271 - 12.02.05


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Scienza e mito,
due insospettabili alleati
Massimiliano Panarari


Giulio Girello,
Prometeo, Ulisse e Gilgameš.
Figure del mito,
Raffaello Cortina editore,
pp. 250, euro 19,80



Giulio Giorello non è solamente – cosa peraltro non da poco, beninteso… – uno dei maggiori epistemologi e filosofi italiani della scienza (ordinario di Filosofia della scienza presso l’università di Milano, presidente della Società italiana di Logica e Filosofia della scienza, direttore della collana “Scienza e idee” di Raffaello Cortina editore), ma è anche un individuo versatile e curioso, e un intellettuale con una spiccata propensione per l’estrosità e la creatività. Come dimostra una carriera costellata di “tappe anomale”; e non stiamo parlando, naturalmente, della collaborazione con un quotidiano prestigioso come il Corriere della sera (i filosofi italiani ormai rappresentano presenze fisse sulle pagine dei giornali e hanno assunto una chiara valenza di “opinionisti”), ma delle altre manifestazioni della sua vocazione culturale “eretica” ed eclettica. Espressioni di eclettismo che Giorello ha palesato nella sua partecipazione, verso la fine degli anni Ottanta, alla mitica stagione di Fuoriorario di Rai3 (uno dei primi parti creativi dell’ineffabile “coppia neo-situazionista” Enrico Ghezzi/Marco Giusti) o, pochissimo tempo fa, nella messa in scena della pièce teatrale I Cercatori. Dialoghi immaginari tra Socrate e Einstein, Jefferson e Machiavelli, Beckett e Kierkegaard, presentato insieme a Massimiliano Finazzer Flory e interpretato (a partire dal libro L’avventura della ricerca di Daniel J. Boorstin) dagli attori Massimo Popolizio e Giancarlo Dettori.

E, ora, l’allievo del grande marxista e materialista Ludovico Geymonat (il cui magistero non ha mai rinnegato) si cimenta, dopo essere transitato per il puritanesimo radicale e l’anarchismo epistemologico di Paul K. Feyerabend, con un argomento apparentemente lontano – o quanto meno tutt’altro che immediato – per uno studioso con la sua formazione, vale a dire il mito. Anzi, i miti, nella loro declinazione contemporanea e nella loro ricomparsa, tra Otto e Novecento, in alcune delle opere letterarie più interessanti e significative della cultura occidentale, con il reincarnarsi, come dice il titolo di questo suo ultimo libro, di Prometeo, Ulisse e Gilgameš. Figure del mito (Cortina).

Campeggiando – o, meglio, occhieggiando – dalla copertina del volume en travesti da James Joyce – uno dei suoi miti letterari, per l’appunto, e, con l’Irlanda, uno dei suoi amori linguistici e geografici – Giorello ci porta, in maniera fulminante e coltissima, a ravvisare le permanenze del mito e il suo riprodursi nell’età moderna e contemporanea, che dei miti non si è affatto liberata, ma li insegue e rincorre e, soprattutto, si trova ad averne assolutamente e disperatamente bisogno. L’obiettivo dell’autore è quello di farci comprendere come scienza e mito non costituiscano dei rivali irriducibili, dal momento che il pensiero razionale ha bisogno anche di quello mitologico per completarsi e sottrarsi ai rischi del “gelo dell’anima”.

Le parole e le fantasie, insieme ai calcoli, dunque; basti pensare, del resto, che proprio all’interno della grecità, la cultura che è stata la più grande produttrice di miti della storia, pensiero calcolante e poetante andavano a braccetto, mentre la vicenda di Ulisse rappresenta anche una straordinaria epopea di tecniche nautiche e di misurazioni astronomiche e del tempo. E, analogamente, il Prometeo liberato del grande poeta romantico Percy Bysshe Shelley (autore, tra l’altro, del pamphlet La necessità dell’ateismo o la maschera dell’anarchia e alfiere convinto della giustizia sociale almeno tanto quanto risultava un detrattore delle pratiche di vivisezione) e il Frankenstein di Mary Wollstonecraft Godwin (signora Shelley dal 30 dicembre 1816) risultano intrisi di richiami al dibattito accesosi intorno alla scienza, dal newtonianesimo alla chimica, da Lavoisier a Erasmus Darwin (zio di Charles, il fondatore dell’evoluzionismo), dall’ideologia calvinistico-illuminista di Victor (il protagonista del romanzo di Mrs. Mary Shelley) alla “scienza occulta” e alchemica sempre presente e aleggiante nei discorsi dei sapienti.

E che dire dei protagonisti dello straordinario Ulysses joyciano, i Bloom e i Dedalus, isole alla deriva tra relatività, psicanalisi e teologia? O ancora, del Gilgameš che attraversa gli sterminati (e adorati da Giorello) Cantos di Ezra Pound, uno dei vertici della poesia novecentesca e un inarrivabile aedo dei rischi e delle potenzialità della tecnologia moderna, terrorizzato dalla prospettiva della guerra nucleare e persuaso del fatto che l’umanità non fosse spiritualmente all’altezza dei doni e degli orizzonti che le aveva dischiuso la scienza?

E, allora – ecco la riflessione che ci consegna questo libro non facilissimo, ma davvero bello – i miti non costituiscono una manifestazione di oscurantismo, ma, molto laicamente, dischiudono agli uomini alcune, preziose e tutt’altro che trascurabili, occasioni di libertà.

 

 

 

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