Giulio
Girello,
Prometeo, Ulisse e Gilgameš.
Figure del mito,
Raffaello Cortina editore,
pp. 250, euro 19,80
Giulio Giorello non è solamente – cosa
peraltro non da poco, beninteso… – uno dei
maggiori epistemologi e filosofi italiani della scienza
(ordinario di Filosofia della scienza presso l’università
di Milano, presidente della Società italiana
di Logica e Filosofia della scienza, direttore della
collana “Scienza e idee” di Raffaello Cortina
editore), ma è anche un individuo versatile e
curioso, e un intellettuale con una spiccata propensione
per l’estrosità e la creatività.
Come dimostra una carriera costellata di “tappe
anomale”; e non stiamo parlando, naturalmente,
della collaborazione con un quotidiano prestigioso come
il Corriere della sera (i filosofi italiani
ormai rappresentano presenze fisse sulle pagine dei
giornali e hanno assunto una chiara valenza di “opinionisti”),
ma delle altre manifestazioni della sua vocazione culturale
“eretica” ed eclettica. Espressioni di eclettismo
che Giorello ha palesato nella sua partecipazione, verso
la fine degli anni Ottanta, alla mitica stagione di
Fuoriorario di Rai3 (uno dei primi parti creativi dell’ineffabile
“coppia neo-situazionista” Enrico Ghezzi/Marco
Giusti) o, pochissimo tempo fa, nella messa in scena
della pièce teatrale I Cercatori. Dialoghi
immaginari tra Socrate e Einstein, Jefferson e Machiavelli,
Beckett e Kierkegaard, presentato insieme a Massimiliano
Finazzer Flory e interpretato (a partire dal libro L’avventura
della ricerca di Daniel J. Boorstin) dagli attori
Massimo Popolizio e Giancarlo Dettori.
E, ora, l’allievo del grande marxista e materialista
Ludovico Geymonat (il cui magistero non ha mai rinnegato)
si cimenta, dopo essere transitato per il puritanesimo
radicale e l’anarchismo epistemologico di Paul
K. Feyerabend, con un argomento apparentemente lontano
– o quanto meno tutt’altro che immediato
– per uno studioso con la sua formazione, vale
a dire il mito. Anzi, i miti, nella loro declinazione
contemporanea e nella loro ricomparsa, tra Otto e Novecento,
in alcune delle opere letterarie più interessanti
e significative della cultura occidentale, con il reincarnarsi,
come dice il titolo di questo suo ultimo libro, di Prometeo,
Ulisse e Gilgameš. Figure del mito (Cortina).
Campeggiando – o, meglio, occhieggiando –
dalla copertina del volume en travesti da James Joyce
– uno dei suoi miti letterari, per l’appunto,
e, con l’Irlanda, uno dei suoi amori linguistici
e geografici – Giorello ci porta, in maniera fulminante
e coltissima, a ravvisare le permanenze del mito e il
suo riprodursi nell’età moderna e contemporanea,
che dei miti non si è affatto liberata, ma li
insegue e rincorre e, soprattutto, si trova ad averne
assolutamente e disperatamente bisogno. L’obiettivo
dell’autore è quello di farci comprendere
come scienza e mito non costituiscano dei rivali irriducibili,
dal momento che il pensiero razionale ha bisogno anche
di quello mitologico per completarsi e sottrarsi ai
rischi del “gelo dell’anima”.
Le parole e le fantasie, insieme ai calcoli, dunque;
basti pensare, del resto, che proprio all’interno
della grecità, la cultura che è stata
la più grande produttrice di miti della storia,
pensiero calcolante e poetante andavano a braccetto,
mentre la vicenda di Ulisse rappresenta anche una straordinaria
epopea di tecniche nautiche e di misurazioni astronomiche
e del tempo. E, analogamente, il Prometeo liberato
del grande poeta romantico Percy Bysshe Shelley (autore,
tra l’altro, del pamphlet La necessità
dell’ateismo o la maschera dell’anarchia
e alfiere convinto della giustizia sociale almeno tanto
quanto risultava un detrattore delle pratiche di vivisezione)
e il Frankenstein di Mary Wollstonecraft Godwin
(signora Shelley dal 30 dicembre 1816) risultano intrisi
di richiami al dibattito accesosi intorno alla scienza,
dal newtonianesimo alla chimica, da Lavoisier a Erasmus
Darwin (zio di Charles, il fondatore dell’evoluzionismo),
dall’ideologia calvinistico-illuminista di Victor
(il protagonista del romanzo di Mrs. Mary Shelley) alla
“scienza occulta” e alchemica sempre presente
e aleggiante nei discorsi dei sapienti.
E che dire dei protagonisti dello straordinario Ulysses
joyciano, i Bloom e i Dedalus, isole alla deriva tra
relatività, psicanalisi e teologia? O ancora,
del Gilgameš che attraversa gli sterminati (e adorati
da Giorello) Cantos di Ezra Pound, uno dei
vertici della poesia novecentesca e un inarrivabile
aedo dei rischi e delle potenzialità della tecnologia
moderna, terrorizzato dalla prospettiva della guerra
nucleare e persuaso del fatto che l’umanità
non fosse spiritualmente all’altezza dei doni
e degli orizzonti che le aveva dischiuso la scienza?
E, allora – ecco la riflessione che ci consegna
questo libro non facilissimo, ma davvero bello –
i miti non costituiscono una manifestazione di oscurantismo,
ma, molto laicamente, dischiudono agli uomini alcune,
preziose e tutt’altro che trascurabili, occasioni
di libertà.
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