualunque sia il peccato al quale sto pensando in un
dato momento, quello mi sembra il peggiore.
Commettiamo così tanti peccati che è difficile
sceglierne uno su tutti. Gli auto-ingannatori però
sono quelli che fanno più danno agli altri, oltre
che a se stessi. Certo ci sono anche forme innocue di
auto-inganno. Tutto dipende da qual è l'oggetto
del proprio auto-ingannarsi.
Che differenza c'è fra la vanità,
che lei condanna nel suo saggio, e il tipo di presunzione
che lei invece loda, quella senza la quale "nessun
artista potrebbe avere il coraggio delle proprie opinioni"?
Credo che la vanità sia il desiderio di apparire
grande, e di credere che tutto ciò che uno fa
sia grande. Questo tipo di amore di sé è
letale per un artista. L'ho imparato in teatro. Ero
uno studente di sceneggiatura all'Accademia Ungherese
per le Arti Teatrali e Filmiche, il che significava
che dai 18 ai 23 anni facevo da assistente ai vari direttori
del Teatro Nazionale - durante gli anni che precedevano
la rivoluzione, quando c'era un'esplosione di talento
in ogni campo. Il Teatro Nazionale vantava grandi registi
e attori, che in quell'ambiente venivano considerati
come semidei. Tuttavia ciò che mi sbalordiva
era che tutti - persino il tecnico delle luci - potevano
mettere in discussione il regista o criticare gli attori,
e loro ascoltavano attentamente e spesso accettavano
le critiche, indipendentemente dallo status di chi li
criticava.
Per quanto mi riguarda, credo che i miei romanzi, Elogio
delle donne mature e Un milionario innocente,
siano capolavori, così come lo sono molti dei
saggi della raccolta I dieci comandamenti di uno
scrittore. Sta agli altri giudicare se ho ragione
oppure mi auto-inganno, peccando di vanità. Ma
quando scrivo qualcosa che va contro le convenzioni
e mi sembra che il risultato sia buono, mi sento davvero
come un dio - altrimenti non mi prenderei la briga di
scrivere. Immagino che tanto i bravi scrittori quanto
quelli cattivi si sentano come dei mentre scrivono -
dunque quelli cattivi sono vanitosi, quelli bravi invece
hanno un senso adeguato del proprio valore.
Quando rileggo ciò che ho scritto, non mi lascio
influenzare dal fatto che l'ho scritto io, e ne butto
via più del 90%. Mi ci vogliono mesi per completare
anche un solo saggio; ad esempio ho lavorato a quello
su Kleist (pubblicato ne I dieci comandamenti di
uno scrittore, ndr) per quasi un anno (con interruzioni).
E ho continuato a riscrivere Un milionario innocente
per 14 anni. Dunque la differenza fra vanità
e una divina sicurezza di sé consiste forse semplicemente
nella capacità di rileggere ciò che si
è scritto con lo sguardo scettico di un estraneo.
Lei ha dicharato che scrive solo di ciò
che le interessa. Che cosa suscita il suo interesse,
in questo momento?
Attualmente sono ossessionato da quei personaggi che
tradiscono i loro migliori istinti e il loro talento
per acquisire status e ricchezza, salvo poi, quando
sono vecchi, accorgersi che non ne valeva la pena. L'eroe
del mio nuovo romanzo è un violoncellista di
talento che diventa top manager in un periodo in cui
il business sembra convinto che il modo migliore di
fare soldi sia licenziare la gente. Il mio protagonista
licenzia dunque migliaia di persone, e alla fine lui
stesso viene licenziato. Prende decisioni sbagliate
ad ogni momento chiave della sua vita, e poi è
troppo tardi per porvi rimedio. A quel punto lui è
troppo giovane per andare in pensione e troppo vecchio
per ricominciare, perciò cerca di suicidarsi.
Ma è allora che gli viene data la possibilità
di ritornare giovane - di vivere e amare, forte del
senno di poi.
Alcune verità sulla nostra esistenza possono
essere messe in maggiore evidenza usando l'elemento
fantastico. Ne I dieci comandamenti di uno scrittore
parlo di Kleist e Mark Twain, che erano maestri
di questo tipo di realismo. E così come succede
con molti altri aspetti di questa mia raccolta, quando
scrivo di altri autori, sto anche cercando di risolvere
i miei problemi di scrittore.
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