Il
nome di Stephen Vizinczey è entrato in voga l'anno
scorso, quando anche in Italia è stato ripubblicato
il suo romanzo Elogio delle donne mature (Marsilio),
scritto e pubblicato per la prima volta nel '65 dall'autore.
Dopo due settimane il romanzo aveva raggiunto la notorietà,
soprattutto in Canada, dove aveva incontrato i favori
di pubblico e critica. L'anno successivo ha sfondato
in Inghilterra e, a seguire, in una dozzina di altri
Paesi, ma non quelli latini, poiché i diritti
del romanzo erano nel frattempo diventati oggetto di
una lunga controversia legale.
Nel 1988 Elogio delle donne mature è
stato scoperto in Spagna e in America Latina; nel 2001
è diventato un best-seller in Francia e Le
Monde l'ha definito "un capolavoro".
Anche in Italia è un caso editoriale (siamo già
alla terza edizione, cioè più di 40mila
copie vendute), confermando la modernità del
pensiero del suo autore, e nel 2004 ha vinto il Premio
Isola d'Elba.
A quel raffinato resoconto di un'educazione sentimentale
che era anche un'educazione alla vita (e non semplicemente
"una pietra miliare della letteratura erotica",
come è stato chiamato), è seguito un altro
romanzo, Un innocente milionario, che verrà
pubblicato in Italia da Marsilio il prossimo anno. E
per Marsilio è appena uscito I dieci comandamenti
di uno scrittore, una raccolta di saggi di critica letteraria
che include anche brani che esulano dal campo stretto
della letteratura.
Il più commovente è Commento a una
poesia, un ricordo di Imre Nagy, il primo ministro
ungherese che divenne il punto di riferimento della
rivoluzione del '56, cui lo stesso Vizinczey partecipò
all'età di 23 anni per poi essere costretto all'esilio
in Canada. Commento a una poesia è anche
un breve excursus sul passato di un paese dal forte
carattere nazionale e, come scrive Vizinczey, dall'indomabile
"personalità storica". Un paese che
è da poco entrato a far parte dell'Unione Europea.
Qual è la sua opinione circa la recente
entrata del suo Paese d'origine nell'Unione? Crede che
per l'Ungheria ci sia più da guadagnare o più
da perdere?
In Ungheria sono pochissimi i palazzi che superano
i duecento anni. Gli eserciti stranieri hanno distrutto
tutto ciò che era stato costruito in precedenza,
e anche gran parte di quello che è stato edificato
negli ultimi due secoli è stato raso al suolo.
Speriamo che l'entrata nell'Unione europea metta fine
a questo - e anche alla condizione di inferiorità
nella quale molti ungheresi si sono ritrovati dopo esser
stati tagliati fuori dalla loro madrepatria a causa
dei trattati di pace della Prima e della Seconda Guerra
Mondiale. Uno dei vantaggi dell'Unione è che
toglie notevolmente importanza agli ingiusti confini
creati dai trattati di Versailles e di Trianon. La fusione
culturale dell'Europa, che è già a buon
punto, è un altro elemento positivo al 100% Per
il resto, bisognerà vedere come evolverà
l'Unione, e quanto margine avrà ciascun Paese
membro per autogovernarsi. La storia insegna che i luoghi
governati a distanza tendono ad essere governati male.
Le grandi burocrazie non hanno mai fatto molto bene
alle società.
Esiste una cultura europea?
La cultura europea è la gloria dell'umanità.
Al di là del suo valore artistico, ha generato
una coscienza di sé e del mondo assai superiore
a quella prodotta da ogni altra civiltà, una
coscienza che stimola tanto l'affermazione individuale
quanto il senso di comunità. Naturalmente sto
parlando dei periodi di grandezza della cultura europea,
non di ciò che esce oggi dal televisore. L'umanità,
in Europa come in qualsiasi altro luogo, è per
lo più dominata dall'ignoranza, dalla pigrizia
mentale, dall'avidità, dalla brama di potere
e distruzione, dal fanatismo, dall'odio e dall'irrazionalità.
