Stephen
Vizinczey,
I dieci comandamenti di uno scrittore,
Marsilio, 315 pagine, euro 18,00
"I
grandi scrittori non sono quelli che ci dicono di non
giocare col fuoco, ma quelli che ci bruciano le dita".
Agli scrittori che ci bruciano l'anima, oltre che le
dita, Stephen Vizinczey dedica la raccolta di saggi
che prende il titolo dal primo della lista, I dieci
comandamenti di uno scrittore.
E già in quei dieci comandamenti appare evidente
ciò che secondo Vizinczey è importante
non solo per uno scrittore ma per un degno rappresentante
del genere umano: ad esempio l'assenza di vanità
e, al contempo, una coscienza di sé che riguardi
più la dignità che l'amor proprio, e che
sappia essere "presuntuosa" quando viene umiliata
e offesa.
Tutta la raccolta di saggi è un inno alla libertà
interiore, espressa, o meno, dai grandi nomi della letteratura
occidentale, principalmente quella europea, che Stephen
Vizinczey affronta con passione e rispetto ma senza
alcun timore reverenziale, e soprattutto senza piaggeria.
Parlando di Stendhal e Balzac, di Dickens e Dostoevskij,
Vizinczey adotta lo stesso spirito critico schietto
e senza peli sulla lingua che usa per le recensioni
di saggi e romanzi contemporanei sul Times, la London
Review of Books o il Sunday Telegraph.
Vizinczey è lui stesso un celebre scrittore,
autore di quell'Elogio delle donne mature che
è diventato un vero e proprio caso editoriale:
pubblicato a spese dello stesso scrittore nel 1966 (perché
nessun editore era disposto a darlo alle stampe), fu
recuperato dal passaparola e recentemente ha vissuto
una seconda nascita prima in Francia, poi nel resto
d'Europa, diventando un best seller a distanza di quasi
quarant'anni dalla sua prima uscita.
Dello scrittore di rango Vizinczey ha lo stile, romanzesco
anche quando scrive un saggio letterario, e la passione,
o meglio, il desiderio bruciante di comunicare a chi
lo legge la passione per quanto lui sta raccontando,
che sia la storia di un giovane ungherese (come Vizinczey,
nato nel '33 in Ungheria ed esiliato in Canada nel '56,
per poi trasferirsi in Inghilterra) in viaggio di scoperta
di sé attraverso esperienze con donne intorno
agli 'anta, o l'indipendenza di pensiero di Kleist o
la viltà di Goethe.
Vizinczey fa pensare, diverte e commuove. Ma soprattutto
fa venir voglia di riprendere in mano i classici e rileggerli
con spirito nuovo, andando a guardare, ad esempio, il
coraggio morale dei loro autori. "Non lascerai
che passi un giorno senza rileggere qualcosa di grande"
è il suo settimo comandamento agli scrittori,
ma anche a quei lettori che vogliono aprire la mente
a ciò che è bello e importante, non solo
a ciò che è noto.
Così come "chiunque abbia avuto successo
in letteratura c'è riuscito seguendo la sua strada",
anche chi vuole capire qualcosa di sé e del mondo
deve percorrere terreni non battuti - e codificati -
da altri. Perché, scrive Vizinczey, "Sembra
che gli spiriti indipendenti che leggono un libro alla
luce del proprio giudizio e non alla luce delle opinioni
consolidate siano rari ovunque".
Per dare un'idea di quale ri-lettura dei classici proponga
Vizinczey, cito alcune sue folgoranti definizioni, tratte
da I dieci comandamenti di uno scrittore:
Stendhal "mostra le continue
tensioni che esistono nella nostra coscienza tra le
reazioni che ci aspettiamo di avere e le reazioni che
abbiamo in realtà".
Balzac "innalza i nostri cuori
senza annebbiarci il cervello".
Sartre "sostiene che, lungi dall'essere
ingabbiati, noi scegliamo persino il nostro passato,
nel senso che nescegliamo il significato, quali cose
del passato siano importanti e quali no".
"In tutta la letteratura mondiale nessuno scrittore
si è spinto così lontano come Gogol'
nell'esplorare la profondità della nostra inettitudine,
la confusione in cui versa il genere umano, il pathos
insito nei tentativi sbagliati".
"Tra i grandi romanzieri dell'Ottocento, tutti
più o meno contaminati dalle false speranze,
solo Dostoevskij, oggi, potrebbe alzarsi
in piedi e dirci 've l'avevo detto!'".
Thomas Mann "valutava quel che
facevano le persone in base all'effetto che producevano
sugli altri. Questa visione epica della vita è
anche l'unica che abbia valore morale".
Goethe "costituisce l'esempio
supremo dell'artista venduto. Aveva il talento di un
grande poeta e il carattere di un leccapiedi".
"Se Stendhal ci spiega come essere
amanti, Kleist ci spiega come si diventa
assassini".
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