Persino durante il Rinascimento, che dopotutto ha generato
ciò che la maggior parte della gente considera
oggi la civiltà europea, ci sono stati momenti
oscuri. L'istinto di distruggere è forte quanto
quello di creare: si dice che Botticelli abbia bruciato
alcuni dei suoi quadri durante il dominio di Savonarola
a Firenze. Ma ciò che i genii europei hanno creato,
dai tempi dell'antica Grecia ai giorni nostri, rimane
ancora la miglior fonte di ispirazione per una società
onesta che consenta agli individui di crescere e di
trovare la felicità.
Secondo ciò che scrive ne I dieci
comandamenti di uno scrittore, lei sembra pensare
che l'Ungheria abbia sempre avuto molto più in
comune con l'Europa occidentale che con la Russia.
Sicuramente. Due secoli fa la lingua ufficiale dell'Ungheria
era ancora il latino. Oggi, sotto ogni profilo a parte
quello linguistico, l'Ungheria resta un Paese latino,
che emotivamente e nel proprio atteggiamento verso la
vita, ha più in comune con l'Italia e la Francia
(e aggiungerei la Spagna, anche se fino a poco tempo
fa era troppo lontana perché la maggior parte
degli ungheresi ne sapesse qualcosa) che con qualsiasi
altro Paese al mondo. Io sono diventato uno scrittore
inglese, la mia patria è la lingua inglese, ma
le mie sensibilità si sono formate nel corso
di un'infanzia ungherese, e il mio lavoro ha i suoi
principali sostenitori in Francia, Spagna e America
Latina. Spero che potrò aggiungere l'Italia a
questa lista, quando mi conoscerete meglio anche qui.
Lei ha scritto che gli ungheresi sono "soggetti
ingovernabili" (il che è stato detto anche
degli italiani). Che cosa comporterà questa caratteristica
nel contesto dell'Unione europea?
Spero che darà luogo a un'Europa più
libera, più creativa e più allegra. Essere
ingovernabili significa che ognuno pensa con la propria
testa e fa conto su se stesso. Senza gente così,
non ci può essere una comunità dinamica.
Nel mio libro cito il grande poeta ungherese Attila
József, che ha scritto: "Il comandante che
mi guida è dentro di me". Questo tipo di
individualismo sta alla base della creatività
- addirittura della produttività. Più
l'Unione sarà unita dalle idee invece che dalle
regole, più avrà successo e sarà
vitale.
Ne "I dieci comandamenti" lei scrive
che l'Ungheria ha arginato il diffondersi dell'Islam,
che rischiava di estendersi all'Austria e all'Italia.
Come vede una futura entrata della Turchia nell'Unione
europea?
Con la più grande inquietudine. Non sono uno
di quegli europei interessati all'Unione come veicolo
per vendere i propri prodotti a un mercato più
grande. Una società sana - un Paese sano - deve
avere dei punti di riferimento in comune, deve condividere
alcune convinzioni e alcuni assunti rispetto a ciò
che rende bella la vita - in breve, una comune base
culturale. Che nel caso dell'Europa è quella
greco-romana, giudaico-cristiana, nella sua accezione
migliore.
Ammettere nell'Unione la Turchia, che con i suoi 71
milioni di abitanti ne costituirebbe lo Stato più
popoloso, rischia di rivelarsi un disastro. Malgrado
Kemal Ataturk e gli ultimi modernizzatori, la società
turca, per leggi e costumi, è ancora governata
dalla fede piuttosto che dalla ragione. Il 90% della
Turchia è situata in Asia Minore. Ha confini
porosi con l'Iran, la Siria e l'Iraq, ed è sotto
l'influenza crescente dell'Islam militante, che è
nemico di ogni sfumatura di pensiero e di ogni convinzione
degli attuali Stati membri dell'Unione europea. Se la
Turchia entrerà a far parte dell'Unione, dovremo
ribattezzarla Unione Eurasiatica.
Che ne è del multiculturalismo?
La vera forza di un'unione, quale essa sia, non è
la dimensione ma la coesione. Paesi grandi come l'India
sono un caos proprio perché sono troppo grandi
e contengono troppe lingue diverse, troppe religioni
opposte. Ci vorranno secoli per creare una coesione
fra l'Unione già così com'è, con
le sue molte lingue, anche se c'è l'ausilio di
una comune cultura greco-romana, giudeo-cristiana. Tirar
dentro una cultura aliena come quella della Turchia
trasformerebbe inevitabilmente l'Unione in un'altra
Jugoslavia. Come ho scritto in un altro mio saggio,
The Rules of Chaos, "ci sono unioni che
non fanno altro che dividere". Detto questo, aggiungo
che sono favorevole alle negoziazioni attualmente in
corso, perché dureranno anni e questo servirà
a ridurre il gap culturale e politico fra l'Europa e
la Turchia.
Pensa che sia opportuno inserire nel testo della
Costituzione un richiamo ai valori cristiani alla base
dell'Unione?
Dipende da quali valori cristiani. Sono convinto
che le religioni e i libri sacri, se presi alla lettera,
conducano alla follia, alla tirannia e all'omicidio.
Ogni qual volta tutto ciò che riguardava la cristianità
è stato preso come oro colato, ci siamo trovati
di fronte a uno dei flagelli dell'umanità. Il
motivo per cui l'Islam rischia di essere avvertito come
una minaccia per l'Europa - o addirittura per la civiltà
- è che centinaia di milioni di persone prendono
i suoi insegnamenti e i suoi testi sacri alla lettera
dando origine ad una visione fondamentalista e integralista.
E' anche il problema degli integralisti ebrei e dei
cristiani fondamentalisti. Ma in generale le religioni
cristiana ed ebraica sono forze del bene nella nostra
società, perché oggigiorno la maggior
parte degli ebrei e dei cristiani non vedono i testi
sacri come la parola di Dio da prendere alla lettera,
ma come miti ispiratori molto vitali che incarnano le
verità principali dell'esistenza umana - verità
senza le quali non potremmo sopravvivere.
Ci faccia un esempio.
In The Rules of Chaos scrivo che, da un punto
di vista filosofico, la Chiesa aveva ragione e Galileo
aveva torto. Il centro dell'universo per l'uomo è
la terra, per lo stesso motivo per cui il centro dell'universo
per un pesce è l'acqua. Se avveleniamo la terra
oltre ogni possibilità di recupero, la nostra
specie si estinguerà. Ma la verità più
importante che ci ha insegnato la religione è
che l'uomo non vive di solo pane. Credo che l'ateismo,
il razionalismo, la tradizione greco-romana temperata
dal giudeo-cristianesimo - o, se preferite, il giudeo-cristianesimo
temperato dal razionalismo - siano l'essenza della cultura
europea, una cultura di individualismo e di coscienza
sociale che costituisce la nostra eredità più
preziosa.
Sono anch'io un prodotto di quella cultura. Fino all'età
di circa nove anni sognavo di diventare il primo papa
ungherese (ho tratto ispirazione da questo episodio
della mia infanzia per un brano di Elogio delle
donne mature). Ma già nella prima adolescenza
ero diventato un non-credente, un razionalista che cerca
di non fidarsi di ciò di cui non sa nulla. Certamente
sarei contento di vedere inserito nella Costituzione
europea un accenno al principio che l'uomo non vive
di solo pane, per fare un po' di opposizione a quel
materialismo barbarico, di per sé un credo militante
e fanatico letale come ogni altro, che considera il
prodotto nazionale lordo come il fine ultimo della vita
e che pensa che tanto le decisioni private quanto quelle
pubbliche debbano essere operate sulla base di considerazioni
puramente economiche.
Appena arrivato a Montreal nel 1957, ho sentito alla
radio il concerto di violino di Beethoven che veniva
interrotto da una pubblicità della Coca-Cola,
e non mi sono ancora riavuto dallo shock. Penso che
porcherie come questa siano un vero sacrilegio, e sarei
felice se la Costituzione dell'Unione mettesse fuori
legge attacchi alle nostre sensibilità devastanti
come quello.
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